Giorno per giorno – 20 Gennaio 2009

Carissimi,
“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2, 27). Questo, che Gesù fa suo, era insegnamento comune tra i farisei più illuminati, di cui è ricordata una sentenza analoga: “Il sabato è stato dato a voi, non voi al sabato” (Mekilta a Es 31, 13). Ciò che muove Gesù, in questa come in altre occasioni, non è una volontà polemica nei confronti di altri raggruppamenti religiosi, ma l’intenzione di scrutare e presentare ai suoi il senso più vero e profondo della parola della Legge. In questo caso, il significato del Sabato, il tempo che sottrae l’uomo alla dominazione delle cose e delle persone (persino della religione, nella sua versione oppressiva e bigotta), ed è, perciò, celebrazione della sua libertà. Rivendicando la sua signoria sul Sabato (v.28), Gesù abolisce ogni altra signoria che non sia quella della gratuità e del dono. Anche solo per lo spazio di ventiquattro ore, essa è preannuncio di ciò che potrebbe/dovrebbe essere il Regno che, con Lui, è ormai in mezzo a noi.

Oggi la comunità fa memoria di Sebastiano, martire a Roma, e di Khan Abdul Ghaffar Khan (Bacha Khan), profeta di pace e di nonviolenza.

20 SEBASTIANO.JPGDel martire Sebastiano, nonostante le molte leggende fiorite sulla sua figura, sappiamo solo che fu giustiziato sotto l’imperatore Diocleziano (nell’anno 300) e fu sepolto nelle catacombe che avrebbero preso il suo nome. Ambrogio qualche decennio più tardi lo menziona in un suo commento al salmo 118, dicendo che era di Milano e che preferì lasciare la vita tranquilla per recarsi a Roma e testimoniare la sua fedeltà a Cristo. Questo gli costò la vita.

20 ABDUL GHAFFAR KHAN.jpgKhan Abdul Ghaffar Khan era nato nel 1890 nella famiglia di un proprietario terriero, Khan Sahib Baharam Khan, a Utmanzai, un villaggio nei pressi di Peshawar, che oggi è in Pakistan, ma allora era in India, colonia britannica. Benché illetterati, i genitori educarono il giovane Abdul ad una profonda religiosità e al gusto per una vita semplice ed essenziale. Nel 1929, partecipando ad una riunione del Partito del Congresso, Khan fece sua la causa della lotta indipendentista e decise di coinvolgervi la sua gente, i focosi pathan. Con una pretesa, tuttavia, a prima vista assurda: sarebbero stati soldati disarmati, addestrati ad affrontare con coraggio il nemico, senza arretrare né rispondere. I pathan arruolati, che scelsero di chiamarsi Khudai khidmatgar, i servi di Dio, costituirono il primo esercito nonviolento professionale della storia. Promettendo di astenersi da ogni violenza e vendetta, di perdonare chiunque li opprimesse o facesse loro del male, di evitare ogni pigrizia, e di dedicare almeno due ore al giorno ad un qualche servizio sociale, i pathan passavano di villaggio in villaggio, organizzando la popolazione, aprendo scuole, convocando assemblee, insegnando tecniche di nonviolenza, conducendo in tal modo la loro personalissima jihad, la guerra santa tra il bene e il male, che ogni persona è chiamata a combattere nella sua propria coscienza. Il 31 dicembre 1929 i delegati del Congresso indiano dichiararono l’indipendenza, lanciando la parola d’ordine della noncollaborazione e della disobbedienza civile. Seguì una repressione spietata da parte dei britannici. Khan trascorse lunghi periodi in prigionia, ma l’esercito nonviolento dei servi di Dio, che era giunse a contare trecentomila membri, non desistette. Quando, alla vigilia dell’indipendenza, la Lega musulmana chiese uno stato confessionale autonomo, Khan e i suoi combatterono la proposta, convinti, come Gandhi, che musulmani e indú avrebbero potuto continuare a convivere. Fu tutto inutile e gli opposti estremismi ebbero la meglio: Gandhi fu ucciso da un indú che l’accusava di essere filomusulmano, e Khan fu imprigionato dal governo musulmano del Pakistan sotto l’accusa di essere filoindú. Avrebbe trascorso quindici anni in prigione e sette in esilio in Afghanistan. Ghaffar Khan morì novantottenne a Peshawar il 20 gennaio 1988 e fu sepolto a Jalalabad, in Afghanistan. Decine di migliaia di persone parteciparono ai suoi funerali e un cessate-il-fuoco fu annunciato in quel Paese dilaniato dalla guerra per permettere lo svolgimento delle solenni esequie. Era stato decorato solo un anno prima con il Bharat Ratna – il più alto riconoscimento civile dello stato indiano.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 6, 10-20; Salmo 111; Vangelo di Marco, cap. 2, 23-28.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Potrà anche essere solo un sogno. Però oggi pomeriggio, fino a sera, tutti l’abbiamo sognato, assistendendo all’insediamento di Barack Hussein Obama alla Casa Bianca. Le strade, a Goiás, erano deserte e, dentro casa, gli occhi incollati al televisore, l’emozione era palpabile. Sul piano dei segni è stata una grande cosa. Poi, si vedrà. Comunque, auguri, presidente!

Noi ci si congeda qui, con una citazione di Abdul Ghaffar Khan, tratta dal suo “Islam and Non-Violence”. È un altro sogno che vorremmo veder realizzato ed è, per stasera, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per l’Islam il tema della violenza è parte integrante della sfera etica islamica; nel mondo di oggi la persona musulmana non deve usare violenza, perché l’Islam ammette solo le azioni nonviolente come metodo di combattere per la giustizia. L’Islam è terreno fertile per la nonviolenza grazie alla sua potenzialità di intesa con la disobbedienza civile, la forte disciplina, la pratica del consenso condiviso e la responsabilità sociale, il sacrificio di ogni singolo essere per il benessere collettivo, la fiducia verso la comunità musulmana e l’intera collettività umana (Abdul Ghaffar Khan, Islam and Non-Violence).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Gennaio 2009ultima modifica: 2009-01-20T23:13:00+01:00da fraternidade
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