Giorno per giorno – 27 Ottobre 2020

Carissimi,
“A che cosa è simile il regno di Dio? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami” (Lc 13, 18-19). Il vangelo di oggi ci presentava due parabole brevissime, questa del granello di senape, e l’altra, del lievito nella pasta (particolarmente cara alle nostre comunità di base): entrambe ci dicono della modalità d’essere del regno di Dio, perciò, di Gesù, perciò di Dio, e di conseguenza del cristiano e della Chiesa, che voglia esserne sacramento. Ogni volta che ci si allontana da questo modello, è perché si è ceduto a una delle tentazioni, cui fu sottoposto Gesù nel deserto, vuoi dell’avere, o del potere, o dell’apparire, che sono forme dell’idolatria. Dio non è la stessa cosa di un faraone all’ennesima potenza, sceglie invece di identificarsi con la più piccola e insignificante delle sue creature, e con essa si lascia buttar via, fino a morirne, facendo, anche della sua morte, dono per la vita di tutti, compresi coloro che che hanno pensato di eliminarlo. Gran parte dell’umanità vive questo mistero dell’esclusione di Dio dalla storia del mondo: una piccola minoranza come suoi soggetti attivi, che hanno consapevolmente scelto l’idolo di mammona, o che, in ogni caso, sono tra i beneficiari di tale opzione, gli altri come vittime, assieme a Dio, di questa scelta di [in]civiltà. Gli operai del Regno, i testimoni di come Dio regna nel mondo, sono coloro che, solidali con gli ultimi, attraverso il dono di sé e il servizio gratuito e nascosto, si offrono come rifugio a tutti i bisognosi, e contribuiscono a far lievitare quel pane che diventa via via alimento per la vita di tutti. Arriveremo a farlo anche noi?

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Tukârâm, mistico indiano.

Non abbiamo grosse notizie su di lui, salvo il fatto che nacque nel 1598, a Pandharpour, nello Stato indiano del Maharastra, nella famiglia di un contadino analfabeta, appartenente alla casta dei shudra, la più umile delle caste indiane. Sposatosi, ebbe un figlio, ma perse lui e la moglie durante una grave carestia. Nonostante questa tragedia, non venne mai meno in lui la fede e l’amore nei confronti di Krishna. Scrisse innumerevoli poesie che cantano la sua devozione a lui, in forma di abhanga nella lingua Marathi. Assalito dalla frustrazione e dai dubbi, un giorno era pronto a suicidarsi, ma fu proprio allora che percepì la presenza del divino. Da quel momento la sua vita cambiò. La sua filosofia era semplice ed efficace: “Siedi in silenzio e ripeti il nome di Dio. Questo solo basta per realizzarti”. Costantemente ripeteva che le norme morali e gli insegnamenti religiosi, come lo studio dei Veda, erano solo formalità e che il fine ultimo della religione sta nella realizzazione del divino attraverso l’amore. Morì nel 1650.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.5, 21-33; Salmo 128; Vangelo di Luca, cap.13, 18-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura una poesia di Tukaram, dal titolo “The destitute and the downtrodden”, tratta dalla raccolta “One Hundred Poems of Tukaram”, che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Chi, indigenti e oppressi, / considera come suoi / lui soltanto deve essere riconosciuto come santo / Dio può essere sperimentato solo in ciò / Tenero in tutto e per tutto è il burro / Così è il cuore di chi è buono / Coloro che sono abbandonati / li accoglie in un abbraccio amorevole / La misericordia destinata al proprio figlio / la dimostra anche a servitori e domestiche / Tuka dice che non lo loderà mai abbastanza / Egli è il Signore incarnato. (One Hundred Poems of Tukaram).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-27T23:51:27+01:00da fraternidade
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