Giorno per giorno – 21 Marzo 2009

Carissimi,
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini” (Lc 18, 11). Forse la nostra preghiera non sarà mai stata così perentoria, ma categorie di persone di cui, neppur troppo velatamente, ci riteniamo migliori ce n’è probabilmente un buon numero. Lo rivelano i commenti che si fanno, le chiacchiere che si scambiano, ma persino, a volte, le riflessioni che vengono fuori nei nostri incontri, dove risulta, poco evangelicamente, più facile applicare agli altri che a noi stessi i comportamenti negativi denunciati dal Vangelo. Quando, invece, dovremmo sentirci sollecitati a guardare a noi stessi. “Poiché gli uomini sono tutti peccatori, disobbediscono a Dio e violano le sue leggi e i suoi comandamenti, nessuno può essere giustificato e reso giusto davanti a Dio in virtù delle proprie azioni, per quanto buone esse appaiano; viceversa ognuno è necessariamente costretto a ricercare un’altra giustizia o giustificazione che si ottiene dalle mani stesse di Dio, ossia la remissione, il perdono dei peccati e delle trasgressioni commesse”. Lo diceva, in una delle sue omelie, l’arcivescovo Thomas Cranmer, che doveva conoscere le sue fragilità e debolezze. In tempi in cui, più pericolosamente di quanto non accada oggi, lo scontro tra i poteri, da un lato, e la testimonianza dell’Evangelo, dall’altro, esigevano di prendere partito. Comunque, come formula di confessione di colpa, c’è da giurare che, almeno in chiesa, tutti la sottoscriveremmo volonterosamente. Salvo, poi, evitare di tirarne le conseguenze pratiche. Perché, per esempio, nonostante il precetto di non giudicare che essa implica, noi non si può fare a meno di giudicare ad ogni passo. E così si giudica che le nostre personalissime colpe abbiano sempre una qualche giustificazione, mentre quelle degli altri, magari identiche alle nostre, no. Come anche i “nostri” – per ragione di famiglia, tribù, ambiente, nazionalità, colore della pelle, classe, partito, ideologia, religione, chiesa, movimento di chiesa – hanno diritto sempre ad uno sguardo benevolo, mentre sugli “altri” si può andare giù duro. “Sì, Dio, ti ringraziamo, perché non siamo come gli altri uomini. Noi siamo un po’ più su, loro un po’ più giù”. Però, così, siamo più lontani da Dio. Perché Lui è il più giù di tutti.

Il 21 marzo, che segna per voi l’entrata nella primavera, e per noi l’inizio dell’autunno, ci porta la memoria del Transito di Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale. Noi, seguendo la maggior parte delle Chiese, ne ricorderemo, tuttavia, la figura, l’11 di Luglio. Oggi ricordiamo, con la Chiesa anglicana, Thomas Cranmer, martire della Riforma

21 THOMAS CRANMER BIS.jpgThomas Cranmer era nato il 2 luglio 1489 a Aslockton, nella contea inglese del Nottinghamshire. Dopo gli studi a Cambridge, nel Jesus College, il giovane ottenne, nel 1510, il titolo di Maestro d’arti liberali, divenendo professore dello stesso collegio. Eletto nel 1533 arcivescovo di Canterbury, nell’annosa diatriba che opponeva in quegli anni la casa reale inglese alla Chiesa di Roma, circa la legittimità dello scioglimento del matrimonio di Enrico VIII e di Caterina d’Aragona, Cranmer si schierò a favore del re, sulla scia delle opinioni espresse dalla maggioranza delle principali università europee. Il papa reagì con la scomunica del re, di Anna Bolena, la sua nuova sposa, e dello stesso primate inglese. Negli anni successivi, Cranmer continuò a mostrare una forse eccessiva arrendevolezza nei confronti dei desideri di Enrico VIII: fu favorevole alla condanna di Anna Bolena, al divorzio da Anna di Cleves (che comportò la condanna al patibolo del Lord Cancelliere Thomas Cromwell), e al processo ed esecuzione della quarta moglie, Caterina Howard. Dopo la morte di Enrico VIII, durante il regno di Edoardo VI, Cranmer curò la pubblicazione del Book of Common Prayer (il Libro della Preghiera Comune), compilato per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo medioevale. Coinvolto nella lotta per la successione al re Eduardo VI, Cranmer appoggiò, sia pur controvoglia, le pretese della cugina del re, Lady Jane Grey. Ma, sfortunatamente per lui, salì al trono la figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona, la cattolica Maria Tudor. La cui vendetta fu pronta e dura. Accusato di tradimento, l’arcivescovo fu condannato a morte. Se la sentenza non venne eseguita subito, fu solo perché, nel frattempo, Cranmer fu raggiunto anche dall’accusa di eresia. Durante il processo, nella speranza di salvarsi la vita, arrivò a firmare un’abiura scritta, ma fu ugualmente condannato. Il 21 marzo 1556, dopo aver ritrattato la sua precedente abiura, Cranmer si diresse al rogo preparato per lui, ad Oxford, con calma e coraggio e, prima che le fiamme lo investissero, stese la mano destra, dicendo: “Giacché la mia mano ha recato offesa, scrivendo il contrario di quello che sentiva il mio cuore, sarà la mia mano la prima ad essere punita”. La Chiesa d’Inghilterra lo ricorda come martire.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.6, 1-6; Salmo 51; Vangelo di Luca, cap.18, 9-14.

