Giorno per giorno – 18 Febbraio 2009

Carissimi,
“Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quegli, alzando gli occhi, disse: Vedo gli uomini; infatti vedo come degli alberi che camminano. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente” (Mc 8, 23-25). Se il cieco, quel cieco, disegna in qualche modo l’immagine di noi che camminiamo alla ricerca della luce – la luce della fede – quella che Gesù ci comunica “toccandoci” in un “ a tu per tu” insostituibile, allora dobbiamo riconoscere che essa ha a che fare necessariamente con lo sguardo che noi siamo (diventiamo) capaci di portare sugli uomini. Così, stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci chiedevamo: Come è che noi, gente con il battesimo alle spalle da quanti anni ormai, riusciamo a vedere gli uomini? Chi sono gli altri per noi, per me? Riesco a osservarli nella loro realtà più vera, cercando di conoscerne la storia (quanta ricchezza racchiude ogni storia, ma anche quanta sofferenza nascosta!), di coglierne i desideri, di indovinarne le attese? Riesco a sottrarmi ai luoghi comuni, ai falsi cliché, alle generalizzazioni improprie, che, oscurando il mistero dell’altro, rivelano, al più, la debolezza, se non proprio la stupidità, di chi li fa propri? Chi è in definitiva l’uomo, la donna, per me? Quelli che mi vivono accanto, ma anche coloro, a migliaia di chilometri di distanza, i cui destini sono nondimeno inestricabilmente legati al mio. Un albero che cammina, un oggetto da ignorare, guardare con curiosità o di cui disporre a piacimento, che deciderò di volta in volta se accogliere o gettare via, apprezzare o disprezzare, custodire o violentare, ma sempre, appunto, un oggetto? Se sono fermo a questo, per quanto battezzato, il buon Dio non ha ancora finito di faticare con me. Come singolo, come comunità, come popolo, come chiesa. E, chissà, per tentare una verifica, ci si potrebbe domandare se saremmo in grado di ripetere di noi, oggi, in rapporto alla porzione di umanità in cui siamo inseriti, ciò che Paolo VI affermò del Concilio: “Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani ha assorbito la nostra attenzione. […] Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti da noi verso il mondo. I suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati; i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette”.

Bene, il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria del Beato Angelico, iconografo; e quella di Martin Lutero, riformatore della Chiesa.

18 BEATO ANGELICO.jpgGuido di Pietro era nato a Vicchio di Mugello, intorno al 1390. Dopo aver fatto per un po’ il pittore a Firenze, decise di essere frate predicatore. Entrò perciò nel convento domenicano più a portata di mano, a Fiesole, cambiò il nome, prendendo quello di fra’ Giovanni da Fiesole, fu ordinato sacerdote, ma continuò anche a fare il pittore, dipingendo da allora Crocifissi, Madonne, Angeli e Santi. Lo fece tanto bene che la gente diceva che quel frate, in paradiso, doveva esserci di casa. E lo ribattezzarono Beato Angelico. Si spense a Roma, il 18 febbraio 1455 a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato.

