Giorno per giorno – 07 Aprile 2009

Carissimi,
se nella storia di Gesù non riusciamo a leggere in filigrana la storia di Dio, il rischio è di non capire nulla dell’uno, né arrivare a sapere nulla dell’altro. Facendone così una sorta di fiaba, magari edificante, ma sempre fiaba. I salmi erano la preghiera quotidiana di Gesù. Tra essi il salmo 41, che si apre con “Beato l’uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera” (Sal 41, 2). Ora, “aver cura” era giustamente la maniera d’essere di Gesù (e di Dio con lui). Quindi, se mai dovesse arrivare il giorno della sventura, Lui sapeva bene della promessa che lo riguardava. Che riguardava, cioè, la salvezza del bene dal male, dell’amore dall’odio o dall’indifferenza, della vita dalla morte, e perciò anche di Dio da tutti i suoi nemici. Nemici di Dio: come si può? Si può, si può. Si può dai tempi dei tempi. Da quando per la prima volta l’uomo ha sospettato che Dio, cioè la vita, si desse nella forma del potere e dell’arbitrio, e non nella forma del dono e della condivisone. Certo, questa possibilità divenuta realtà, deve aver sorpreso per primo proprio Dio, come sorprese più tardi il suo figliuolo: “Anche l’amico in cui confidavo, anche lui che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” (Sal 41, 10). È il versetto che Gesù cita, la sera dell’addio. E doveva pensare con quale tristezza!, all’altro del salmo 55: “Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa” (Sal 55, 13-15). Giuda, perché? Ma anche: Pietro, perché? O, più correttamente: Noi, cioè, la chiesa, perché? Semplicemente perché il peso del Suo amore non è sostenibile e abbiamo bisogno di negarlo, di fuggirlo, di dare spazio all’avversario, che è molto più a misura nostra. E perché, nella sua prospettiva, è proprio dell’amore e della sua logica perdere, perdersi, affinché noi, gli amati, divenuti nemici, più per viltà che per malvagità, viviamo. Per sempre. “E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte. Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui” (Gv 13, 26-27. 30-31). Ora, il Figlio dell’uomo è stato glorificato. Nell’esatto momento del nostro tradimento, si è svelata l’infinitezza del suo amore. Ci decideremo mai a entrare nella sua onda?

Il calendario ecumenico ci porta la memoria di Tichon di Mosca, pastore della Chiesa ortodossa russa.

07 TICHON DI MOSCA 3.jpgVasilij Ivanovic’ Bielavin era nato nel 1865, nella famiglia di un parroco di provincia, a Toropec, nella provincia di Pskov. Al termine degli studi entrò in monastero, assumendo il nome di Tichon. A 32 anni ricevette la consacrazione episcopale e nel 1898 fu nominato vescovo delle Isole Aleutsk e dell’Alaska, com’era chiamata allora la diocesi della Chiesa ortodossa russa nell’America settentrionale. Tornato in patria nel 1907, fu nominato vescovo di Iaroslav, più tardi di Vilnius, e, nel 1917, metropolita di Mosca. Presiedette nello stesso anno il Concilio della Chiesa russa che, dopo oltre due secoli, ripristinò il titolo di Patriarca, conferendolo allo stesso Tichon. La sua elezione coincise con il periodo drammatico della rivoluzione, che per la Chiesa russa significò essere posta davanti all’alternativa secca: o persecuzione o collaborazionismo. Tichon cercò di tenersi fuori dalla politica, ponendosi come unico obiettivo quello del servizio reso a Dio per la salvezza delle anime. Ma ciò non gli evitò, nel 1923, di essere deposto, arrestato e confinato. Subì addirittura un attentato, che costò la vita a Iacov Polozov, un novizio addetto alla sua cura. Nel gennaio 1925 Tichon si ammalò gravemente. Dopo un apparente miglioramento, con l’approssimarsi della primavera, una ricaduta lo costrinse a farsi ricoverare in ospedale. Il 25 marzo (corrispondente al 7 aprile del calendario gregoriano), festa dell’Annunciazione, ebbe un’improvviso peggioramento. Poco prima di mezzanotte chiese l’ora e disse sospirando: “Presto verrà la notte, scura e lunga”. Fece due volte il segno della croce, alzò la mano per segnarsi la terza volta, ma morì prima di riuscire a farlo. Ci fu chi sospettò che l’avessero avvelenato. Fu canonizzato nel 1989.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.49, 1-6; Salmo 71; Vangelo di Giovanni, cap.13, 21-33. 36-38.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Le immagini e le cifre (mai definitive) del disastro avvenuto lì da voi, in Abruzzo, ce le avevano fornite ieri i notiziari, durante tutta la giornata, sicché stamattina la nostra preghiera è stata solo per quella gente, che vive l’espropriazione violenta e improvvisa delle persone e dei beni che aveva più cari. E non ci sono parole capaci di consolazione, quando distruzione e morte sembrano aver avuto ragione di tutto. Come pensare la risurrezione? Come dire Dio tra quei corpi morti, sotto quei detriti? No, non c’è modo di consolare (forse Lui per primo). Ma c’è la sfida di continuare a vivere. E Lui è anche questa resistenza. Ma più di essa.

