Giorno per giorno – 19 Febbraio 2009

Carissimi,
“Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo” (Mc 8, 29). E anche noi si avrebbe voglia di cavarcela così. Sì, tu sei il Cristo, il Figlio di Dio. E tu te ne ricorderai, vero, che ti abbiamo confessato, almeno una volta, persino con entusiasmo. Pensando solo alle conseguenze buone che ce ne sarebbero potute venire, per il fatto di avere Dio dalla nostra parte. E non considerando invece i rischi, tremendi, che corre chi si ritrova, per generosità o imprudenza, dalla parte di Dio. Di quel Dio. Che si inventa sul più bello che dovrà soffrire ed essere ucciso. Quanto all’essere risuscitato, chissà mai cosa vuol dire. E noi che parte ci facciamo? Il nostro onore, la nostra porzione di gloria? Il fatto di poter guardare gli altri dall’alto in basso, e fargli ciao ciao. Che ci volete fare? Era il nostro destino. Niente di tutto questo. Il peggio verrà con il Vangelo di domani. Ma già oggi, Lui, a Pietro, e a noi al suo seguito, che gli proponiamo una maniera più decorosa e convincente di essere Dio, ci chiama tutti quanti “Satana”. Ma che razza di Dio siamo andati a cercarci? Che razza di vita siamo andati a sceglierci? Un Dio che più in basso non si può (“il più piccolo nel regno di Dio” è Dio!) e una vita da falliti, servendo sempre tutti, altro che far carriera!, come del resto ha voluto per sé, Lui. Sino alla fine. Già, noi, la sua chiesa, duemila anni dopo, proprio come Lui! Beh, no, così spesso, proprio al contrario di Lui.

Oggi ricordiamo Sirio Politi, prete operaio; José Antônio Pereira Ibiapina, apostolo del Nordeste brasiliano, e Rabbi Elimelech di Lisensk, mistico ebreo.

19 SIRIO POLITI.jpgSirio Politi era nato a Capezzano Pianore, in quel di Lucca, da una famiglia povera e a quattordici anni era entrato in seminario. Ordinato prete nel 1943, divenne due anni più tardi parroco di Bargecchia. E ci restò una decina d’anni, finché lo Spirito gli deve aver sussurrato: ehi, amico, datti una mossa! E lui, era il 1956, scese a valle, con una idea: “essere uno di loro”. Loro erano gli operai. I tempi, poi, mica si scherzava. Per il divorzio maturato nel tempo tra la chiesa e la classe operaia e il clima di sospetto e le reciproche diffidenze che ne erano scatutite. Lui comunque sarebbe riuscito ad abbattere il muro e, condividendone la fatica e le lotte, a conquistare l’amicizia, la lealtà e la fedeltà dei nuovi compagni. Durò solo tre anni, per via della durezza di testa e di cuore che Gesù da sempre rimprovera alla sua chiesa. Per restare prete, dovette lasciare la fabbrica. Di quel momento scriverà: “Mi si scavò nell’anima un vuoto spaventoso, come morire, e da allora mi sono sentito finito, morto. La mia Chiesa mi ha distrutto. Proprio Lei”. Continuò invece a vivere, dove aveva preso ad abitare, alla Darsena di Viareggio, non più operaio, ma scaricatore di porto, per i successivi sei anni. Dal 1965 creò con altri preti operai, uomini e donne, una nuova esperienza comunitaria alla periferia della città, tornando in Darsena nei primi anni settanta. Lì si impegnerà sempre più sul fronte della pace, della nonviolenza, della lotta antinucleare. Dall’estate 1986, l’ultima sfida, quella della malattia che lo porterà alla morte, il 19 febbraio 1988.

19 IBIAPINA.jpgJosé Antônio Pereira Ibiapina nacque il 5 agosto 1806 a Sobral, nello Stato di Ceará. Ancora giovane, desiderando diventare prete, si era trasferito a Olinda (Pernambuco), per frequentare il seminario, ma una serie di tragedie familiari (la morte della madre, l’omicidio del fratello maggiore e la fucilazione del padre per motivi politici) lo costrinsero a fare ritorno a casa per prendersi cura della famiglia. Risolti i problemi più urgenti, fece ritorno nel Pernambuco con due delle sorelle minori. Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1832. Negli anni successivi fu prima magistrato, poi deputato e infine avvocato. Ed ebbe sempre a cuore la causa dei più poveri e sfruttati. Nel 1850, la svolta decisiva della sua vita: si disfece di tutti i suoi beni e andò ad abitare in una casetta in un bairro di Recife, dove passò tre anni a studiare, pregare, meditare, vivendo in povertà. Il 26 luglio 1853, Ibiapina veniva ordinato sacerdote. Insegnò per qualche tempo in seminario, poi con il permesso del suo vescovo, cominciò a viaggiare attraverso tutto il Nordeste brasiliano, realizzando missioni popolari, coscientizzando e organizzando la popolazione, costruendo chiese, ospedali, bacini idrici, e soprattutto moltissime case di carità, dove l’infanzia abbandonata potesse crescere, studiare e apprendere una professione. Padre Ibiapina morì a Santa Fé, nello stato di Paraiba, il 19 febbraio 1883.

