Giorno per giorno – 04 Aprile 2009

Carissimi,
“Uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11, 49-50). La colpa di Gesù era di aver riportato in vita Lazzaro. Ora, ridare vita o anche solo gioia di vivere, là dove regna morte, oppressione, tristezza, suscita, chissà perché, rivolta e ostilità in quanti se ne considerano, da sempre, gli unici destinatari. Forse perché l’ordine e la sopravvivenza del Sistema, esigono un certo numero di morti, di vittime, di sfruttati, affamati, infelici e quant’altro, che il potere politico-economico-militare, affiderà, in una sagace distribuzione dei ruoli, al potere religioso, perché trovino in esso una qualche forma di rifugio, giustificazione, consolazione. Se è così, il gesto di Gesù si configura come un atto di ribellione, perché si oppone e mette a nudo la logica del potere che regge il sistema. Per questo Gesù deve morire. Così avviene anche per i discepoli di Gesú, cioè per la sua chiesa. Sempre che sia veramente tale. Là dove essa apre gli occhi ai ciechi, e l’udito ai sordi, dove rimette in piedi e in movimento chi è immobilizzato dalle catene di antiche e nuove schiavitù, quando dà vita a quanti sono civilmente morti, inesistenti, perché rifiutati, esclusi, ridotti alla clandestinità, essa è “giusto” che muoia, sparisca, con quanti vuole salvare. Ed è Dio che viene condannato. Qualche volta, persino, in nome di dio (quale?), e dei suoi emissari.

Oggi ricordiamo Martin Luther King, pastore e martire nella lotta per i diritti civili, Benedetto il negro, amico e consigliere del popolo, Aloisio Kamau, martire in Kenya, e don Raffaele Bensi, maestro di spiritualità.

04_MARTIN_LUTHER_KING_II.GIFMartin Luther King Jr. era nato ad Atlanta, nello Stato della Georgia, il 15 gennaio 1929, secondogenito di Alberta Williams King e del pastore battista Martin Luther King. Dopo gli studi teologici, il giovane King frequentò fino al 1953 l’Università di Boston, dove conobbe Coretta Scott, che diventerà sua moglie. Dal loro matrimonio nasceranno due figli e due figlie. Nel 1954, King divenne pastore della Chiesa Battista a Montgomery, in Alabama. Nel 1955 accadde l’episodio che diede il via alla prima grande mobilitazione negra contro la segregazione, che sarà ricordata come il “boicottaggio degli autobus”. La lotta durò 382 giorni, fino a quando il 21 dicembre 1956, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la legge che imponeva la separazione tra neri e bianchi sui mezzi pubblici. King, che era diventato uno dei leader della protesta, fu arrestato e malmenato ripetutamente. Nel 1957 fu eletto presidente della Southern Christian Leadership Conference, un’organizzazione per la formazione di quadri dirigenti del movimento per i diritti civili, il cui ideale affondava le sue radici nel cristianesimo, ma anche nella teoria e pratica nonviolenta di Gandhi. Il 3 aprile 1963 King organizzò una delle proteste più dure a Birmingham, in Alabama, roccaforte dell’America razzista. Nuovamente arrestato, in cella d’isolamento, scrisse di getto quello che diventerà il manifesto della rivoluzione negra: la “Lettera dal Carcere di Birmingham”. Il 28 agosto di quello stesso anno, tutte le organizzazioni nonviolente confluirono a Washington in una straordinaria marcia pacifica che si concluse con il discorso più famoso di King: “I have a dream” (Ho un sogno). Il 10 dicembre, a Oslo, King ricevette il Premio Nobel per la Pace, il cui ammontare destinò al Movimento per i dirittti civili. Alla fine del 1965, la famiglia King si trasferì a Chicago, scegliendo di vivere in uno dei quartieri più poveri, per condividere le condizioni dei meno fortunati tra la popolazione negra. All’inizio di aprile 1968, King era a Memphis, nel Tennessee, per partecipare alle manifestazioni in appoggio ai netturbini in lotta per migliori salari. Il 4 aprile, uscì sul terrazzino dell’albergo dov’era ospitato. Il tempo di scambiare qualche parola con il pastore Ralph Abernaty e un colpo mortale sparato dalla casa di fronte lo colpì alla gola.

04 BENEDETTO IL MORO.jpgBenedetto il Moro era nato nel 1526 a San Fratello, nei pressi di Messina. I suoi antenati erano stati forzatamente portati in Sicilia, vittime della tratta di schiavi. Da giovane, Benedetto lavorò per molti anni come pastore di greggi e con il suo magro salario trovava il modo non solo di sopravvivere, ma anche di aiutare altri, più poveri di lui. A 21 anni si unì ad un gruppo di eremiti francescani. Quando, nel 1564, papa Pio IV ordinò la chiusura dell’eremiterio, Benedetto scelse di vivere come fratello laico nel convento dei frati minori di S. Maria del Gesù, a Palermo, dove per molto tempo svolse la funzione di cuoco. Quando il convento aderì alla riforma dei Cappuccini, che sostenevano un’interpretazione più rigida della regola francescana, Benedetto, benché laico e per giunta analfabeta, fu eletto superiore. Presto si diede a conoscere per la sua dedizione ai più bisognosi, la sua umanità e il dono della chiaroveggenza. Sicché un gran numero di persone di ogni ceto accorrevano per vederlo, parlargli, ascoltarne il consiglio. Negli ultimi anni di vita, volle tornare a fare il cuoco, come un tempo. Morì il 4 aprile 1589.

