Giorno per giorno – 17 Novembre 2008

Carissimi,
“Allora il cieco incominciò a gridare: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!. Quando gli fu vicino, Gesù gli domandò: Che vuoi che io faccia per te? Egli rispose: Signore, che io riabbia la vista. E Gesù gli disse: Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio” (Lc 18, 38. 40-43). Oggi, alla preghiera, c’era anche Valdinei, che è uscito prima del tempo dalla chácara di recupero, per fare ritorno in famiglia e sembra seriamente intenzionato a mantenersi “pulito”. Ascoltando questo Vangelo, noi si è ricordato Pedrão, che, della preghiera del cieco – Gesù, abbi pietà di me! –, ripetuta senza sosta, quasi fosse una cosa sola con il battito del cuore o il ritmo del respiro, ha fatto, come ricordavamo qualche giorno fa, la preghiera della sua vita. E dovrebbe essere anche la nostra, di preghiera, per ottenerci luce, per ottenerci Lui che è la luce. Valdinei – che è bello guardarlo mentre ascolta la Parola e quando interviene per condividere il suo pensiero – ha aggiunto subito che a lui viene spontaneo riconoscersi nella figura e nella preghiera del cieco e nell’esperienza che egli fa dell’incontro con Gesù. E lo dice, com’è giusto che sia, ogni volta che se parla, con un certo pudore. Lo fa ad occhi bassi, a bassa voce, ma con sicurezza. Che io riabbia la vista. Sì è stata questa la mia preghiera, perché per troppo tempo sono stato come accecato. E riabbia la mia vita, gli affetti perduti. Se non tutti, perché ci sono ferite provocate, non più rimarginabili, almeno quello di mia madre, che so bene non verrà mai meno, e conquistarmi per sempre quello di Adelia, la bimba di due anni, che oggi è la ragione della mia vita. E Lui, glielo deve proprio concedere questo. Assieme a tutta la forza che gli sarà necessaria perché possa ripetere ogni giorno a venire: Ti ringrazio, Signore, per questo giorno in più di sobrietà che mi hai concesso. E noi si vorrebbe avere la stessa umile consapevolezza nel riconoscerci ciechi. E nel chiedergli di poterlo vedere, per imparare a guardare come Lui agli altri, alle cose, alla vita.

Oggi è memoria del martirio di Roque González de Santa Cruz, Alfonso Rodrígues e Juan de Castillo, gesuiti, vittime innocenti della reazione indigena alla brutalità della violenza coloniale. Ricordiamo anche Jacob Böhme, mistico della Chiesa della Riforma.

17_ROQUE_GONZALEZ E COMPANHEIROS.JPGFiglio di genitori spagnoli, Roque Gonzalez nacque nell’anno 1576 a Asunción, che in quel tempo era capitale di tutta la immensa provincia del Rio de la Plata. Ordinato sacerdote a ventidue anni, dopo circa dieci anni entrò nella Compagnia di Gesù, affascinato dal lavoro missionario che i gesuiti svolgevano tra gli indios. Il suo contatto e il suo inserimento tra le popolazioni indigene furono facilitati per il fatto di aver studiato, da bambino, una lingua difficile come il guaranì. Fu lui che praticamente organizzò le celebri reducciones del Paraguay, una proposta originale di evangelizzazione, basata sul tentativo di conciliare cultura indigena e cultura cristiana in un lento processo di acculturazione. Questo sistema, di cui oggi siamo in grado di cogliere i limiti, mirava comunque a proteggere gli indios dalle conseguenze funeste della conquista e dell’occupazione di quei territori da parte di colonizzatori avidi di ricchezze e di guadagno facili. Odiati da questi, i gesuiti dovettero affrontare anche l’ostilità di alcuni capi indigeni che vedevano in loro gli alleati dei crudeli sfruttatori della loro gente. Fu così che Roque cadde vittima di una violenza da cui aveva salvato molti indios indifesi. Con lui, ucciso il 15 novembre, furono martirizzati altri due giovani gesuiti, Alonso Rodríguez (1598-1628), spagnolo di Samora e, due giorni più tardi, il 17 novembre, Juan de Castillo (1596-1628), anche lui spagnolo di Belmonte, Cuenca.

17 Jakob_Boehme.jpgJacob Böhme nacque il 24 aprile 1575 ad Altseidenberg, nella Lusazia, regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Appartenente ad una famiglia di contadini relativamente agiata, ricevette una rigida educazione protestante. Curò lui stesso, da autodidatta, la sua formazione culturale, aiutandosi soprattutto con la lettura di testi della tradizione mistica tedesca. A quattordici anni, fu avviato al mestiere di ciabattino e in seguito impiantò la sua attività nella cittadina di di Görlitz, dove, nel 1594, sposò Catharina Kunschmanns, con cui visse fino alla morte e che gli generò figli e figlie. Nel 1600, Böhme ebbe un’intensa esperienza mistica, che si ripeterà nel 1610 e un’ultima volta sette anni più tardi. Tali esperienze furono da lui vissute come rivelazione dell’essenza divina. Nel 1612 scrisse la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang , l’Aurora Nascente. La diffusione del manoscritto provocò le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che l’accusò di eresia, facendolo arrestare. Rimesso in libertà, Böhme visse gli anni successivi, subendo di volta in volta l’ostracismo dei suoi oppositori o le pressioni dei suoi sostenitori, che insistevano perché riprendesse a scrivere. Cosa che egli fece negli ultimi anni della sua vita. Jacob Böhme morì il 17 novembre del 1624. La chiesa luterana, superate le antiche diffidenze, ne fa oggi memoria come di un suo figlio devoto.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.1, 1-4; 2,1-5a; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.18, 35-43.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Oggi compie gli anni l’amico Simone di Milano: voi non dimenticherete di metterlo al centro delle vostre preghiere, vero? Noi, nel frattempo, anche per non stancarvi troppo, ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una citazione di Jacob Böhme, tratta dal suo “Confessions” (Fayard), nella traduzione che Giovanni Vannucci ne fa ne “Il Libro della preghiera universale” (Libreria Editrice Fiorentina). È una maniera diversa per dire la preghiera e la speranza del cieco, che è anche la nostra. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il ramo corrotto dal peccato riceverà, per opera del nome di Gesù, la linfa e il vigore, la nostra umanità verdeggerà di nuovo e darà i suoi frutti a gloria di Dio. La volontà umana innestata nell’umanità di Cristo, ricondurrà la linfa nel ramo secco, perché riprenda vita e fogliame nel paradiso. Il paradiso sarà in noi stessi, i colori, le forze e la qualità dell’eterna sapienza appariranno in noi come sua immagine. Saremo la manifestazione del mondo spirituale divino, lo strumento che lo Spirito di Dio suonerà con la nostra sonorità che sarà la nostra segnatura. Saremo la viola della sua Parola enunciata, lo spirito delle sue labbra ci farà vibrare. Dio si è fatto uomo, affinché il perfetto strumento che aveva costruito e che non voleva partecipare al suo concerto fosse riparato, e il canto d’amore risuonasse sulle sue corde. L’armonia che attornia il mistero divino discese in noi, è divenuto quello che noi siamo per trasformarci in quello che Lui è. Con la nostra offerta siamo diventati una voce della sinfonia divina, insieme tripudiamo di far parte dell’eterno canto di lode. (Jacob Böhme, Confessions).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Novembre 2008ultima modifica: 2008-11-17T23:29:00+01:00da fraternidade
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