20 Tomba di Rabbi Elimelek.jpgRabbi Elimelech, nato in Galizia (Polonia) nel 1717, era, con il fratello maggiore Sussja, figlio del Rabbi Eliezer Lipman e di sua moglie Miroush, persone conosciute per la loro bontà e generosità. Insieme, i due fratelli, in gioventù si diedero ad una vita di peregrinazioni senza meta. Poi, le loro strade si divisero: Sussja continuò ad essere l’inquieto ed estatico “folle di Dio”, e Elimelech, alla scomparsa di Rabbi Dov Bär, il Grande Magghid, divenne capo della comunità chassidica, facendosi conoscere per la “conoscenza intuitiva delle persone che lo avvicinavano, delle loro manchevolezze e delle loro pene, così come dei mezzi per guarirle”. Nella memoria del popolo, rimase così presente come “il medico delle anime, l’esorcizzatore dei demoni, il consigliere, la guida e il taumaturgo”. Rabbi Elimelech morì a Lisensk il 21 Adar I 5546 (coincidente, quell’anno, con 19 febbraio 1786), lasciando tre figli, Rabbi Elazar di Lisensk, Rabbi Lipa Eliezer di Chemelnick, Rabbi Yaakov di Maglanitza e due figlie, Esther Etil e Mirish.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.9, 1-13; Salmo 33; Vangelo di Marco, cap.8, 27-33.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

“Gesù forse pensava e immaginava (sognava con adorabile utopia) che la sua Chiesa sarebbe stata fondata sul servizio non sull’autorità, sui piccoli non sui potenti, sugli ultimi e non sui primi”: lo scriveva don Sirio Politi in un articolo dal titolo “Un’utopia per la Chiesa”, apparso in Lotta come amore, nell’ottobre 1987, quattro mesi prima della morte. Da quello stesso articolo, che ci pare mantenga tutta la sua attualità, prendiamo il brano che, congedandoci, vi offriamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Io ho creduto, umilmente e ingenuamente, che il gran problema del rapporto tra il clero e il laicato potesse essere affrontato e in parte risolto, attraverso un cambiamento radicale del clero. Abbreviarne le distanze, cancellare le differenze, spazzar via i privilegi, camminare sulla stessa strada, essere uguali o meglio ancora sotto i piedi di tutti, essere gli ultimi, senza diritti e solo con infiniti doveri… non essere più preti, clero, mondo ecclesiastico, ma semplicemente degli accattoni della bontà altrui, dei coinvolti e possibilmente dei travolti dalle lotte per la libertà, la giustizia, la testimonianza di una alternativa che si chiama Regno di Dio al regno degli uomini… Il mio racconto, insignificante ma chiarissimo di Fede e di Amore alla Chiesa. L’essere operaio ha voluto dir questo, prima di qualsiasi altra cosa: togliere via una qualificazione, quella di essere prete eppur rimanere serenamente prete, uomo di Dio, fratello universale. Come lasciar cadere una maschera, un paludamento, una “divisa” e ritrovarmi, come solo, io, allo scoperto, con tutta la mia Fede e quella misteriosa carica di Amore fraterno, appassionata e inesauribile. Il racconto può essere, è lungo quanto tutta la mia vita sacerdotale e il raccontarlo richiederebbe lunghe serate intorno al caminetto come nelle novelle del nonno. Lo so che non è stato accettato durante l’avventura e tanto meno può essere gradito il racconto “quando ormai si fa sera” e non solo individualmente, ma anche nella Chiesa. Allora i Sinodi per dibattere la spinosa questione del clero e del laicato: ma è perché tutto rimanga e si solidifichi così: il clero, il clero e i laici, laici. E cioè come dire: amici e nemici. Potere e servizio. Autorità e popolo. Il monumento e il piedistallo. Il carro e chi sta sul carro e guida l’asino che rassegnatamente da millenni tira il carro e tutti coloro (sono tanti) che vi stanno comodamente adagiati. (Sirio Politi, Un’utopia per la Chiesa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-19T23:08:00+01:00da fraternidade
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