Giorno per giorno – 06 Marzo 2009

Carissimi,
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5, 20-22). Parole severe quelle di Gesù. Non dissimili da quelle di alcuni maestri del suo tempo, che ricordavano: il comandamento è di non spargere il sangue, ora, chiunque umilia il suo prossimo, chiunque lo fa arrossire di vergogna, è come se ne spargesse il sangue, è perciò lui stesso omicida. La mattina, alla preghiera, noi non siamo molti, sei, sette, otto persone al massimo. Che oggi, quando, in apertura, si è fatta la memoria della vita, erano tutte, tra lo smarrito e l’indignato. Perché noi non siamo abituati a pastori così. Come quello che è entrato, alla stregua di un carro armato, in una storia, già di per sé fin troppo dolorosa, triste e drammatica. La storia parla di una bambina di nove anni che, assieme alla sorella quattordicenne (handicappata psichica), era costretta da tre anni a subire le violenze del giovane patrigno. Tali violenze si sono tradotte negli ultimi tempi in una gravidanza gemellare per la bambina più piccola, un fuscello di trentasettechili di peso. Che sua madre, il giorno in cui questa accusa forti dolori al ventre, porta in ospedale a Recife. E lì viene fuori la verità, amarissima. Con tutto ciò che ne segue. L’arresto del patrigno e la decisione di interrompere la gestazione della bimba. La storia potrebbe anche chiudersi qui, con in più, soltanto, il rispetto, il silenzio, l’abbraccio umano di quanti sono ancora capaci di voler bene. Tra cui, sperabilmente la gente di chiesa. Per alleviare, se mai fosse possibile, l’eccesso del dolore. E invece. Invece arriva fuori lui, il pastore, che da Gesù dovrebbe aver imparato il primato della misericordia, l’invito a non giudicare, la generosità fino al dono della vita. Ma che, sfortunatamente, “mica tutti ne sono capaci”. E così lui sale in cattedra, non sia mai per denunciare i potenti, ma per umiliare e schiacciare i poveri e chi si è fatto toccare dall’enormità della loro sofferenza. E scomunica quanti, per altro, hanno agito nel rispetto della legge: la direzione dell’ospedale dove si è svolto l’intervento, l’equipe medica che lo ha realizzato, la madre che lo ha autorizzato. La bambina non ha invece potuto formalmente scomunicarla, ma solo perché è minorenne. Fosse stato per lui, chissà! Del resto lui è lo stesso “pastore” inviato nel 1985 all’archidiocesi di Olinda e Recife, per sostituire dom Helder Câmara, normalizzare quella chiesa, demolire sistematicamente il lavoro pastorale del profetico arcivescovo dei poveri. Il medico che ha coordinato l’intervento, il dott. Rivaldo Mendes de Albuquerque, cattolico, ha dichiarato: “Non riceviamo un solo centesimo per questo tipo di operazioni. Lo facciamo per il rispetto che una donna (in questo caso una bambina!) vittima di violenza merita, e che l’arcivescovo, sfortunatamente, tratta senza nessuna misericordia. È curioso che chi ci ha condannato alla scomunica non ha proferito una sola parola diretta all’uomo che ha stuprato questa bambina. Per dom José Cardoso Sobrinho, l’unica cosa che conta è il Diritto Canonico. Gli manca il cuore. Ho compassione del nostro arcivescovo, che non ha saputo essere misericordioso con una bambina innocente”. Ha ragione il dott. Rivaldo: non smarrimento, non indignazione, solo compassione. Chissà che domani, salendo all’altare quel vescovo riesca a ricordare la frase di Gesù: “Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24), e magari, tutto paramentato, vada a cercare quella madre e le sue bimbe, e gli si inginocchi davanti e chieda loro perdono. Per intanto facciamolo noi, ci sarà rimasto qualche cristiano nella chiesa di Olinda e Recife, vero?

Due sono le figure che ricordiamo oggi: Martin Niemoeller, pastore della Chiesa Confessante, e Jean-Pierre de Caussade, mistico e maestro spirituale.