Perché stare nella chiesa, nonostante i suoi (cioè anche nostri) tradimenti, debolezze, peccati? Capita spesso di sentirsi rivolgere questa domanda. E ciascuno avrà la sua risposta. O non ce l’avrà più, se ha deciso di andarsene. Non abbiamo sotto mano testi del patriarca Tichon di Mosca. Ma ne abbiamo uno di un teologo russo suo contemporaneo, Pavel Florenskij, tratto dal libro “La colonna e il fondamento della verità” (Rusconi). Che offre una sua spiegazione dello stare nella chiesa. Ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ecclesialità è il nome del porto dove trova quiete l’ansia del cuore, dove si piegano le pretese del raziocinio, dove una grande pace scende sulla ragione. Non importa se né io né alcun altro ha potuto, può, potrà definire che cosa sia l’ecclesialità. Non importa se coloro che tentano di definirla si contestano a vicenda e ne respingono le varie formulazioni. Questa stessa indefinibilità, questa inafferrabilità attraverso i termini razionali, questa ineffabilità non dimostrano forse che l’ecclesialità è vita, una vita speciale, nuova, data agli uomini e, al pari di ogni vita, inaccessibile al raziocinio? La diversità di opinioni nel definirla, i vari possibili tentativi di fissarla a parole partendo da diverse angolazioni, la policromia delle formule verbali tutte incomplete e sempre insufficienti ci confermano con l’esperienza ciò che disse l’Apostolo: la chiesa è il corpo di Cristo, “la pienezza di lui che riempie tutto in tutte le cose” (Ef 1,23). Se è pienezza di vita divina, come si può confinarla nella stretta tomba di una definizione razionale? Sarebbe ridicolo credere che questa impossibilità sia in qualche modo una testimonianza contro l’esistenza dell’ecclesialità, anzi è proprio essa che la fonda. L’ecclesialità è anteriore alle proprie manifestazioni particolari, essendo l’elemento primordiale, umano-divino, dal quale, per così dire, si condensano e si cristallizzano nel corso storico dell’umanità ecclesiale i riti sacramentali, le formulazioni dogmatiche, le regole canoniche e in parte perfino la confermazione transeunte, temporale, dell’ordinamento ecclesiastico. A questa pienezza allude in primo luogo la profezia dell’apostolo: “È necessario infatti che ci siano delle divisioni in mezzo a voi” (1Cor 11,19), divisioni nella comprensione dell’ecclesialità. E tuttavia chi non si allontana dalla chiesa accoglie in sé la sua vita e l’elemento primordiale, che è l’ecclesialità, e ben saprà che cosa essa è. (Pavel Florenskij, La colonna e il fondamento della verità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-07T23:33:00+02:00da fraternidade
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