Giorno per giorno – 01 Agosto 2019

Carissimi,
“[Gesù disse ai discepoli]: Avete capito tutte queste cose? Gli risposero: Sì. Ed egli disse ancora: Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 51-52). Si chiude così il secondo dei cinque discorsi, in cui Matteo ha raccolto l’insegnamento di Gesù, in questo caso, quello che presenta le parabole del Regno. Nel pomeriggio, con gli interni della chácara di recupero, insistevamo molto sul fatto di leggere sì, le cose antiche e nuove, non indiscriminatamente però, ma le une alla luce delle altre, sapendo che il nuovo ci illumina a rispetto dell’antico, offrendoci la prospettiva del compimento e, nel caso, della correzione e del superamento. Concretamente, per una lettura cristiana della Bibbia non possiamo prescindere dall’evento di Gesù. Diversamente potremmo asserire, come succedeva ad una amica evangelica nei giorni scorsi, che per Dio non tutte le vite sono sacre, dato che ordinò di uccidere tutti gli amaleciti, donne, uomini, vecchi e bambini. Ed è tutto dire! Un altro esempio che ci è capitato di fare in questi giorni era a riguardo della figura di Abramo, a partire dal racconto del [mancato] sacrificio di Isacco. Dicevamo che l’insegnamento che se ne può trarre è che Abramo, tra la morale e la fede, ha scelto la fede (come atteggiamento fiduciale). Dio, poi, è intervenuto in tempo per cambiargli i contenuti della fede, onde evitare che Abramo restasse schiacciato tanto sulla morale dei popoli vicini (che sacrificavano i primogeniti), quanto sulla loro fede (che immaginava un dio che lo voleva). L’imperfezione della fede di Abramo – che tuttavia Dio ha voluto premiare -, la si può ricavare anche dalla sua intercessione a favore dei cittadini di Sodoma (cf Gen 18, 20-32), in cui diceva, ricolgendosi a Dio: “Davvero sterminerai il giusto con l’ingiusto? Se ci fossero 50 persone giuste, non risparmierai la città, per riguardo a loro? E se ce ne fossero 45?” Quando giunse a 10, si fermò. (Ragione per cui ancora oggi l’assemblea liturgica della comunità giudaica, per essere costituita validamente, richiede il minyan, dieci persone). A questa imperfezione pose rimedio Gesù. Egli – Dio/Gesù – fu più coraggioso (per intercedere basta UNO, lui stesso) e cambiò radicalmente i contenuti della fede (che prevedevano un Dio che uccide) e della morale (che permetteva l’uccisione), preferendo essere ucciso lui: se deve esserci uno che muore, uno solo, voglio essere io-Dio (e perdonando i suoi assassini), piuttosto che uccidere (o lasciar uccidere) anche solo un’altro (fosse pure un semplice animale, dato che Lui si è offerto come ultimo e unico agnello immolato). Come a dire, meglio una società senza dio (un dio che permette l’uccisione), ma conforme al progetto di Dio, che una società religiosa che uccide (in nome di dio) e lascia morire. Qui c’è l’unico vero salto di civiltà. Che come cristiani siamo chiamati a testimoniare. Se no siamo ancora cananei.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Pierre Claverie, pastore e martire in Algeria; di Gerhard Hirschfelder, prete e martire sotto il nazismo; e di Teófilo Cabestrero, missionario della Parola e teologo della liberazione.

Pierre Claverie nacque a Bab el Oued l’8 maggio 1938, in una famiglia di pieds-noirs stabilitasi in Algeria da parecchie generazioni. Ancor giovane maturò la vocazione religiosa, ma prima di decidersi al passo, si recò a Grenoble, per studiarvi scienze matematiche. Nel dicembre 1958, entrò nel noviziato domenicano di Lille e, dopo gli studi di filosofia e teologia, fu ordinato sacerdote il 4 luglio 1965, facendo poi ritorno in Algeria, che nel frattempo aveva conquistato la sua indipendenza. Nominato, nel 1972, direttore del centro diocesano delle Glycines, in Algeri, seppe fare di questo lo strumento privilegiato per lo studio del mondo arabo, ma anche per lo scambio, il dialogo e l’amicizia tra cristianesimo e islam. Il 9 ottobre 1981, nella cattedrale di Algeri, alla presenza di moltissimi amici musulmani, fu ordinato vescovo di Orano, dove rimase per quindici anni, fino alla morte. Il progressivo deterioramento della situazione politica e sociale del paese, che si registrò negli anni successivi, portò Claverie a rendere pubbliche le sue convinzioni e le sue denunce. A chi gli chiedeva: “Perché rimanete?”, rispondeva: “Noi siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere… Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stingendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d’innocenti”. Entrato nel mirino delle bande mafiose che, dietro lo scudo del fondamentalismo, si contendevano (e si contendono) sanguinosamente il controllo del paese, nove settimane dopo l’assassinio dei sette monaci trappisti del monastero di Nostra Signora dell’Atlante, a Tibhirine, mons. Pierre Claverie morì vittima di una bomba esplosa davanti al vescovato di Orano, la notte del 1° agosto 1996. Il suo autista, Mohamed Bouchikhi, musulmano, morì con lui.