La preghiera del Sabato è in comunione con tutte le comunità ebraiche.

Oggi ricorre la Giornata internazionale contro il razzismo (promossa dall’Onu nel ricordo del massacro avvenuto a Sharpeville, in Sudafrica, il 21 marzo 1960): un’occasione per domandarci quanto il linguaggio, i discorsi, gli atteggiamenti e le categorie mentali che ci caratterizzano in casa, a scuola, sul posto di lavoro, o altrove, diano fiato a luoghi comuni, pregiudizi, diffidenza e disprezzo, contribuendo ad erigere nuovi muri di separazione, di intolleranza e di violenza. E per chiederci cosa potremmo fare per cambiare noi stessi e il brutto mondo che ci costruiamo intorno.

È tutto. Il 21 marzo del 2006 ricorreva il 450° anniversario del martirio di Thomas Cranmer. Nell’occasione il primate della Chiesa anglicana, Rowan Williams, pronunciò il sermone, di cui nel congedarci, vi proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Cranmer non è il solo teologo ad aver scoperto, alla fine, il fallimento delle proprie parole. Già Tommaso d’Aquino, dopo il suo crollo, aveva affermato che tutto ciò che aveva scritto gli sembrava niente più che paglia; e Karl Barth, con una sorta di disarmante malizia, in un’intervista, aveva sintetizzato la sua Dogmatica ecclesiale nelle parole: “Gesù mi ama, è questo che so, perché la Bibbia mi dice così”. Ma né Barth né l’Aquinate avrebbero potuto dire che non esiste altra via fuori da questa semplice e quasi totale assenza di discorso, se non scoprendo, proprio nell’esperienza dello sforzarsi di parlare di Dio, quel limite oltre il quale nessuna lingua umana può andare. “La parola di Dio non è incatenata”. Ai confini del discorso, noi siamo solo agli inizi della pienezza del Vangelo. Così Cranmer, da una vita di abilità ed equilibrio, tira la conclusione terribile e appropriata dell’ ‘applicare rettamente la parola di verità’: ciò che appare, a poco a poco, nelle nostre parole su Dio, quando sono dettate e infiammate dalla Parola, è la percezione che Dio eccede sempre ciò che può essere detto. […] Il limite delle nostre possibilità: cioè l’ambito della fede e quello a cui il linguaggio dell’adorazione ci deve condurre. Esso ha portato Cranmer – come molti altri in quell’epoca da incubo, e molti martiri della nostra epoca, Bonhoeffer, Maria Skobtsova, Janani Luwum – a qualcosa di più che a un silenzio contemplativo: a una morte reale. Quando diciamo che la Parola di Dio non è incatenata, diciamo che la stessa morte può essere il discorso vivente di Dio, poiché la Parola fu pronunciata una volta per tutte nel silenzio, alla fine del Venerdì Santo. Cranmer parla non solo nella passione controllata delle composizioni e ripetizioni del suo “Libro della Preghiera Comune”, ma anche in quell’ultimo terribile quarto d’ora della sua vita. Procedendo sotto una pioggia torrenziale in direzione del fossato della città, teneva alta dinanzi a sé la mano destra, la mano con cui usava scrivere, per una composizione finale, una liturgia finale. E, poiche la parola di Dio non è incatenata, è come se quella mano tra le fiamme diventasse un’icona della mano destra della Maestà stesa verso di noi in un gesto di difesa e di misericordia. (Rowan Williams, The Martyrdom of Thomas Cranmer).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-21T23:30:00+01:00da fraternidade
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