Giorno per giorno – 27 Febbraio 2008

Carissimi,
“Nessun’altra nazione, anche se è forte, ha un Dio così vicino a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo preghiamo. E nessuna grande nazione possiede leggi e norme giuste, come gli insegnamenti che oggi vi trasmetto” (Dt 4, 7-8). L’ebreo Gesù, queste parole di Mosè, doveva averle tutte ben scolpite in cuore, se si sentì in dovere di avvertire i suoi: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto” (Mt 5, 17-18). No, il suo sguardo di uomo, non poteva certo raggiungere il nostro tempo, ma, se avesse potuto, quale amarezza lo avrebbe colmato nel vedere alcuni suoi seguaci svuotare, consapevolmente o meno, la Legge e i profeti, cioè, la sua Bibbia, e le promesse irrevocabili del Padre pronunciate sul suo popolo, contenute in essa. “Noi, le nazioni, non dobbiamo attendere, desiderare, domandare la conversione degli ebrei. Israele è già il figlio di Dio. È il fratello maggiore della parabola, al quale il padre dice: Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo (Lc 15)”. Lo affermava, secondo quanto riportato da André Chouraqui nella sua autobiografia, il pastore Louis Dallière, uno dei pionieri dell’ecumenismo. Del resto, l’indissolubilità dell’alleanza, è affermata, con una certa maggiore autorità, dallo stesso Dio con le parole del profeta Isaia: “Il Signore ha una domanda da farvi: ‘Se è vero che io ho ripudiato Gerusalemme, vostra madre, dov’è il documento del divorzio?” (Is 50, 1). Con un po’ di humor potremmo dire che se proprio ha da esserci divorzio, è nei confronti di quanti se lo inventano. Ma, veniamo a casa nostra. Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, è apparso, dopo tanto tempo seu Manuel, ormai da più di due anni vedovo della sua Margarida e padre di Bernadete e dei suoi fratelli. Lui abita in campagna, ma ogni tanto, per l’età e gli acciacchi, si fa qualche periodo in ospedale, poi passa qualche giorno con la figlia e ne approfitta per venire in comunità. Lui è di quei vecchi che incantano solo a guardarlo e parla sempre una parola di saggezza. Così anche stasera, quando Gerson l’ha stuzzicato a intervenire sulle letture ascoltate, lui ha tergiversato un po’, ha spalancato gli occhi, come a dire: io?, ha scosso la testa bianca, poi ha scandito, con una voce che gli anni hanno reso solo un po’ più flebile: “La parola di Dio è sempre così bella che la nostra unica preoccupazione dovrebbe essere quella di passarsela di generazione in generazione, donarla ai nostri figli, e ai nipoti e ai pronipoti”. E ripeteva così l’invito con cui si era chiuso il testo del Deuteronomio: “Guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” (Dt 4, 9). E, a quel punto, nessuno si sarebbe stupito se fosse andato all’altare e, come gli anziani delle prime comunità, avesse preso il pane e avesse detto: Adesso, prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Ed era la sua vita (sua di lui e di Lui) che ci avrebbe dato in dono.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Gregorio di Narek, asceta, mistico e poeta del X secolo.

420857321.jpgNato intorno all’anno 951, Gregorio entrò giovanissimo nel monastero di Narek, dove era abate Ananaia Narekatsi, uno dei monaci più celebri dell’epoca, fratello di suo nonno. Il monastero sorgeva, ad un’altezza di 1650 metri, a pochi chilometri dalla riva sud-orientale del Lago di Van (oggi in territorio turco), che con i suoi 120 chilometri di lunghezza e gli 80 di larghezza è un vero e proprio mare. Di Gregorio non si sa più nulla, se non che, in quel monastero, visse tutta la sua vita, facendo ciò che deve fare un monaco, pregando, lavorando, insegnando e contemplando. Tradusse in versi mirabili la sua esperienza, il senso acuto del peccato e il desiderio estremo di esprimere e giungere a toccare il Dio che, indicibile e inafferrabile, come in un gioco amoroso a rimpiattino, ci insegue e ci sfugge. Gli cantava: “Tu, se noi sfuggiamo, corri dietro a noi, / se siamo indeboliti, Tu ci fortifichi, / se ci smarriamo, Tu ci spiani un sentiero facile, / se siamo intimiditi, Tu ci incoraggi, … / se mentiamo, Tu ci giustifichi con la tua verità, … / se non desistiamo dalla nostra volontà, Tu ci fai desistere…/ se ci alieniamo, Tu tieni lutto, / se ci avviciniamo, Tu fai festa, / se diamo, Tu accetti, / se noi ci rifiutiamo, Tu maggiormente elargisci i tuoi doni”. Gregorio morì il 27 febbraio 1010 (o forse 1011). Il corpo fu sepolto nel monastero dedicato a santa Sanducht, prima martire armena (I° secolo) e figlia del re Sanatruk, che la tradizione vuole sacrificata per la fede su ordine del padre. Più tardi i resti del santo furono trasferiti a Sebaste, l’attuale Sivaz, nell’Anatolia centrale, accompagnando l’esodo delle popolazioni che fuggivano le prime invasioni delle tribù turciche.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.4, 1.5-9; Salmo 147; Vangelo di Matteo, cap.5, 17-19.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti testimoniano fraternità, giustizia, pace, cioè la Vita, come significato ultimo delle loro azioni, quale ne sia il cammino religioso, filosofico, ideale.

Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una preghiera di Gregorio di Narek, tratta dal suo Libro delle Preghiere. È diretta a Gesù come significato di un Dio, che si dona e soffre e perdona ai suoi figli; lo stesso significato della Parola originaria, incompreso, messo a tacere, eliminato da buona parte della sua generazione e da ogni generazione futura, persino dalla sua chiesa, quando dimentica la sua vocazione di essere solo serva di tutti, custode dell’amore, messaggera di liberazione. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Con timore misto ad allegrezza, oserò dire qualcosa delle sofferenze che per me tu hai sofferto, o Dio di tutti. Ti hanno disteso sull’altare della Croce come una vittima; ti hanno inchiodato quasi tu fossi un malfattore; ti hanno inchiodato come un ribelle; tu che sei la pace celeste, quasi tu fossi un brigante; tu che sei la causa della vita, come degno d’esser distrutto dalla morte; tu che hai esposto l’Evangelo, come un bestemmiatore della legge; il Signore e il compimento dei profeti, come un trasgressore delle Scritture; tu che sei il raggio di gloria e il sigillo di pensieri insondabili del Padre, come avversario della volontà di colui che ti ha generato. Signore, tu hai accolto tutte quelle sofferenze liberamente e con volontaria compiacenza, sopportandole nell’umanità che ti sei unita a te. E dopo aver subito tali ignominie con pazienza indicibile, sei risuscitato, vivente per potenza tua propria in una luce esaltante, con la tua integra umanità e la tua perfetta divinità. Tu, o Signore, che sei benedetto per la tua gloria, lodato per la tua pietà, sii esaltato sempre per la tua misericordia, nei secoli dei secoli. (Gregorio di Narek, Libro delle Preghiere)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Febbraio 2008ultima modifica: 2008-02-27T23:29:00+01:00da fraternidade
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