Giorno per giorno – 23 Marzo 2009

Carissimi,
“Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: Se non vedete segni e prodigi, voi non credete. Ma il funzionario del re insistette: Signore, scendi prima che il mio bambino muoia. Gesù gli risponde: Va’, tuo figlio vive” (Gv 4, 46-50). “Questo fu il secondo segno che Gesù fece tornando dalla Giudea alla Galilea” (v.54). Dei “segni” che Gesù produce non è importante quanto siano strepitosi, né il potere che manifestano e, meno ancora, il loro effetto promozionale – tanto è vero che Gesù li compie spesso in segreto -. È fondamentale invece ciò che ci “segnalano” di Dio. Questo, a dire il vero, se non ci limitiamo a credere alle doti taumaturgiche di Gesù, ma prendiamo sul serio la sua rappresentanza divina, il suo essere immagine – Figlio – del Padre. E ciò che viene fuori è, appunto, sempre e in ogni caso, la cura e la tenerezza di un Dio che si preoccupa dei suoi figli e figlie, soprattutto dei più bisognosi, e si dà da fare per allontanare da essi ciò che ne causa la sofferenza o l’emarginazione. Solo che questa non è l’immagine scontata che noi si ha di Dio e, per capirla, bisogna in qualche modo averne prima fatto l’esperienza, nel senso di esserne stati raggiunti o di viverla in prima persona. Per questo a volte ci è capitato di dire che una madre capisce più del Dio di Gesù e della Bibbia, che non un teologo a tavolino. Perciò chi ha bisogno di azioni differenti da parte di Dio, come una vittoria in guerra, la conquista di un territorio, il successo o la ricchezza della nostra nazione, l’affermazione della nostra chiesa, e così via, può rivolgersi tranquillamente altrove: un qualche dio, o un suo solerte agente, che provvedano alla bisogna, lo troverà sempre.

Due sono memorie che il calendario ci consegna oggi: quella di Turibio di Mongrovejo, pastore e difensore degli indios, e quella di Nicholai Berdyaev, filosofo e pensatore religioso.

23 TURIBIO di MONGHROVEJO.jpgTuribio Alfonso di Mongrovejo era nato nel 1538 da una nobile famiglia a Leon, in Spagna. Da giovane aveva studiato Diritto canonico all’Università di Salamanca. Quando nel 1580 papa Gregorio XIII lo volle vescovo di Ciudad de los Reyes (l’attuale Lima), Turibio non era neppure prete. Ricevette quindi tutti assieme gli ordini previsti per essere consacrato. In quel tempo la diocesi di Lima era assai grande e importante e la sua giurisdizione si estendeva su gran parte del territorio dell’America Latina. La situazione del Paese che incontrò al suo arrivo gli mostrò in tutta la sua gravità i danni arrecati dalla conquista, soprattutto per quanto riguardava i rapporti instaurati dai coloni bianchi con le popolazioni indigene e con gli schiavi africani. Sicché Turibio ritenne doveroso denunciare tale stato di cose e favorire una migliore qualità del clero, richiamando con severità e durezza quei preti che, per ignoranza o opportunismo, avevano preferito porsi al servizio dei conquistadores piuttosto che testimoniare con coraggio la Parola di Dio. Si premurò di imparare le lingue locali, per comunicare direttamente con la sua gente, ascoltarne le richieste ed i bisogni, e poi evangelizzarla nelle forme ritenute più rispettose della sua dignità. Alieno alle cerimonie di corte e ai rituali sontuosi, che gli sottraevano tempo prezioso al contatto diretto con i fedeli, compì tre lunghissime visite pastorali in tutto il territorio della diocesi. Fu proprio durante il terzo di questi viaggi che Turibio cadde ammalato nel nord del Perù, incontrando la morte a Saña, il 23 marzo 1606, Giovedì santo.

