Giorno per giorno – 25 Ottobre 2008

Carissimi,
“Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Lc 13, 6-9). È tutto il Vangelo di oggi. Che racconta l’amore impaziente, ma anche, forse, l’incredulità di Dio, o solo del Padre, perché lo Spirito, d’accordo con il Figlio, che lavora quaggiù in basso, sa le condizioni in cui si opera e allora ogni volta tergiversa e l’inganna: Dacci tempo, ci si lavora noi. Vedrai che i frutti arriveranno. E dice dei frutti della chiesa, ovviamente. Dato che agli altri, di frutti, persino il Padre sa che non c’è bisogno di chiederglieli. Perché, spesso, li danno di loro, come per miracolo, e sono buoni e saporosi, di quelli che piacciono a Lui, capaci di dire la gioia di vivere e la complicità solidale dei poveri. Ma la sua Chiesa, invece, che dovrebbe da sempre, ardere di zelo e, buttato a mare ogni orpello, correre nuda e povera al suo incontro, e dare frutti di giustizia e di misericordia, lei, troppo spesso, latita, ozia, sonnecchia, si gingilla. No, Dio, il Padre, non ha mica più molta fede nella chiesa. Senza generalizzare, ovviamente. Dato che c’è chiesa e chiesa. E gli viene la tentazione: usiamola come legna da ardere! Ma, appunto, c’è lo Spirito. Che se lo vivrebbe come suo personale fallimento. Ed è per questo che dalle origini, Lui si gioca il Padre, dicendo: dammi tempo, solo quest’anno. Se no la taglierai. E non l’ha mai tagliata. O, forse sì, ma poco, qua e là. E, anche noi, non ci ha ancora tagliati.

Oggi è memoria di uno che, sulla chiesa, aveva le idee chiare, fino a che: Henri Perrin, preteoperaio.

Nato il 13 aprile 1914, Henri Perrin fece parte del gruppo di giovani preti che, durante la II Guerra mondiale, scelsero di accompagnare i lavoratori francesi inviati a lavorare nelle fabbriche tedesche. Lì, lavorò con i suoi connazionali, operando nello stesso tempo come cappellano clandestino. Scoperto, fu imprigionato per un breve periodo e poi rimpatriato. L’esperienza tuttavia lo segnò irreversibilmente. Scoprì infatti la distanza che separava la chiesa dalla classe lavoratrice e, presto, con altri preti che la pensavano uguale, decise che era ora di restituire la chiesa ai poveri e i poveri alla chiesa. Nacque così, nel 1947, con l’approvazione dei vescovi francesi, l’esperimento dei preti-operai. Perrin fu assunto in una fabbrica di plastica. Non rivelò subito la sua identità. Quando comunque i compagni seppero che era prete, la sua maniera d’essere ne aveva già conquistato rispetto, simpatia e cameratismo. Non sarebbe durata a lungo. Il Vaticano nel 1949 emise un decreto che condannava l’adesione dei cattolici ai partiti comunisti e alle organizzazioni ritenute fiancheggiatrici, compresi i sindacati. I vescovi francesi, finché poterono, tergiversarono. Si rendevano infatti conto dell’importanza che la figura dei pretioperai rivestiva nel processo di evangelizzazione del mondo del lavoro e di ri-evangelizzazione della stessa chiesa. E sapevano che non c’era verso di stare in quel mondo, senza assumerne le lotte e gli strumenti organizzativi. Tuttavia, all’inizio del 1954, le insistenti pressioni di Roma posero fine all’esperimento. Molti obbedirono e lasciarono le fabbriche, altri ritennero questo passo un tradimento dei poveri e del Vangelo. Restarono e subirono i provvedimenti ecclesiastici. Lui, il nostro prete, amareggiato, deluso, indignato, non ebbe neppure tempo di decidere. Morì in un incidente di moto, poco più che quarantenne, il 25 ottobre dello stesso anno. Poi sarebbe arrivato il Concilio Vaticano II. E le stagioni successive.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 7-16; Salmo 121; Vangelo di Luca, cap.13, 1-9.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Non abbiamo sottomano scritti di Henri Perrin, però possiamo attingere a quelli di gente come lui, operai come lui, preti come lui. Come don Sirio Politi, per esempio. Di cui, congedandoci, vi proponiamo uno scritto tratto da “La voce dei poveri“, del settembre 1962. È il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Questo nostro popolo vuole ancora bene alla Chiesa e ai suoi preti. Soltanto che spesso vuole bene sul serio. E quindi ama di un Amore esigente, quasi geloso. È come un innamorato a cuore aperto, questo povero popolo, e chiede, non può non pretendere, una fedeltà assoluta. Ho imparato a scoprire Amore di quello vero in quella pretesa che la gente ha che io sia povero e semplice, aperto a tutti. È Amore volermi assolutamente soltanto dalla parte di Dio, espressione viva della Sua libertà e della Sua Giustizia. È un bene appassionato a me e alla Chiesa aspettarsi una testimonianza chiara e scoperta, sicura e coraggiosa che questa vita è soltanto attesa e che il Paradiso soltanto è vera felicità. È Amore pretendere che la mia vita e tutta la Chiesa sia una smentita pratica e concreta che i quattrini sono valore tanto importante, che le ricchezze sono una potenza, che la politica è un interesse. È Amore a me, vero e profondo, e insieme è Amore a Gesù Cristo e al Vangelo esigere una perfetta identità fino al punto da poter vedere il Vangelo e Gesù Cristo con i propri occhi e toccarlo con le proprie mani. Ho ascoltato tante critiche, e spesso tanto dolorose e pesanti, sempre però al fondo vi ho scoperto una scintilla di Amore, perché vi ho visto tanta sofferenza e spesso perfino dell’angoscia perché le cose erano così, andavano avanti così, mentre sarebbe stato meraviglioso se tutto fosse stato come, del resto, è scritto e come insegnato che dovrebbe essere. Ho imparato a conoscere il Vangelo e Gesù Cristo, fra questo popolo, più che sui libri d’esegesi, fra questa gente criticona e sempre scontenta, pretenziosa e perfino arrogante: ma che ascolto sempre con umiltà e dolcezza, perché le loro esigenze anche spietate le hanno scoperte sul Vangelo che io insegno loro e ogni diritto nei miei confronti è stato loro concesso da Gesù Cristo che io vado dicendo di rappresentare. Non possono esser contenti di me. Hanno ragione di lamentarsi e di criticarmi. E sono tante le cose di cui possono essere scontenti anche nei confronti della Chiesa nella sua realtà umana. È giusto che pretendano anche l’impossibile. È Amore metterci davanti spietatamente il problema delle nostre responsabilità. Ed è loro diritto chiederci tutto. Può darsi che perfino nel perseguitarci e ucciderci vi sia qualcosa di un misterioso Amore? (Sirio Politi, “La voce dei poveri”, settembre 1962).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Ottobre 2008ultima modifica: 2008-10-25T23:04:00+02:00da fraternidade
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