Di Aloisio Kamau, maestro keniota, sappiamo soltanto che era nato nel 1929 ed era stato educato nella scuola di Tuthu, nella regione del monte Kenya, tenuta dai missionari della Consolata. Battezzato il 6 gennaio 1945, terminati gli studi era passato a insegnare in quella stessa scuola. Durante la rivolta anticoloniale che divampò nel Paese all’inizio degli anni cinquanta, quando il villaggio venne occupato dai ribelli, Aloisio si rifiutò di piegarsi alla violenza e di rinnegare la sua fede. Fu ucciso il 4 aprile 1953.

04 DON BENSI.jpgRaffaele Bensi, nato a Scandicci l’11 febbraio 1896, fu ordinato sacerdote il 6 aprile 1919 e poco dopo fu inviato come curato a San Michele Visdomini, diventando da quel momento il padre spirituale di migliaia di giovani. A partire dal 1926, per quarant’anni, fu anche insegnante di religione. Poté così presentare e testimoniare a intere generazioni di studenti il significato che per lui aveva la fede fondata sul Vangelo di Gesù. Molte figure autorevoli ebbero in lui un importante punto di riferimento: il cardinal Dalla Costa, don Facibeni, Giorgio La Pira e tanti altri, ma soprattutto don Milani, di cui fu direttore spirituale fino alla morte. Di questi, in un’intervista, don Bensi ricorderà “la sua capacità di annullarsi fra i poveri, fra i ragazzi e fra la gente senza nome e senza importanza. A lui è sempre bastato amare, sino alla fine, pochi ragazzi: non ha mai preteso di amare l’umanità, o lo ha scritto chiaro tante volte. Ricordo un giorno che capitai a Barbiana senza preavviso, verso sera, quand’era già attaccato dal cancro. Lo trovai, come al solito, nella stanza che serviva da scuola. Era steso nel buio su un pagliericcio. Accanto aveva una donna, la vecchia scema del paese, e i ragazzi meno intelligenti. Erano lì tutti in silenzio, con gli occhi fissi su di me, come se stessero assaporando sino in fondo la loro sofferenza, la loro solitudine, la loro sconfitta umana. E lui era uno di loro, non diverso, non migliore: ed era già condannato a morte. Mi vennero i brividi. Capii allora, più che in qualunque altro momento, il prezzo della sua vocazione, l’abisso del suo amore per quelli che aveva scelto e che lo avevano accettato”. Don Bensi morì il 4 aprile 1985, un Giovedì santo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.37, 21-28; Salmo (Ger 31, 10-13); Vangelo di Giovanni, cap.11, 45-56.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto. La figura di don Raffaele Bensi ci riporta alla ricca stagione profetica vissuta in quegli anni dalla chiesa di Firenze. Ora il grigiore dei tempi, sempre che la fabbrica non abbia chiuso definitivamente i battenti, potrebbe sembrare propizio alla sfornata di nuove leve. Con qualche inevitabile grattacapo per le gerarchie civile e religiose. Nell’attesa, e congedandoci, noi vi proponiamo il brano di un’omelia tenuta da don Bensi il 23 marzo 1958, domenica di Passione. La troviamo nel libro “La voce di don Bensi. Vangeli a S. Michelino” (Libreria Editrice Fiorentina). Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mio Dio, lo so che possiamo disonorare Cristo. È terribile la nostra avventura di cristiani sulla terra, di seguaci di Cristo che è donazione infinita, fino alla morte. Se noi siamo suoi seguaci, nel nostro modo di vivere e di operare dovrebbe rivivere Cristo fatto carne e sangue. Molte volte il nostro cristianesimo è così tremendamente falso perché fatto solo di parole. Tante belle cose dico ogni domenica, ma ho un impegno terribile, poiché posso diventare menzogna viva, sconsacratore di Dio e di Cristo, falso annunziatore di una dottrina meravigliosa. Facciamo bestemmiare Dio, facciamo orrore alla nostra chiesa. Perché che cosa fanno i preti, cosa fanno i cristiani in questa realtà storica, come agiscono, che fervore, che fiamma, che verità sono? A volte, in certe creature, cosiddette lontane da Dio, che bestemmiano e peccano, si vede, nella carenza della presenza di Dio, implorare Dio; e molte volte invece questa forza, questa presenza inespressa, in noi preti, in noi cristiani, non c’è. E allora questa nostra mediocrità ci fa schifo. Ci fa schifo questa mediocrità, questo patteggiare, questo giocare a rimpiattino con la coscienza e magari vestirci a festa e, davanti a Dio, dire: “Signore, io non sono come quelli là”. Dire che le cose della terra non valgono nulla e poi anche noi andare all’arrembaggio come gli altri; dire che è sporcizia il male interiore, e poi al male strizzare l’occhiolino e vivere pieni di ipocrisia; concederci tutto quello che possiamo concederci fingendo di credere che Dio non ci veda. Come è terribile la logica del cristiano, come è terribile! Mio Dio benedetto, abbi pietà di noi. Il tuo messaggio è meraviglioso, il tuo impegno è grande, e noi siamo deboli e fiacchi. Noi abbiamo un compito di verità, ma è tanto difficile, Signore, la verità. Fai che questa quindicina di preparazione alla santa Pasqua ci induca tutti a meditare profondamente il tuo mistero e a viverlo con verità. (La voce di don Bensi, Vangeli a S. Michelino).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-04T23:17:00+02:00da fraternidade
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