Gerhard Hirschfelder era nato il 17 febbrao 1907 a Glatz (oggi Kłodzko), in Slesia e fu ordinato prete della diocesi di Praga nel 1932. Cappellano a Grenzeck (l’odierna Czermna) fino al 1939 e poi a Habelschwerdt (Bystrzyca Kłodzka), fu responsabile per la Pastorale giovanile della diocesi. Dopo l’annessione della regione alla Germania, e la successiva occupazione dell’intera Cecoslovacchia, padre Hirschfelder non esitò a denunciare nelle sue omelie la violenza, gli abusi e l’idolatria del regime nazista, svolgendo nel contempo un’accurata opera di educazione alla libertà tra i giovani affidati alle sue cure pastorali. Questo portò, il 1º agosto 1941, al suo arresto e alla sua detenzione nella famigerata fortezza di Glatz. Durante la sua prigionia ebbe modo di scrivere un’impressionante Via Crucis e una serie di profonde riflessioni su sacerdozio, matrimonio e famiglia. Il 15 dicembre dello stesso anno, venne deportato nel campo di concentramento di Dachau (matricola 28972). Lì si unì a un gruppo organizzato da padre Joseph Fischer, formato da preti del movimento di Schönstatt, fondato dal padre Josef Kentenich. A Dachau, padre Hirschfelder morì di fame e di polmonite, il 1º agosto 1942.

Ultimo dei cinque figli di Maria Paz Rodríguez e di Marciano Cabestrero, Teófilo era nato a Calatayud (Saragozzza, Spagna) nel 1931. Conclusi gli studi nella sua città natale, membro della Congregazione Mariana, guidata a quel tempo da padre Zubiri, clarettiano, decise, come molti altri giovani di Calatayud di entrare nella famiglia religiosa del suo mentore. Dopo il noviziato, completò gli studi in filosofia e teologia fino al dottorato e alla specializzazione in Pastorale e Catechesi. Nel 1979 fu inviato come missionario in America Latina, passando attraverso una innumerevole serie di esperienze al servizio missionario della parola, pubblicando libri pastorali su ciascuno dei diversi tempi liturgici, offrendo copertura giornalistica alla Conferenza di Puebla per la rivista Vida Nueva, facendo conoscere i primi passi della Missione Clarettiana del Mato Grosso con mons. Casaldáliga; partecipando alla prima squadra missionaria che aprì la Missione Paraguayana Yhú nella provincia di Aragón. Accompagnò la Rivoluzione del Nicaragua (che tristezza avrebbe provato in questi giorni nel constatarne il tradimento) con la rivista Amanecer e il Centro Valdivieso. Creò, in seguito, il Laboratorio di Materiali per l’Evangelizzazione a Colón e Panama, senza interrompere il concreto lavoro pastorale nell’accompagnamento al noviziato e alla sua parrocchia, in Guatemala, dove si è spento il 1º agosto 2016, all’età di 85 anni. Ebbe a scrivere: “L’indifferenza è un disamore silenzioso, e siccome non fa rumore, viene ignorato come se non esistesse, ma esiste ed è distruttivo, che se ne abbia o no consapevolezza. L’indifferenza verso chiunque, soprattutto verso le persone che hanno bisogno di noi nelle loro sofferenze e necessità, è una forma silenziosa di disamore che ci disumanizza. Le cause dell’indifferenza possono essere molte. Alcune cause sono gli atteggiamenti “passivi” (insensibilità, apatia, pigrizia, timidezza, inibizione, paura o complessi di inferiorità). Altri atteggiamenti sono cause attive (egocentrismo, orgoglio, arroganza, antipatia, disinteresse o disprezzo, complesso di superiorità, razzismo, xenofobia, omofobia, ecc). È comune al giorno d’oggi vivere assorbiti o dominati da troppi problemi e interessi personali, che ci impediscono di pensare agli altri e di preoccuparci per coloro che sono vittime e soffrono situazioni difficili o ingiustizie disumane, a volte terribili. La mancanza di empatia e di compassione (il non sapere e non volere soffrire con chi soffre) sta generando una disumanizzazione silenziosa molto comune nel nostro mondo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap. 40,16-21.34-38; Salmo 84; Vangelo di Matteo, cap. 13,47-53.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di mons. Pierre Claverie, tratto dal suo libro “Lettres et messages d’Algerie” (Karthala), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella ricerca della pace, anche la preghiera è un’opera dello Spirito Santo, come diceva Giovanni Paolo II ai cardinali di Curia, il 22 dicembre 1986: “Ogni preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo che è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo”. Oggi, cristiani e musulmani pregano per la pace. Quanti musulmani ce lo domandano e quanti lo fanno nella sincerità della loro fede! Pregano talvolta insieme, manifestando così che, per loro, la pace passa dal riconoscimento dell’altro e dal rispetto della sua relazione con Dio. Nell’apertura comune all’azione dello Spirito, si produce un’apertura reciproca in cui si realizzano riconciliazione e comunione fraterna. Noi comprendiamo concretamente ciò che il Concilio intendeva quando dichiarava che il Cristo si era unito ad ogni uomo e aggiungeva: “Ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (Gaudium et Spes 22). In questi tempi, in cui la vita e la morte si affrontano, rimane la luce della risurrezione. (Pierre Claverie, Lettres et messages d’Algerie).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Agosto 2019ultima modifica: 2019-08-01T22:09:44+02:00da fraternidade
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