Giorno per giorno – 05 Aprile 2009

Carissimi,
deve aver ragione Paulo, il nuovo coordinatore della chácara Paraiso, a dire che, sul racconto della Passione si può fare solo silenzio. E, difatti, per qualche minuto, tutti abbiamo taciuto. Poi, però, la mamma di Domingos, ha cominciato a parlare della passione sua e del figlio, così diversa, eppure così vicina a quella che i ragazzi della comunità avevano appena finito di proclamare. Noi non ricordiamo più nulla di ciò che ha detto, però, ascoltandola, abbiamo pensato che, se i Vangeli avessero registrato, allora, una qualche parola di Maria, non sarebbe stata molto diversa da questa. Dioclécio subito dopo aveva messo in guardia da chi tradisce, con il Figlio dell’uomo, ogni figlio di uomo. È il valore incalcolabile non di se stesso, che Gesù ha in mente, ma, quello di ognuno dei suoi fratelli, a partire dai più piccoli e indifesi, quando si lascia andare a quel lamento: “Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Mc 14, 21). Chi tradisce l’attesa di vita, il sogno di felicità, chi contribuisce a perdere anche uno solo di questi piccoli, per arricchire, affermare, privilegiare se stesso (e sono spesso gruppi, classi e società intere), sarebbe meglio non fosse mai nato! Ora, il Figlio dell’uomo ha legato indissolubilmente la sua figura e il suo destino a quello loro, dei piccoli. Per questo muore, per decisione dei Poteri. E chi lo consegna è figura ecclesiastica: Giuda, per l’appunto. Come, figura ecclesiastica, e di quale calibro, niente meno che la roccia della sua comunità, è colui che lo rinnega. Immagine di una chiesa che dice: se il prezzo della mia sopravvivenza è la vita dei poveri, al diavolo i poveri. Non li conosco. E, sempre figure ecclesiastiche, sono Pietro, Giacomo, Giovanni, le tre colonne della Chiesa, che, davanti all’agonia di Gesù, che si perpetua nei secoli dei secoli, dormono indifferenti. Finisce così che gli unici innocenti sono coloro che la società costuma additare come colpevoli. Con i quali Lui, non a caso, non si sentì, né si sente, a disagio. Oggi, là alla chácara, loro: viziati, tossicodipendenti, alcoolizzati. Il cui grido, o il grido delle loro madri (che hanno il loro riscontro nelle donne del Vangelo, anch’esse, figura della Chiesa che ha compassione e si prende cura), è giunto un giorno a Lui: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E non era Lui che lo (li) aveva abbandonati, ma noi. Fino a quando, almeno, ha cantato il gallo. Se ci è capitato di sentirlo. Per poi riconoscerne e accoglierne lo Spirito. Che fa del Crocifisso (e di ogni crocifisso) un Risorto.

DOMINGO_DE_RAMOS.JPGBene, con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa, che ci pone faccia a faccia del mistero centrale della nostra fede.

I testi che la liturgia della solennità odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Vangelo di Marco, cap.11, 1-10; Profezia di Isaia, cap.50, 4-7; Salmo 22; Lettera ai Filippesi, cap.2, 6-11; Passione di Gesù Cristo secondo il Vangelo di Marco, cap.14, 1- 15,47.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di un grande figlia dell’India: Pandita Ramabai, maestra di saggezza e riformatrice sociale.

