Giorno per giorno – 16 Novembre 2008

Carissimi,
“Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco qui il tuo!” (Mt 25, 24). Qual è l’immagine che noi abbiamo di Dio? O, anche, quale uso abbiamo fatto della nostra vita, del dono della fede, della “buona notizia” del Regno che Gesù ci ha affidato? Perché, alla fin fine, ciò che determina il nostro comportamento è il significato che noi attribuiamo (o a cui, invece, ci apriamo) di Dio. E se Lui è questo gelido e sempre insoddisfatto esattore di opere, possibilmente pie, che il terzo servitore della parabola tratteggia, la nostra vita non sarà che un triste ripiegamento su se stessi, che nega l’avventura gioiosa e prodiga del vivere, misconosce l’amore e l’affidabilità del Padre di Gesù, confonde la testimonianza del Regno con il consegnarsi alla pigrizia di una sterile disciplina ecclesiastica o alla grettezza di una pratica virtuosa, sostanzialmente autocentrata. Ci scriveva stamattina Nadia: “Occorre usare gli occhi e gli orecchi dell’amore che Dio ha per noi per interpretare questo brano di Matteo. Scopriamo allora che a Lui sta a cuore che noi agiamo e viviamo come Suo Figlio ha vissuto ed insegnato (“Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco; prendi parte della gioia del tuo padrone”). A Dio non interessa la quantità delle opere, ma la nostra crescita umana, di ciascuno e di tutti insieme (“perché tutti abbiano vita”), nella libertà di agire e di scegliere. Senza la paura che attanaglia il ‘servo malvagio’ (così simile al fratello maggiore, religosamente ossequiente, del Figlio prodigo), che, spesso, ci si ritrova addosso. Chi ha paura non riesce ad amare e a vivere pienamente con la responsabalità dei figli di Dio. Egli sotterra i doni ricevuti da Lui, senza farli fruttare con quell’intelligenza e quella fiducia che, soli, permettono di condividere i beni ricevuti e di lavorare al Suo posto. Come fosse Lui stesso a farlo”.

I testi che la liturgia di questa XXXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Proverbi, cap. 31, 10-13.19-20.30-31; Sl 128; 1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap. 5, 1-6; Vangelo di Matteo, cap. 25, 14-30.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane di ogni denominazione.

“Agire e vivere come Gesù ha vissuto e insegnato”. Investire la propria vita, la propria fede, la propria vocazione e missione perché gli altri vivano. È questo il significato della memoria che il nostro calendario ci porta oggi: il Martirio dei Gesuiti della U.C.A. di El Salvador e delle loro collaboratrici.

16_M_RTIRES_DO_SALVADOR.JPGIgnacio Ellacuría, Juan Ramón Moreno, Amando López, Ignacio Martín-Baró, Segundo Montes, spagnoli, e Joaquín López y López, salvadoregno, appartenevano tutti alla Compagnia di Gesù. Erano teologi e pastori della liberazione, padri dei poveri e profeti di speranza nel Salvador crocifisso. Julia Elba Ramos, madre di due figli e sposa di Obdulio, funzionario della casa, era una presenza discreta, allegra, intuitiva, sempre pronta e generosa nella collaborazione. Celina Ramos era sua figlia. I sacerdoti costituivano una comunità di credenti, che per la compassione nei confronti dei loro fratelli, avevano deciso liberamente e consapevolmente di porsi al loro servizio. Con il loro lavoro universitario, leggevano e aiutavano a leggere la realtà di ingiustizia e di morte che li circondava, per trasformarla strutturalmente, senza per questo dimenticare la solidarietà concreta, la denuncia profetica, l’attività pastorale. Il 16 novembre 1989, la Comunità venne sterminata da trenta uomini dell’esercito salvadoregno, che irruppero nei locali della UCA (Università Centro-americana), alle due della notte, assassinando i sacerdoti e le due donne.

Tra le vittime designate del massacro di quella notte del 16 novembre c’era anche il teologo gesuita Jon Sobrino, che era però altrove e che, ogni anno, a partire da allora, in coincidenza della memoria del fatto, scrive una lettera all’amico Ellacu, l’antico compagno di studi e di missione. Attualizzando ogni volta la riflessione su Gesù, sui popoli crocifissi, sul regno, sulla Chiesa. Nel congedarci, stasera, vi proponiamo un brano della sua lettera più recente, datata il 31 ottobre scorso. Che voi potrete trovare per intero nel sito di Adital. E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il regno spinge la Chiesa nella storia. In essa deve incarnarsi per propiziare grazia: verità, compassione, fermezza, liberazione, e per sradicare il peccato: menzogna, ingiustizia, oppressione, superando la tentazione di rifugiarsi negli spiritualismi e di abbandonare l’ambito storico. Deve farlo con solidarietà, facendo suoi i piaceri e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti, soprattutto dei poveri e di coloro che soffrono. E deve farlo con serietà. Senza prendere sul serio il regno di Dio, il peccato diventa triviale e la salvezza diventa eterea. […] In relazione al servizio del regno, si capisce meglio chi è Gesù di Nazareth e ciò che la Chiesa deve fare alla sua sequela: passare facendo il bene, annunciare buone notizie ai poveri e restituire dignità ai disprezzati; confortare i deboli e curare gli infermi; dire sempre la verità, quella che viene da Dio, per consolare gli oppressi e additare nel contempo gli oppressori; parlare con autorità senza dogmatismo, insegnare con chiarezza senza dottrinalismi, esigere con radicalità senza sottomissione; resistere sino alla fine, con alti e bassi di paura e di speranza. E di Gesù di Nazareth ogni volta mi colpisce come rispettava e valorizzava la libertà e la ragione degli esseri umani. Infine, con Gesù, la Chiesa può capire meglio la realtà e il destino dei popoli crocifissi. […] Ellacu, oggi non si parla molto di questo Gesù sulla croce, né dei conflitti storici che continuano crocifiggendo innumerevoli esseri umani. […] Tu, sì, l’hai fatto in uno scritto fondamentale: “Perché muore Gesù e perché l’uccidono”. L’hai chiesto per due motivi. Il primo, per fedeltà al mistero di Dio, presente, silenzioso e accogliente sulla croce. E il secondo, per non essere ciechi davanti alla crudeltà di questo mondo. Nessuno nella chiesa dovrebbe dimenticarlo e neppure fuggire dal conflitto. (Ion Sobrino, Carta a Ignacio Ellacuría, 31/10/2008).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Novembre 2008ultima modifica: 2008-11-16T23:44:00+01:00da fraternidade
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