23 Nikolai Alexandrovich Berdyaev.jpgNikolai Alexandrovich Berdyaev era nato in una famiglia aristocratica il 6 marzo 1874 a Kiev (Ucraina). Educato in un collegio militare, era passato successivamente all’Università di Kiev, dove prese progressivamente coscienza dell’ingiustizia che regnava nella società. Aderì al marxismo, impegnandosi nelle attività dei movimenti clandestini rivoluzionari. Condannato a tre anni di esilio, li scontò nella provincia di Vologda, dove potè comunque proseguire i suoi studi. Aiutato dalla lettura di Dostoevsky, scoprì i limiti della filosofia materialista, e al suo ritorno a Kiev abbracciò il cristianesimo ortodosso. Ma non ebbe vita tranquilla. Animato com’era dall’esigenza di un radicale cambiamento sociale e profondamente deluso dall’identificazione della gerarchia ortodossa con il potere zarista, nel 1913 scrisse un articolo in cui denunciava apertamente tale atteggiamento del Santo Sinodo. Questo gli valse l’arresto, per essere incorso nel reato di bestemmia. Solo lo scoppio della guerra e il suo esito rivoluzionario gli evitarono la condanna all’esilio perpetuo in Siberia che tale accusa prevedeva. Il regime bolscevico gli offrì una cattedra di filosofia all’Università di Mosca, ma, conoscendo il nostro, la cosa non poteva durare. Dopo essere stato imprigionato due volte, nel 1922 fu arrestato e bandito dall’Unione Sovietica, sotto pena di morte. Si stabilì prima a Berlino, dove fondò un’Accademia Russa di Filosofia e Religione, e, successivamente a Clamart, nei pressi di Parigi, dove insegnò in un’istituzione analoga, partecipando a dibattiti ecumenici e offrendo preziosi contributi sulle tematiche filosofiche e religiose. Berdyaev seppe guardare con lucidità al processo di disumanizzazione che il materialismo, nelle sue varianti capitalista e collettivista, aveva innestato. Tuttavia, il peggio era per lui rappresentato dalla resa del cristianesimo allo spirito “borghese”, che si dà là dove le chiese sostituiscono la sicurezza dell’istituzione alla proposta sovversiva del “regno di Dio”, con cui Cristo sfida la storia di ogni tempo. Berdyaev morì il 23 marzo 1948.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.65,17-21; Salmo 30; Vangelo di Giovanni, cap.4, 43-54.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Forse, nella riflessione sulla Chiesa, che le differenziate e spesso contrastanti prese di posizione su una serie di tematiche emerse negli ultimi tempi, ci sembrano sollecitare, potrà essere di aiuto quanto scrisse Nicholai A. Berdyaev, nel suo articolo dal titolo “La verità dell’Ortodossia”, che noi rintracciamo in rete e che era apparso originariamente nel “Vestnik of the Russian West European Patriarchal Exarchate”, Paris 1952. Nel congedarci, ve ne proponiamo, qui di seguito, un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La peculiare caratteristica dell’Ortodossia è la libertà. Questa realtà interiore non è osservabile all’esterno ma è presente dappertutto. L’idea della libertà come fondamento dell’Ortodossia è stata presentata nel pensiero religioso russo del XIX e XX secolo. L’ammissione della libertà di coscienza distingue radicalmente la Chiesa Ortodossa da quella Cattolica. Ma la comprensione di libertà nell’Ortodossia è differente dalla comprensione di libertà che ha il Protestantesimo. Nel Protestantesimo come in tutto il pensiero occidentale, la libertà è compresa individualisticamente, come un diritto personale, da conservarsi da ogni abuso altrui. Perciò viene dichiarata autonoma. L’individualismo è estraneo all’Ortodossia. Ad essa appartiene un collettivismo particolare. Una persona religiosa e una collettività religiosa non sono incompatibili tra loro. La persona religiosa è tale grazie ad una collettività religiosa e la collettività religiosa è fondata da persone religiose. In tal modo la collettività religiosa non diviene un’autorità esterna che opprime esternamente la persona stessa con insegnamenti e leggi. La Chiesa non è all’esterno delle persone religiose e tantomeno si oppone ad esse. La Chiesa è con loro e in mezzo a loro. In tal modo non è un’autorità. La Chiesa è una realtà piena di grazia che esprime unità, amore e libertà. Ogni genere di autoritarismo è incompatibile con l’Ortodossia perché questo comporta una frattura tra la collettività religiosa e la persona religiosa, tra la Chiesa e i suoi membri. Non può sussistere alcuna vita spirituale senza libertà di coscienza; non può sussistere neppure un vero concetto di Chiesa dal momento che essa non tollera degli schiavi in sè, poiché Dio vuole che la persona sia libera. Ma l’autentica libertà religiosa e di coscienza, la libertà dello spirito, è resa evidente quando non è isolata autonomamente in una singola personalità, divenendo individualismo, quando è in una personalità consapevole d’essere una sovrapersonale unità spirituale, in unità con un organismo spirituale nel Corpo di Cristo, cioè nella Chiesa. (Nicholas A. Berdyaev, La verità dell’Ortodossia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-23T23:46:00+01:00da fraternidade
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