Giorno per giorno – 14 Settembre 2008

Carissimi,
“Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto” (Mt 18, 32-34). Noi non sappiamo esattamente chi siano, chi saranno, gli “aguzzini” della parabola. Presumiamo solo che non siano i diavoli alla fine dei tempi, ma qualcosa che agisce, agirà, qui ed ora. Ci sono giorno in cui, più che in altri, sentiamo il bisogno di un qualche intervento vendicativo di Dio. Quello pregato a volte nei salmi o a cui davano voce i profeti. Quello che, per esempio, attraverso il profeta Amos sentenziava: “Per tre trasgressioni [non li ho puniti], ma davanti alla quarta non perdonerò: perché vendono l’innocente per denaro e il povero per un paio di sandali, rovesciano nella polvere il derelitto e fanno deviare il cammino dei miseri” (Am 2, 6-7). È stata questa l’immagine che ci è venuta alla mente stasera quando si è letto della morte di Abdul William Guibre, 19 anni, italiano del Burkina Faso. Ucciso a spangate, all’alba di una domenica, da una bella coppia di padre e figlio, non per un paio di sandali, ma per una scatola di biscotti. A Milano, a due passi dalla via Gluck. Alla società che procede secondo la denuncia del profeta, Dio promette: “Ecco, io vi schiaccerò al suolo, come un carro carico di covoni: il più veloce non riuscirà a fuggire, il più forte non troverà le forze, il soldato non salverà la vita; l’arciere non resisterà, il più agile non si salverà, il cavaliere non salverà la vita; il più coraggioso tra i soldati quel giorno fuggità nudo – oracolo del Signore” (Am 2, 13). Il giovane Abdul non è solo lui: è immagine di molto di più (di un intero mondo condannato, ogni volta, a morte, e, per noi cristiani, addirittura di Gesù, cioè di Dio); così come i suoi assassini, i due Cristofoli, padre e figlio, accomunati dalla semente dell’odio (che ne fa una sorta di antitrinità) non sono soltanto loro, sono immagine di una società che sta montando lì da voi, persino in alcune delle vostre parrocchie, con alcuni loro preti e cappellani e, magari, persino qualche vescovo. Come, del resto, succede altrove nel mondo. Si pensi alla Bolivia e a quanto succede nelle provincie del benessere e delle ricchezze da arrogarsi in esclusiva e da difendere a costo del sangue. L’altrui, naturalmente! Ci sono momenti in cui, più di altri, sentiamo che il mondo non vuole il perdono di Dio, il perdono che è Dio. E, così, lo esilia dalla sua vita e dalla sua storia. Altre cose, troppe, ci interessano più che il vivere riconciliati, nella cura e premura fraterna. E Dio, che pure vorrebbe restare, se ne va. Ecco, gli aguzzini della parabola sono l’assenza di Dio e i suoi frutti. Che si faranno presto sentire. Che si fanno già sentire.

I testi che la liturgia di questa 24ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.27, 22 – 28,9; Salmo 103; Lettera ai Romani, cap.14, 7-9; Vangelo di Matteo, cap.18, 21-35.

In alcune chiese, le letture proclamate sono quelle proprie della festa dell’Esaltazione della Croce. Ovvero:

Libro dei Numeri, cap. 21,4b-9; Salmo 78; Lettera ai Filippesi, cap. 2,6-11; Vangelo di Giovanni, cap. 3,13-17.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Quanto alla Festa dell’Esaltazione della Croce, un’antica tradizione vuole che, durante il regno di Costantino, sua madre, Elena, si sia recata in Palestina a cercare i luoghi più significativi della nostra fede. Avendo localizzato, uno vicino all’altro, quelli che ritenne essere i luoghi della crocifissione e sepoltura di Gesù (localizzazione che gli archeologi moderni ritengono verosimigliante), costruì lì la Basilica del Santo Sepolcro, che fu consacrata il 14 settembre dell’anno 335. Da allora questo giorno è diventanto la Festa della Croce, che avrebbe assunto in seguito significati diversi, ma che noi si celebra solo come simbolo dell’amore che abbraccia il mondo intero.

Oggi noi si è “celebrato” anche il secondo mutirão per l’intonacatura della casa di Divina e Aparecida. E confessiamo che la stanchezza è grande come nostra la soddisfazione. Così non ce ne vorrete se non vi stiamo a raccontare altro, e se ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano del bel libro di don Paolo Farinella, “Crocifisso tra potere e grazia” (Il Segno dei Gabrielli Editori). È solo per ricordarci che l’Esaltazione della Croce della festa di oggi non ha nulla a che vedere con l’uso e l’abuso che di essa fa il Potere. Il quale, anzi, come uccise il Figlio di Dio – la sua Verità, cioè – duemila anni fa, non ha mai cessato di farlo. Neppure adesso. È il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La fede che poggia sulla roccia della Parola (Mt 7, 24) non permette che il crocifisso (o qualsiasi altro simbolo religioso) venga banalizzato come segno culturale delle radici cristiane della soceità, perché sarebbe un’affermazione di ateismo, ammantata di religiosità funzionale ad un sistema sociale che cerca nella religione di riferimento uno strumento di garanzia dello statu quo. Per mantenere l’ordine materiale (che coincide con la propria sopravvivenza politica), il potere di turno per contenere il disordine sociale si affida alla polizia e per controllare le coscienze (almeno nel tentativo) si affida alla religione di mantenimento, intesa come stazione ferroviaria di servizi religiosi e di riti gratificanti, specialmente nei tornanti particolari della vita (nascita, crescita, nozze, dolore e morte): “A tenere buona l’anarchia ci pensano i poliziotti, a tenere buone le inquietudini evangeliche ci pensano i burocrati di Dio”. Ciò che importa ai cavalieri atei del crocifisso è la religione come espressione della cultura dominante, gestita dal potere politico per manovrare coscienze e voti in nome e per conto di ideologie da strapazzo. Il crocifisso diventa uno strumento nelle mani dello Stato che lo usa come stupefacente per tranquillizzare gli istinti cristianamente pagani della maggioranza degli italiani, i cui rappresentanti politici, agnostici pragmantici, lo maneggiano come un fendente per acquistare consensi. Essi assecondano le pulsioni emotive della folla impaurita dai passaggi storici che destabilizzano la monotonia della convivenza tra identici. È facile per la folla vedere nell’immigrato il “nemico” che bisogna esorcizzare e allontanare attraverso l’esasperazione della presunta “identità culturale del cristianesimo” come baluardo contro i nemici esterni che entrano nelle nostre case per comandare. Il crocifisso diventa un principio vuoto nello stesso momento in cui lo si nega e si rinnega come criterio di vita e di coerenza. (Paolo Farinella, Crocifisso tra potere e grazia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Settembre 2008ultima modifica: 2008-09-14T23:20:00+02:00da fraternidade
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