Giorno per giorno – 24 Febbraio 2009

Carissimi,
“Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9, 35-37). Loro, i Dodici, che sono considerati in senso stretto antesignani dei nostri vescovi, ma sono in generale figura di noi tutti, avevano appena finito di litigare su chi tra loro era più importante, e questo, ammesso che possa consolare noi, aveva fatto però cadere le braccia a Lui. Il quale, in ogni caso, senza per nulla demordere, con la consueta mitezza e pazienza aveva ripreso le fila di quel discorso, così oscuro e incomprensibile per loro e per noi, duri d’orecchi, di mente e di cuore. Eppure, la croce, poiché di questo si tratta, non è così distante dall’esperienza che anche noi possiamo fare o toccare. La croce è chiedersi chi c’è al centro delle mie attenzioni, e poi scegliere che ci sia comunque l’altro. Non un generico altro, ma, come dice Gesù, il più piccolo, insignificante, inutile, senza identità propria, com’è, appunto, un bambino. A definire il quale, un nome, anche quando c’è, non è mai sufficiente, dato che il piccolo è sempre appendice di qualchedun altro e, come ci dicevamo stasera a casa di dona Cristina, se a nessuno verrebbe da chiedere di chi è figlia dona Nady, o Vicentina, o Maria, per definire Brenda, o Amanda o Kemi c’è invece bisogno di aggiungere: è figlia di. Poi ci sono quelli che, non solo non hanno nome, ma neppure sono figli di, o lo sono di un insulto, o sono il mestiere che fanno, il colore della loro pelle, il popolo a cui pensiamo che appartengano. Questi sono gli “ultimi” che per noi devono essere i “primi”. Sempre e comunque. Cominciando, se ancora non lo facciamo, con il fatto di chiamarli per nome, onorarli col saluto, aprirci con curiosità alla conoscenza della loro cultura, condividerne i problemi, offrir loro e riceverne l’amicizia, proporre, quando necessario, il nostro aiuto solidale. Ma, c’è di più: gli ultimi devono essere al centro anche delle nostre celebrazioni, con le relazioni nuove che esse significano, rappresentano, inaugurano. A noi, per esempio, non importerebbe un fico secco che il vescovo non ricordasse il nome del governatore o del sindaco o di qualsivoglia personalità benemerita, e che neanche li salutasse se si fanno vedere a messa, ma ci piace invece un sacco quando, su all’Aparecida, il nostro (anche se qualche volta s’ingarbuglia, ma almeno si sforza), ricorda i nomi di Divino, dona Luisa, seu Manuel, dona Dominga e quant’altri. E magari i nostri non sanno che lui si chiama dom Eugenio o lo confondono con frei Casimiro (che non c’azzecca proprio, salvo forse per la statura). Là dove i poveri contano più dei vescovi e dei preti, vuol dire che il discorso di Gesù comincia a far presa. Magari la chiesa in quanto tale non ci guadagnerà granché, ma il Regno sí. E cos’è questo se non la logica della Croce? Nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace, il 10 dicembre 1964, Martin Luther King disse: “Io credo che la verità disarmata e l’amore incondizionato avranno davvero l’ultima parola. Ecco perché la giustizia temporaneamente sconfitta è più forte del male trionfante. […] Io ho il coraggio di credere che ovunque le persone potranno avere tre pasti al giorno per il loro corpi, istruzione e cultura per le loro menti, uguaglianza e libertà per i loro spiriti. Io credo che quanto è stato distrutto da uomini egocentrici potrà essere ricostruito da uomini altruisti”. Chissà, un giorno o l’altro, riusciremo a capirlo pure noi. E a comportarci di conseguenza.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Josef Mayr-Nusser, obiettore di coscienza e martire del totalitarismo nazista.

