Giorno per giorno – 08 Novembre 2019

Carissimi,
“C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore” (Lc 16, 1-2). Stamattina, ci dicevamo che, fuor di metafora, siamo tutti amministratori di qualcosa affidataci da Dio. Amministratori, per cominciare, di noi stessi, della nostra vita, dei nostri affetti, relazioni, scelte (anche politiche), del nostro tempo, dei beni che possediamo, dell’ambiente, il mondo, che abbiamo il compito di custodire al meglio per noi e per gli altri, della testimonianza a cui siamo stati chiamati, del vangelo, perciò, e di quant’altro. E dobbiamo riconoscere, se siamo sinceri, che, se non in tutto, almeno in parte, siamo stati pessimi amministratori, abbiamo fatto cioè cattivo uso dei doni ricevuti. E Dio ce ne chiede conto. Che fare per rimediare? Il Signore, non siamo in grado di risarcirlo direttamente, né, per altro, è questo che si aspetta da noi. Ciò che, invece, sta a vedere, è come noi ci comporteremo con gli altri, che abbiamo contribuito con la nostra cattiva amministrazione a ridurre in male arnese. Se ne sta a vedere se cominceremo ad alleviarli del peso della vita che sono costretti a portare, se non del tutto, dato che non siamo onnipotenti, almeno un po’, a misura di ciò che riusciamo. Mostrando loro che c’è un modo diverso di amministrare i beni di Dio, dando loro il nostro tempo, affetto, cura, comprensione, rispetto, accoglienza, dialogo, protezione, perdono (perché noi si possa essere perdonati), ed essi ci accolgano così nelle loro case, la casa che è Dio, scaduto il tempo dell’amministrazione. A questo punto, dobbiamo solo pregare di esserne resi capaci. E darci una mossa.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Mohammed ibn ‘Ali Ibn al-‘Arabi, mistico islamico.

Mohammed ibn ‘Ali Ibn al-‘Arabi, detto Muhyi ed-Din (Vivificatore della Religione) era nato a Murcia, in Spagna, il 27 luglio 1165 (17 Ramamdan del 560, secondo il calendario egiriano), quando l’Andalusia era ancora sotto dominio islamico (lo era ormai da 450 anni). A otto anni, con la famiglia si trasferì a Siviglia, dove visse per i successivi ventisette anni. A 16 anni, secondo quanto lui stesso racconterà, la visione di Mosè, Gesù e Mohammed lo portò a decidere di intrapprendere il cammino di una vita tutta rivolta a Dio. Dopo un incontro con il filosofo Ibn Rushd (Averroè) a Cordova, cominciò a studiare seriamente il Corano e gli Hadith (i Detti e Fatti del Profeta), frequentando nel contempo molti maestri spirituali, uomini e donne. Ebbe, durante tutta la vita, numerose esperienze mistiche, visioni e rivelazioni. Nel 1193, un soggiorno a Tunisi segnò una tappa ulteriore della sua esperienza spirituale. Tornato a Siviglia, la descrisse nel suo primo libro Mashahid al-asrar (Contemplazione dei Santi Misteri). Nel 1204 al-‘Arabi si trasferì a Malatya, in Turchia, dove si sposò, ed ebbe almeno due figli e una figlia. Nel 1211, durante un pellegrinaggio alla Mecca, cominciò la stesura del suo poema più famoso “Tarjumân al-Ashwâq” (L’interprete delle passioni). Poi, a partire dal 1223, si stabilì a Damasco, dove continuò a scrivere e a insegnare a un gran numero di discepoli, molti dei quali sarebbero divenuti a loro volta sufi famosi. Tra loro ci fu Shams-i-Tabrizi, il maestro di Jalaluddin Rumi. Nel 1229 una visione gli mostrò il profeta Mohammed che gli porgeva il Fusus al-Hikam (il Castone della Saggezza), il libro in cui il nostro raccoglierà la quintessenza dei suoi insegnamenti. Negli anni successivi si dedicò a stendere la monumentale Futuhat al-Makkiyya (Rivelazioni Meccane): 560 capitoli dedicati ad ogni aspetto della vita spirituale. Compilò anche una vasta collezione di poesie, raccolte nel volume Diwan. Morì il 9 novembre 1240 (il 22 del mese di Rabi’ II del 638 anno dell’Egira) all’età di 75 anni, lasciando ai discepoli un’enorme quantità di scritti e di insegnamenti spirituali.