18 Martin_Lutero.jpgMartin era nato a Eisleben, in Germania, il 10 novembre 1483, da Margarethe Ziegler e Hans Luther. Dopo aver studiato all’università di Erfurt, decise di dare una svolta radicale alla sua vita. Nel 1506, contro la volontà paterna, entrò nel convento agostiniano della stessa città, l’anno successivo, fu ordinato sacerdote e si diede ad approfondire con passione le Sacre Scritture, le lettere di Paolo, il pensiero d’ Agostino, le sentenze di Pietro Lombardo e la produzione di molti altri teologi e filosofi. Trasferito, nel 1512, al convento di Wittenberg, vi conseguì il dottorato in teologia, insegnando negli anni successivi esegesi biblica all’università. Nel 1517, sdegnato per le numerose deviazioni presenti nella vita della chiesa (nepotismo, amore del potere e della ricchezza, rilassatezza morale), ma soprattutto per lo scandaloso commercio delle indulgenze che aveva preso piede, rese pubblico un elenco di 95 tesi con cui ne contestava la dottrina. Nel 1518 venne chiamato a discolparsi davanti al legato pontificio, Cardinal Caetano, durante la dieta di Augusta, rifiutando tuttavia di ritrattare le sue tesi. Nel 1520 il papa emanò la bolla Exurge Domine, con cui condannava 40 proposizioni di Lutero. Questi rispose con un opuscolo durissimo, precisando ulteriormente il suo pensiero in tre opere che posero le basi della Riforma: La cattività babilonese della Chiesa, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, e Sulla libertà del cristiano. Nel 1521, scomunicato e bandito dall’impero, si rifugiò a Wartburg, presso il principe Federico III di Sassonia, dove si impegnò nella traduzione tedesca della Bibbia. Nel 1525 sposò Catharina von Bora, da cui ebbe sei figli. La rapida diffusione del suo messaggio, lo portò, negli anni successivi, ad impegnarsi nella difesa della sua dottrina dalle interpretazioni più radicali ed estremistiche della riforma religiosa, sfociate, sul piano sociale, nella cosiddetta Guerra dei contadini. Per fronteggiare questa, Lutero non esitó a chiedere ai principi tedeschi di schiacciare la ribellione nel sangue e restaurare l’ordine violato. Lutero morì nella sua città natale, il 18 febbraio 1546. Poco dopo la sua morte, fu ritrovato un appunto, da lui scritto pochi giorni prima di morire. Riassumeva in una frase quello che è considerato il suo testamento spirituale: “Wir sind Bettler. Das ist wahr”, ovvero: “Siamo mendicanti. Questo è vero”. Se la rottura dell’unità ecclesiale fu l’altissimo prezzo pagato dall’azione di riforma da lui avviata, bisogna tuttavia riconoscere che essa provocò anche nella Chiesa cattolica un salutare sussulto, in vista di una testimonianza più coerente e di un annuncio più credibile dell’Evangelo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.8, 6-13. 20-22; Salmo 116; Vangelo di Marco, cap.8, 22-26.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

È tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi al brano di un’omelia, pronunciata da Martin Lutero il 25 marzo 1534, tradotta dal pastore Paolo Ricca. La troviamo in rete ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il fatto che Dio considera il dono non come ricompensa o come merito ma veramente come regalo significa che esso non dev’essere prestato né preso in prestito né pagato. Non bisogna dare nulla in cambio, ma non si deve fare altro che stendere la mano – e che Dio abbia misericordia, perché le mani e il cuore non sono inclini a ricevere un simile dono. Dio non vuole solo farti vedere il dono da lontano, ma deve diventare tuo. Afferralo ! Pensa a coloro di cui si dice che non è possibile dare nulla a una persona contro la sua volontà.. Poniamo il caso di un principe benevolo che a un mendicante che non ha nulla di cui vivere e di cui vestirsi offra in regalo un castello che gli renderebbe mille fiorini all’anno. Se questi rispondesse: ‘Non voglio averlo’, la gente direbbe: ‘Non ho mai visto né udito di una persona più pazza; non può trattarsi di un uomo !’ Così direbbe la gente. Ma qui non è un castello che viene dato, ma il Figlio di Dio. Tendi dunque la tua mano e prendi ! Non dobbiamo essere altro che questo: persone con le mani aperte per ricevere ! Ma proprio questo non vogliamo essere. Considera dunque quale grande peccato sia l’incredulità ! Non è più neppure umano chiudersi così nei confronti del Signore. Potete chiaramente vedere da questo che il mondo intero è pazzo, stolto e posseduto dal diavolo, perciò non si rallegra di questo dono, non vuole essere solo uno che riceve. Se fossero fiorini, sì che si rallegrerebbe, ma non per il Figlio di Dio. Così posseduto è il mondo ! Eppure [Gesù Cristo] è molto semplicemente un dono e nient’altro. Per averlo non dobbiamo né servire né pagare. (Martin Lutero, Predica del 25 marzo 1534).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-18T23:59:00+01:00da fraternidade
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