24 JOSEF MAYR-NUSSER.jpgJosef Mayr era nato nel maso Nusser, alla periferia di Bolzano, il 27 dicembre 1910. Le notizie che disponiamo della sua infanzia e giovinezza non sono molte. La morte del padre, durante la prima guerra mondiale, aveva pesato sull’economia della famiglia, sicché Pepi, come lo chiamavano, aveva dovuto mettersi a lavorare giovanissimo in città. Questo gli offrì l’occasione di avvicinarsi all’associazionismo di matrice cristiana, prima le Conferenze di San Vincenzo, poi l’Azione cattolica, dove avrebbe maturato le convinzioni e le scelte decisive della sua vita. Nel 1943, subito dopo l’armistizio firmato dall’Italia, l’Alto Adige fu occupato dalle forze armate di Hitler e le province di Trento, Bolzano e Belluno furono annesse alla Germania. Josef, che nel frattempo si era sposato con Hildegard e ne aveva avuto un figlio, Albert, fu arruolato a forza tra le SS e inviato a Koenitz, nella Prussia orientale, per l’addestramento. Quando venne il giorno del giuramento, il 4 ottobre 1944, tra lo stupore dei commilitoni, Mayr dichiarò di non poter giurare fedeltà al Führer. Essere cristiani è una cosa seria, terribilmente seria. Che impedisce di mettersi ad adorare gli idoli del mondo. Anche quando tutti lo fanno. Processato, fu rinchiuso nel carcere di Danzica, sotto l’accusa di tradimento e infine fu destinato al campo di sterminio di Dachau. Mayr, già gravemente ammalato, a causa delle privazioni sopportate durante la prigionia, non vi sarebbe mai arrivato. Morì la notte del 24 febbraio 1945, nel vagone-bestiame del treno. Aveva fra le mai il rosario, un messale e il Nuovo Testamento.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.2, 1-13; Salmo 37; Vangelo di Marco, cap.9, 30-37.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Nella Pentecoste del 1936, in un discorso tenuto a un corso di formazione per giovani dirigenti di Azione cattolica, Josef Mayr-Nusser denunciava i gravi rischi di una situazione in cui le maggioranze, cedendo al culto della personalità dei leader, abdicano alla propria responsabilità di partecipazione critica e consapevole alla costruzione della società. Una situazione che, egli afferma, sfida i cristiani a discernere i segni dei tempi, ponendo a se stessi come unica regola-guida quella di Cristo e del suo significato: il servizio agli ultimi. Fuori da ogni meschino compromesso e da ogni umiliante contropartita con il potere vigente. Crediamo che questo valga per ogni tempo. Di quel discorso vi proponiamo qui di seguito un brano, che troviamo citato in un articolo di Piersandro Vanzan S.I., dal titolo “Josef Mayr-Nusser , Obiettore di Coscienza e martire” (La Civiltà Cattolica, Quaderno 3793, luglio 2008). È questo per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dopo tutto il caos dei primi anni postbellici nella politica, nell’economia e nella cultura, vediamo oggi con quanto entusiasmo, anzi, spesso con dedizione cieca, passionale e incondizionata, le masse si votano ai leader. Ci tocca assistere a un culto del leader che rasenta l’idolatria. […] Senza dubbio possiamo considerarlo un sintomo che indica che ci avviciniamo a capovolgimenti di enormi dimensioni. […] Siamo noi giovani cattolici in grado di distinguere correttamente questi segni di una nuova epoca? Siamo in grado di cogliere, per così dire, l’opportunità che oggi si offre al cattolicesimo? Più che mai nell’Ac di oggi è necessaria una cattolicità pratica, vissuta. Oggi si tratta di indicare di nuovo alle masse la guida che sola ha diritto al dominio e alla leadership illimitata: Cristo, il nostro “condottiero”. Non conta il successo esterno, perché, continuava, lo Spirito di Dio agisce di nascosto e avremo raggiunto molto se la nostra parola e il nostro esempio porteranno l’una e l’altro nella nostra sfera di azione un più vivo coinvolgimento nella fede. Quel che conta davanti a Dio non è il nostro successo esterno, che dipende tutto dalla sua grazia, ma la nostra volontà pura e giusta, se riusciamo a mantenerla nonostante tutti gli insuccessi. (Josef Mayr-Nusser).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-24T23:34:00+01:00da fraternidade
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