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.15, 14-21; Salmo 98; Vangelo di Luca, cap.16, 1-8.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Il giorno dopo che, per 6 voti a 5 il Supremo Tribunal Federal ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che prevede la possibilità della detenzione, dopo la condanna in secondo grado, prima cioè che la condanna sia divenuta definitiva (ed è grave che ci siano quei 5 voti contrari da parte dei giudici posti a tutela della Costituzione e delle sue clausole inviolabili), l’ex presidente Lula ha lasciato, oggi, la sua cella nell’edificio della Polizia Federale di Curitiba, dove è rimasto rinchiuso per 581 giorni, in seguito ad una condanna di 8 anni e 10 mesi per corruzione. Condanna comminata in totale assenza di prove, secondo l’autorevole opinione di illustri giuristi del mondo intero. Della valenza politica di quella condanna (la battaglia per l’annullamento della quale è appena cominciata), volta in sostanza ad impedire la sua partecipazione alle elezioni del 2018, in cui i sondaggi lo davano ampiamente in vantaggio, è rivelata ogni giorno di più dalle intercettazioni rese pubbliche dal giornalista Premio Pulitzer Glen Greenwald, a documentazione delle irregolarità, delle montature, delle complicità tra il giudice Sergio Moro (premiato col Ministero della Giustizia nel governo di ultradestra di Bolsonaro) e i rappresentanti della pubblica accusa. Primo passo, dunque, di una battaglia che ci si augura restituisca in prospettiva, dignità, democrazia, diritti a questo Paese ridotto in mano a una banda di gaglioffi.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una citazione di Mohammed ibn ‘Ali Ibn al-‘Arabi, tratta da “Il Trattato dell’Unità”, che troviamo in rete e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se qualcuno domandasse: “Tu affermi l’esistenza di Dio e neghi l’esistenza di qualsiasi altra cosa; e che sono dunque le cose che noi vediamo?”, la risposta è: Queste discussioni si rivolgono a chi non vede null’altro che Dio. Quanto a chi vede qualcosa all’infuori di Dio, a costui noi non abbiamo né domande da fare né risposte da dare, poiché egli non vede che quel che vede; mentre colui che conosce se stesso non vede altro che Dio. Chi non conosce se stesso non vede Dio, poiché ogni recipiente non lascia filtrare che ciò che contiene. Ci siamo già dilungati molto sul nostro argomento. Continuare sarebbe inutile, perché chi non è fatto per vedere non vedrebbe di più. Egli non comprenderà e non potrà raggiungere la verità. Colui che può vedere, vede, comprende e raggiunge la verità. Per chi è arrivato, è sufficiente una piccola indicazione perché, a questa luce, possa trovare la vera Via, camminare con tutte le sue energie e giungere all’oggetto del suo desiderio, con l’aiuto di Dio. Che Dio ci prepari per ciò che Gli piace e gradisce in fatto di parole, atti, scienza, intelligenza, luce e vera direzione. Egli può tutto, e risponde a ogni preghiera con la risposta giusta. Non c’è mezzo né potere che in Dio, l’Altissimo, l’Immenso. Preghi Egli sulla migliore delle sue creature, sul Profeta, e su tutti i membri della sua famiglia. Âmîn. (Ibn al-Arabi, Il Trattato dell’Unità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-08T22:29:30+01:00da fraternidade
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