Giorno per giorno – 18 Novembre 2008

Carissimi,
“Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla; ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 17-18. 20). Qualcosa di simile a questo passo della lettera alla Chiesa di Laodicea, che la liturgia ci fa ascoltare oggi, deve aver mosso quel giorno Zaccheo, quando seppe che Gesù era entrato a Gerico. E la notiza del cieco (Lc 18, 41-43), chissà, forse l’aveva già raggiunto. E, improvvisamente, si era detto, lui che navigava nell’oro: io sono un infelice, miserabile, povero, cieco e nudo. Ed ecco che proprio lui, che alcuni temevano, altri invidiavano, altri ancora disprezzavano, si muove, si mette a correre (Lc 19, 4), piccolo, forse rotondo e impacciato, incurante dello scherno, che accompagna in genere la goffaggine altrui, ancor più quella dei potenti. Com’è finita, quel giorno, lo sappiamo tutti. Ma, noi, non se n’è ancora tirato le conseguenze. Noi, lo diceva stamattina Valdecí, siamo ancora Zaccheo prima di salire sull’albero. Da dove aveva incrociato il Suo sguardo. Rivolto proprio a lui, non c’era dubbio. E l’aveva chiamato per nome, schiodandolo da quella sua improvvisa disperazione. E Zaccheo corre, anche stavolta, scivola in fretta giù dal sicomoro, e lo precede per fargli strada, saltella, si gira, inciampa, rosso di vergogna e di piacere. Com’è finita, quel giorno, lo sappiamo tutti. Ma, noi, non se n’è ancora tirato le conseguenze. Noi, è come se si stesse ancora lassù sull’albero e Lui fosse passato oltre, senza guardare in su. E, difatti, i nostri occhi sono ancora i nostri occhi, senza luce. E i nostri giudizi, i nostri giudizi. E le nostre ricchezze, quali che siano, poche o tante che siano, nostre e basta. Da custodire guardinghi e sospettosi. E la nostra vita. Meglio non parlarne. Zaccheo, invece, lui che non sapevamo se temere, invidiare o disprezzare, lui si è lasciato invadere da Dio. E non sarà più se stesso. Noi, lo diceva stamattina Valdecí, siamo ancora Zaccheo prima di salire sull’albero. O, forse, salire, ci siamo anche saliti. Ma non ne siamo più scesi. Perché quando Lui è passato, abbiamo chiuso gli occhi e le orecchie. Così, Gesù non sarà a cena da noi stasera.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap. 3,1-6.14-22; Salmo 15; Vangelo di Luca, cap.19, 1-10.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Voi non ce ne vorrete se ogni tanto vi chiediamo di insistere con Lui per qualche caso particolare: la salute di seu Ciato, il parto imminente di Divina, la crisi coniugale di Ione e Natal, qui da noi; e, lì da voi, una vita sotto il segno della Sua bendizione per le piccole Giulia e Paola di Verderio Inferiore, che compiono sei anni giusto oggi; il processo post-operatorio del giovane Massimiliano, gli interventi cui si sottoporranno, giovedì, la nostra amica Gilda di Premia, e Luigi, fratello della nostra amica Giusi, di Milano; e, ancora, la situazione familiare del nostro amico Beppe, e le intenzioni del nostro amico Roberto di Milano. Piú qualche nostra richiesta, di “quelle che Tu sai”: basta dirgli così.

Dicevamo di Zaccheo e forse delle nostre occcasioni perdute. Degli ingombri del nostro io, che ci rendono così spesso sospettosi, impietosi, malevoli nei confronti degli altri. Della nostra difficoltà a lasciarci catturare dallo sguardo che Gesù riserva all’altro (a cominciare da noi, se sappiamo coglierlo), per poi giocare a portarlo, a nostra volta, sugli altri, scoperti tutti, indistintamente, oltre ogni facile etichetta, ogni facciata di comodo, ogni giudizio sempre, necessariamente, falso e, spesso, ingeneroso, figli e figlie dell’unico Padre, e perciò nostri veri fratelli e sorelle. Per apprendere cosa significhi per davvero la purezza di cuore: “Quando qualcuno vede tutti gli uomini buoni, e nessuno gli appare come impuro, allora si può dire che è autenticamente un puro di cuore”, secondo la lezione di Isacco di Ninive. E, noi, si deve ancora cominciare.

Anche per stasera è tutto. Congedandoci, vi offriamo la citazione di un libretto che ci ha lasciato in dono la nostra amica Dora, coordinatrice regionale di “Fé e Luz”, durante la sua ultima visita. È di Jean Vanier e s’intitola “Jesus, o dom do amor” (Paulinas). È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La storia di ogni persona è una storia di debolezza / nata e accolta / o rifiutata per paura e per rabbia. / Siamo concepiti in debolezza / e in debolezza moriamo. / Dalla debolezza ascendiamo alla forza, / ma, poi, cadiamo nuovamente nella debolezza. / Questa storia umana è anche / la storia della Parola che si è fatta carne. // Il grido che si eleva dalla debolezza può diventare / è chiamato a diventare, / un grido d’amore, / aprendoci agli altri / e a Dio; / non un grido di rivolta e disperazione / che sale dal nostro desiderio / di essere forti e indipendenti, / che ci chiude in noi stessi. / È un grido per l’unità e per la compassione, / che avvicina le persone all’unità e alla comunità. / La debolezza dell’altro ci turba / quando vogliamo starcene in pace / o mantenere ciò che è nostro. / Tuttavia, può anche destare e aprire i nostri cuori /alla comunione e alla condivisione. / Quando è benvenuta, / la debolezza diventa comunione e condivisione; / quando è rifiutata, / la debolezza diviene durezza, disperazione, rivolta, / un preludio di morte. // Siamo, logicamente, chiamati a crescere, / e a crescere in forza e competenza; / tuttavia, questa forza / è per costruire umanità nell’amore, / e non per il nostro potere personale e la nostra gloria. / Non siamo chiamati a essere isole indipendenti, / separate le une dalle altre, / chiuse nell’autosoddisfazione. / Siamo tutti legati, interdipendenti, / chiamati ad essere un solo corpo. / Il debole ha bisogno del forte, / proprio come il forte ha bisogno del debole / per non chiudersi in atti suicidi di potere e di orgoglio, / ferendo il bambino interiore. / La necessità mutua dei cuori è comunione. (Jean Vanier, Jesus, o dom do amor).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Novembre 2008ultima modifica: 2008-11-18T23:29:00+01:00da fraternidade
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