Giorno per giorno – 23 Febbraio 2009

Carissimi,
“Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: “Spirito muto e sordo, io te l’ordino, esci da lui e non vi rientrare più”. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi” (Mc 9, 25-27). Stamattina ci chiedevamo chi rappresentasse il “figlio posseduto da uno spirito muto” del racconto che avevamo appena ascoltato e Valdecí ha ricordato ciò che diceva tempo fa Rafael, che, cioè, ogni personaggio evangelico rappresenta un modo nostro di essere o di agire, individualmente o comunitariamente. Così, anche quel ragazzo può essere ciascuno di noi, o la nostra comunità, la chiesa, la società, quando si mostra incapace di ascoltare, e di ridire perciò, a sua volta, l’annuncio di liberazione portato da Gesù. In quel gioco degli specchi che si rivela essere quasi sempre ogni episodio narrato, la malattia del ragazzo riflette e mette a nudo la stessa impotenza dei discepoli, l’incredulità dei più, e la difficile, incipiente, fede del padre. (A proposito, dove ci situiamo noi?). Ma anche, contemporaneamente, è ciò che rende possibile un risveglio della coscienza, spinge il padre a prendere l’iniziativa e, quanto ai discepoli, mortificandone l’amor proprio, li spinge a conversione. Ma, soprattutto, ridisegna la figura della fede come l’apertura all’univoco e vittorioso intervento di Gesù (il significato di Dio) nella lotta contro il male. Ma bisogna permetterglielo. “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (v.29). E la preghiera non può che essere espressione della nostra fede, e perciò della profonda e completa sintonia, ad ogni livello (economico, sociale, politico, religioso), con il progetto di vita del Padre. È questo che permette al ragazzo di risorgere (v.27), cioè allo spirito di Gesù (il principio della cura) di rivivere. In noi stessi, nelle nostre comunità e chiese, nella società. Per dirla con le parole dell’ultima Circolare fraterna di Dom Pedro Casaldáliga: “Noi ci atteniamo alla parola di Gesù: ‘Sono venuto a portar fuoco sulla terra; e che posso desiderare di più se non che arda’ (Lc 12,49). Con umiltà e coraggio, al seguito di Gesù, cercheremo di vivere questi sogni nel quotidiano delle nostre vite. Continueranno ad esserci crisi e l’Umanità, con le sue religioni e le sue Chiese, continuerà ad essere santa e peccatrice. Ma non mancheranno le campagne universali di solidarietà, i Forum Sociali, Le Vie Campesine, i movimenti popolari, le conquiste del Senza-terra, i patti ecologici, le vie alternative della Nostra America, le Comunità ecclesiali di base, i processi di riconciliazione tra lo Shalom e il Salaam, le vittorie indigene e afro e, in ogni caso, una volta di più e sempre, “io mi attengo al detto: la Speranza”. Anche noi.

Bene, oggi si celebra la memoria di Policarpo di Smirne, pastore e martire.

23_POLICARPO.JPGPolicarpo nacque probabilmente nel 69 d.C. da una famiglia benestante di Smirne (nell’attuale Turchia) e secondo lo storico Eusebio “non solo fu educato dagli Apostoli e visse con molti di quelli che avevano visto il Signore; ma fu anche dagli Apostoli stabilito nell’ Asia come vescovo di Smirne”. Questo incarico gli deve essere stato affidato intorno all’anno 100. Durante il suo episcopato, nell’anno 107, accolse a Smirne il vescovo di Antiochia, Ignazio, che veniva portato a Roma per subirvi il martirio. E fu proprio Policarpo a raccogliere, su richiesta dei Filippesi, le lettere di Ignazio, che costituiscono uno dei documenti scritti più antichi della primitiva comunità cristiana. Quando Aniceto divenne papa di Roma, Policarpo si recò a Roma per dirimere con lui il contrasto sulla data di celebrazione della Pasqua, che in oriente si celebra in coincidenza con il 14 del mese ebraico di Nisan e in occidente nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera. I due non trovarono un accordo, ma decisero che questo non doveva tradursi in motivo di rottura o separazione. Tornato a Smirne, il vecchio Policarpo, che aveva 86 anni suonati, trovò una situazione pesante nella sua comunità. All’imperatore Antonino il Pio, nonostante il soprannome, non dispiaceva scatenare ogni tanto qualche persecuzione nei confronti dei cristiani. E, in provincia, non mancavano zelanti funzionari per eseguire le direttive imperiali. Poco dopo il suo ritorno in patria, il vecchio vescovo, fu arrestato e portato a palazzo del proconsole Stazio Quadrato, che lo sollecitò ripetutamente a sacrificare agli dèi e a maledire Cristo, per tornare libero. Policarpo gli obiettò: “Sono ottantasei anni che lo servo, e mai mi ha fatto torto. Come posso bestemmiare il mio re e salvatore?”. Rifiutò di difendersi di fronte alla folla, arrampicandosi poi da solo sulla catasta pronta per il rogo. Chiese ed ottenne che non lo inchiodassero, ma le guardie comunque lo legarono. Fu finito con la spada. Era il 23 febbraio 155.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.1, 1-10; Salmo 93; Vangelo di Marco, cap.9, 14-29.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Bene, noi ci lasciamo qui. Non senza offrirvi, prima di andarcene a letto, (dove teneremo inutilmente di dormire, a causa della musica assordante di questa penultima notte di Carnevale), un brano della “Lettera di Ignazio di Antiochia a Policarpo”. Che contiene consigli buoni, validi per tutti, e che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ti esorto nella carità che hai a proseguire nel tuo cammino e ad incitare tutti a salvarsi. Dimostra la rettitudine del tuo posto con ogni cura nella carne e nello spirito. Preoccupati dell’unità di cui nulla è più bello. Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai. Cura le preghiere che non si interrompano; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia possedendo uno spirito insonne. Parla a ciascuno nel modo conforme a Dio. Sostieni come perfetto atleta le infermità di tutti. Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno. Prudente come un serpente e semplice come una colomba. Se ami i discepoli buoni, non hai merito; piuttosto devi vincere con la bontà i più riottosi. Non si cura ogni ferita con uno stesso impiastro. Calma le esacerbazioni (della malattia) con bevande infuse. In ogni cosa sii prudente come un serpente e semplice come la colomba. Per questo sei di carne e di spirito, perché tratti con amabilità quanto appare al tuo sguardo; per ciò che è invisibile prega che ti sia rivelato, perché non manchi di nulla e abbondi di ogni grazia. Il tempo presente esige che tu tenda a Dio, come i naviganti invocano i venti e coloro che sono sbattuti dalla tempesta il porto. Come atleta di Dio sii sobrio; il premio è l’immortalità, la vita eterna in cui tu credi. (Ignazio di Antiochia, Lettera a Policarpo, I-II).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-23T23:28:00+01:00da fraternidade
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