Giorno per giorno – 13 Aprile 2009

Carissimi,
“Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono” (Mt 28, 8-9). Che la risurrezione sia un tema cruciale per noi cristiani lo dimostra il fatto che la chiesa fa durare questa festa otto giorni (come avviene anche per la Pasqua-esodo-liberazione degli ebrei). Stamattina ci dicevamo che l’unica cosa da evitare è quella di banalizzarla, prendendola come un avvenimento in qualche modo fotografabile e, perciò, anche prevedibile nel suo darsi. Noi, della risurrezione, la Sua e la nostra, di cui la sua è primizia, si sa e si capisce ovviamente quasi nulla, se è vero, come è vero, l’antico adagio che suona “Nihil in intellectu nisi prius in sensu”, cioè, più o meno: non si può immaginare nulla che non si sia in qualche modo sperimentato prima. Compresa, dunque, la risurrezione. Salvo intenderla in senso spirituale (come una conversione) o, eventualmente, molto, molto metaforico (una guarigione sorprendente). Arcelina ha cercato di convincerci che così non sarebbe stato per il buon Gesù, dato che Lui era Dio e perciò sapeva che tutto sarebbe finito presto e bene, questione di ore, o al massimo di giorni. Come del resto aveva matematicamente previsto: il terzo giorno no? Noi, però, si è più propensi a pensare che Gesù – che nel suo faticoso percorso di fede, scopre progressivamente in cosa consista il suo essere trasparenza, cioè rivelazione del Padre -, quando parla di risurrezione, si limita a ripetere la dottrina più comune a quel tempo (quella dei circoli farisaici), o a richiamare, di fronte alla possibilità di una sua morte violenta, la profezia di Osea: “Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza” (Os 6, 1-2). Ma, quanto ai contenuti, deve aver conosciuto le nostre stesse difficoltà. Cogliendo però il fatto che la risurrezione, come oggetto di fede, è più problema di Dio che nostro. Dato che per noi l’evidenza che ci è dato constatare nella nostra esperienza quotidiana è piuttosto quella della morte. L’angoscia di Gesù nell’imminenza della morte, testimoniataci dai Vangeli, più che un’umanissima paura della sua fine, esprime, in una sorta di dialogo intradivino, la sua ultima preoccupazione per il destino della Verità che è stato mandato ad annunciare. Se Dio è Padre, come si giustifica la morte? O, anche: se il Padre è Dio, come può la morte, senza smentire ciò, avere il sopravvento sul suo rappresentante, il suo Figlio, la sua Verità? E, tentiamo di azzardare, la risposta è che soltanto, attraverso lo svuotamento totale del Figlio, fino alla morte (e quale morte!), Dio può darsi nella forma dell’amore incondizionato, e che è ancora attraverso essa, che l’Io-sono divino può penetrare la creazione intera, raggiungere gli inferi, la storia bella e terribile di ogni tempo e luogo, per poi ripresentarla e rappresentarla nuovamente a Lui, il Padre, l’Origine, dicendoGli: siamo materia tua, non ci riconosci? E Lui come farà a dire di no? Ora, tutto questo, se siamo davvero discepoli suoi, che hanno fatto l’esperienza dell’incontro con il Crocifisso risorto, dev’essere già vero per noi oggi. Noi, sua Chiesa, sue chiese, riusciamo ad esserlo?

Oggi è il Secondo Giorno dell’Ottava Pasquale; i testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 2,14.22-32; Salmo 16; Vangelo di Matteo, cap. 28,8-15.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Bene, per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura una riflessione sulla risurrezione tratta da un libro di Carlo Molari, dal titolo: “La Vita del Credente” (Editrice Elle Di Ci), che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Riferito a Gesù, il termine risurrezione descrive, prima di tutto, la conseguenza di una sua attitudine nei confronti del Padre. Vuole dire che egli ha vissuto la morte ignominiosa con una tale fiducia nella forza dell’amore di Dio da farla esplodere come nuovo inizio, nel momento della sua sconfitta storica. Gesù cioè ha affrontato la violenza e l’odio che l’hanno condotto alla croce con un amore, una dedizione e una misericordia tali da consentire alla Parola creatrice di esprimersi in lui in foma inedita. Nella passione e nella croce l’azione di Dio si è tradotta nell’amore e nella misericordia di Gesù, al punto che esse sono divenuto il luogo di un’irruzione straordinaria della forza creatrice. Per questo è possibile dire allo stesso tempo che Dio ha risuscitato Gesù dai morti, ma anche che Gesù è risorto dai morti. L’azione di Dio infatti diventa sempre azione di creature quando si esprime nella storia umana. In rapporto a Gesù risurrezione significa che egli ha vissuto con una tale fedeltà a Dio da realizzare un’esplosione di vita negli spazi della morte. L’insegnamento perciò che riassume l’evento della risurrezione non riguarda tanto la trasformazione subita da Gesù o il suo stato glorioso, che ci sono completamente ignoti, quanto il fatto che l’amore è la ragione fontale e suprema di ogni forma di vita e che il destino di morte, intrinseco alla condizione attuale della creatura umana, non acquista senso che all’interno di un’esistenza pervasa da un amore incondizionato agli uomini e da una dedizione a Dio senza riserve. (Carlo Molari, La Vita del Credente).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-13T23:49:00+02:00da fraternidade
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