05 PANDITA.jpgRamabai era nata il 23 aprile 1858 a Karnataka, in India, figlia di un ricco studioso brahmino, Ananta Shastri, e della sua giovanissima moglie. Benché fosse un indù ortodosso, il padre la educò come avrebbe fatto con un ragazzo, insegnandole i testi sacri, poetici e filosofici dell’antichità. Sicché, appena dodicenne, Ramabai sapeva già a memoria centinaia di brani in sanscrito, oltre ad aver imparato il Marathi e altre otto lingue. La sua conoscenza della lingua sacra dell’Induismo le avrebbe guadagnato più tardi il titolo, inconsueto per una donna, di “Pandita”, maestra di saggezza. Durante un lungo viaggio attraverso l’India, Ramabai venne a contatto con le condizioni drammatiche a cui un sistema sociale e religioso antiquato costringeva le donne del suo paese: la sofferenza delle numerosissime vedove-bambine cui era vietato di risposarsi o delle donne destinate a seguire nella morte il coniuge o di quelle costrette a prostituirsi. Questo stato di cose, assieme alla morte per fame del padre e della sorella maggiore, contribuì a minare le credenze religiose che le erano state inculcate nella fanciullezza. Giunta con il fratello, nel 1878, a Calcutta, decise, due anni dopo, in aperta sfida alle convenzioni soviali e religiose, di sposare un avvocato appartenente alla casta dei shudra, ma, dopo soli sedici mesi, la morte del marito a causa di un’epidemia di colera la lasciò vedova e con una figlia. Da allora Ramabai sentì sempre più forte l’impulso a dare il suo contributo alla lotta per la liberazione della donna in India. Aprì centri per accogliere vedove e orfani a Poona e a Bombay, dove venivano offerti loro un’istruzione di base e un avviamento professionale. Nel 1883 accettò l’invito a visitare l’Inghilterra rivoltole da una congregazione di suore anglicane. Là, dopo uno studio approfondito della Bibbia, chiese di ricevere il battesimo. Diventare cristiana, tuttavia, non significò per lei rinnegare le sue radici, ma incontrare quella Buona Notizia portata ai più piccoli e poveri, che lei vedeva concretamente incarnata nel servizio reso alle donne e agli esclusi dal sistema sociale vigente. In seguito sarebbero stati i suoi nuovi correligionari i suoi critici più severi, insoddisfatti del suo disinteresse a fare delle sue opere sociali uno strumento di proselitismo. E, coerentemente, nei suoi ultimi anni, avrebbe pregato non per la conversione degli Indú, ma per quella degli indiani cristiani. Dopo aver imparato greco ed ebraico, dedicò gli ultimi quindici anni di vita alla traduzione della Bibbia in lingua Marathi. Il 5 aprile 1922, dopo aver riletto l’ultima bozza, morì. Aveva sessantaquattro anni.

Noi, ora, ci lasciamo. E, dando la precedenza alla Settimana Santa che si è aperta giusto oggi, vi offriamo il brano di un’omelia di Padre David Maria Turoldo, pronunciata nella Domenica delle Palme, il 2 aprile 1977. È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ascoltare in silenzio, meditare in silenzio; e allargare il cuore sul mondo, in silenzio; e sentirsi in comunione con tutti i poveri della terra, con tutte le vittime che cadono sotto i colpi dell’ingiustizia e del male: tutte le vittime uccise ogni giorno dal potere sempre impaurito e scontento. In silenzio. E dire a voce alta solo le preghiere stabilite, ma dirle con la voce di tutti i giusti del mondo; e cantare ciò che si deve cantare; cantare con i santi, con i fanciulli, con gli angeli, con tutta la Chiesa pellegrina e beata: perché è così, è solo così che si devono celebrare i misteri di Dio e dell’uomo. E cessiamo di fare chiasso, di disturbare lo Spirito Santo; cessiamo di sciupare e di rovinare la grazia, il tempo in cui Dio tenta di salvarci e di salvare il mondo. Cessiamo di avere fretta e di fare il verso dei burattini dagli altari. Chi ha fretta non ci venga: non vada in chiesa! Perché chi non ha tempo per Iddio, non ha tempo neppure per l’uomo. Varcare la soglia di una chiesa dovrebbe essere come uscire dal tempo e immergersi nell’eterno: ma non per evadere, e fuggire, e alienarsi, ma per caricarsi di Dio, appunto della sua parola, per poi ritornare e magari esplodere. E ruminare dentro il cuore ogni evento, tutto questo rutilare di misteri, che poi sono i misteri che intrecciano tutta la nostra esistenza. Ruminarli nel silenzio: pregare la parola, mangiare la parola. Come faceva la Vergine che “serbava ogni cosa nel suo cuore”. Ed è lei appunto l’immagine della Chiesa, di come dev’essere e di ciò che deve fare la Chiesa; cioè come accogliere la parola e comprenderla. Perché solo così può sperare di comporre il suo magnificat, di arrivare a cantare l’alleluia della vita nuova. Così facciamo almeno per la settimana santa. (David Maria Turoldo, Omelia per la Domenica delle Palme).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-05T23:49:00+02:00da fraternidade
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