Giorno per giorno – 28 Ottobre 2020

Carissimi,
“In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6, 12-13). Di due di quegli apostoli, Simone e Giuda, la Chiesa fa memoria oggi. Ed è per questo che la liturgia ci ha proposto questo vangelo. Di loro e della maggior parte degli altri, sappiamo proprio poco. Ma, di una cosa abbiamo comunque certezza: la lista dei Dodici si apre con il nome di Simon Pietro, che, nel momento cruciale, avrebbe rinnegato Gesù, e si chiude con quello di Giuda Iscariota, il traditore. Gli altri dieci non si comportarono molto meglio, dato che fuggirono, abbandonando Gesù e lasciandolo solo. Era, evidentemente, ostinatamente altro, rispetto a ciò che egli era venuto insegnando loro, il Messia che aspettavano e, perciò, anche il Dio in cui credevano, così simile a quello radicato nell’immaginario religioso di ogni popolo. E non è che si possa dire che le cose siano granché cambiate. Anche per questo, siamo invitati a leggere e riflettere continuamente sull’evangelo: per la speranza che alla fine, come successe anche agli undici, si arrivi ad accettare davvero Gesù, cioè Dio, non come figura di un potere, che si propone di assoggettare il mondo, ma come buona notizia da recargli. Quella di un amore invincibile nel donarsi, fino ed oltre la morte, che accetta tuttavia di dirsi a partire dalla testimonianza di un quand’anche sparuto gruppo di discepoli, che, a partire dall’incontro con Gesù, si scoprono e si accolgono, nella loro diversità, e nel loro limite e peccato, come fratelli e sorelle, resi a questo punto apostoli credibili di un’umanità nuova, posta sotto il segno di una fraternità riconciliata.

Oggi è, dunque, memoria di due dei Dodici: Simone Zelota e Giuda Taddeo, apostoli.

Simone, detto lo Zelota, originario di Cana di Galilea, appare nell’elenco degli apostoli assieme a Giuda, chiamato Taddeo. Il soprannome del primo lascia intendere che, prima di porsi al seguito di Gesù, appartenesse al partito degli “zeloti” (sostenitori della lotta armata contro l’occupazione straniera), o che, per lo meno, ne fosse stato simpatizzante. Giuda, secondo il Vangelo di Giovanni, è colui che durante l’ultima cena, a Gesù che diceva: “Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (v. 14,19) domanda: “Signore, perché mai ti manifesterai a noi e non al mondo?” (v. 22). Al che Gesù risponderà: Chi non ama non vive la mia Parola [e si chiude così ad ogni possibile manifestazione dell’amore] (cf v.24). Un’antica tradizione vuole che i due abbiano sofferto il martirio in Persia.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap. 2,19-22; Salmo 19; Vangelo di Luca, cap.6,12-16.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto, per stasera. Noi scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura una pagina tratta dal libro “Sequela” (Queriniana) di Dietrich Bonhoeffer, che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La vocazione a seguire Gesù è legame con la sola persona di Gesù, rottura con ogni legalismo, per opera della grazia di colui che chiama. È una chiamata della grazia, un comandamento della grazia. È al di là di ogni opposizione tra legge ed Evangelo. Cristo chiama, il discepolo segue. È grazia e comandamento insieme. “Cammino per una via spaziosa, perché cerco i tuoi comandamenti” (Sal 119,45). Seguire Cristo vuol dire legarsi a lui. Cristo esiste, ne deriva la necessità di seguirlo. Un’idea di Cristo, una dottrina, una generale conoscenza religiosa della grazia o del perdono dei peccati non richiede obbedienza, anzi, veramente la esclude, ne è nemica. Con un’idea si entra in un rapporto di conoscenza, di entusiasmo, forse anche di realizzazione, ma mai di un impegno personale di obbedienza. Un impegno senza Gesù vivente necessariamente rimane un cristianesimo senza impegno di obbedienza; e un cristianesimo senza impegno di obbedienza è sempre un cristianesimo senza Gesù Cristo; è un’idea, un mito. Un cristianesimo in cui c’è solo Dio Padre, ma non Cristo il Figlio vivente, annulla addirittura l’impegno a seguirlo. In esso, si trova fiducia in Dio, ma non obbedienza. Solo perché il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché è mediatore, il giusto rapporto con lui è l’obbedienza. L’obbedienza è legata al mediatore, e dove si parla correttamente dell’impegno a seguirlo, lì si parla del mediatore Gesù Cristo. Solo il mediatore, il Dio-uomo può invitare a seguire. Obbedienza senza Gesù Cristo è scelta personale di una via forse ideale, forse una via di martire, ma è una via senza promessa; Gesù deve respingerla. (Dietrich Bonhoeffer, Sequela).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-28T22:12:23+01:00da fraternidade
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