06 MARTIN NIEMOLLER.jpgMartin Niemoeller era nato il 14 gennaio 1892 a Lippstadt, in Germania, dalla famiglia di un pastore evangelico. Durante la Prima Guerra Mondiale comandò un sommergibile della Marina tedesca. Anticomunista, aveva appoggiato inizialmente l’ascesa al potere di Hitler. Almeno fino a quando non si rese conto, nel 1934, del pericolo che il nazismo rappresentava per la vita e la testimonianza della Chiesa. Fu questo che portò lui e altri 2500 pastori luterani a firmare la Dichiarazione di Barmen con cui si denunciava il processo di progressiva identificazione della chiesa con lo Stato nazionalsocialista, voluto dal movimento razzista e antisemita dei Deutschen Christen, che presto conquistò la maggioranza dei consensi in seno alle chiese evangeliche. Costoro sognavano l’alleanza tra croce uncinata e croce cristiana, dichiaravano Hitler l’unto del Signore, investito di una missione divina per risollevare le sorti della Germania, pretendevano che potessero accedere all’ufficio di pastori solo gli appartenenti alla razza ariana e imponevano il giuramento di fedeltà a Hitler. In reazione alla Chiesa del Reich, nacque, per iniziativa di Niemoeller la Lega d’emergenza dei pastori e, successivamente, con Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer, la Chiesa confessante con il compito salvare il messaggio cristiano dall’ideologia paganeggiante del nazismo. Una predica su questi temi, tenuta da Niemoeller nella chiesa di Dahlem, il 5 marzo 1935, provocò l’arresto di oltre settecento pastori evangelici. Il 1° luglio 1937 fu la volta di Niemoeller. Processato l’anno seguente e condannato a sette mesi di prigione, dopo il suo rilascio, fu nuovamente arrestato per ordine personale di Hitler. Confinato a Sachsenhausen e poi a Dachau, vi restò fino alla Liberazione nel 1945. Dopo la Guerra, Martin Niemoeller fu eletto Presidente delle chiese protestanti e, nel 1961, presidente del Consiglio mondiale delle Chiese. La sua lotta a favore del disarmo, la difesa di una posizione neutrale tra le due Germania, la sua lotta per la pace, gli valsero l’ostracismo da parte di molti politici occidentali. Niemoeller continuò imperturbabile a servire l’Evangelo della Pace fino alla fine dei suoi giorni. Confessò che la chiave della sua visione etica consisteva nel chiedersi in ogni situazione: Cosa farebbe Gesù al mio posto? Morì il 6 marzo 1984.

06 JEAN_PIERRE_DE_CAUSSADE.JPGNon sappiamo molto di Jean-Pierre de Caussade, salvo il fatto che nacque nel 1671 e che entrò nella Compagnia di Gesù, a Tolosa, nel 1693. Svolse il suo ministero in compiti relativamente insignificanti. Per un anno fu direttore spirituale delle Suore della Visitazione, a cui indirizzò una serie di lettere, che in seguito furono raccolte nel testo “Abbandono alla Divina Provvidenza”, in cui de Caussade sottolinea l’importanza del sacramento del momento presente: incontrare Dio negli avvenimenti più umili del nostro quotidiano. Morì il 6 marzo 1751.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.18, 21-28; Salmo 130; Vangelo di Matteo, cap.5, 20-26.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco di misericordia.

In una delle numerose lettere indirizzate a Mère Marie-Thérèse de Vioménil, di cui era guida spirituale, Jean-Pierre de Caussade mette in guardia la religiosa dall’esercitare uno zelo indiscreto, amaro e agitato nei confronti delle monache affidate alla sua responsabilità. E le suggerisce una preghiera per acquistare la virtù dello zelo nella carità. È tratta dal volume “Lettres Spirituelles” (Desclée De Brouwer) e noi ve la proponiamo, nel congedarci, come nostro.

PENSIERO DEL GIORNO
Mio Dio, la carità è la regina delle virtù, io non devo perciò più praticare quella dello zelo se non quando tu mi avrai messo in condizione di farlo senza alterare la carità che io devo agli altri e a me stesso; quando mi sentirò abbastanza forte, o, meglio, abbastanza umile, per esercitare lo zelo con la pace profonda dell’anima, con tutta la dolcezza, la compassione, l’accondiscendenza per il prossimo; con favore, con bontà, con una carità che non s’inasprisca di nulla, che non si scandalizzi di niente eccetto che dei propri difetti; con tutta la pazienza e la longanimità che fa sì che si sopportino i difetti altrui tranquillamente e così a lungo quanto li sopporti tu, mio Dio, e che non si resti scossi, né turbati, né stupiti a causa dell’incorreggibilità degli altri. (Jean Pierre de Caussade, Lettres Spirituelles).

Amen. Che sia così anche per noi. Poco a poco.

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Marzo 2009ultima modifica: 2009-03-06T23:58:00+01:00da fraternidade
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