Giorno per giorno – 14 Febbraio 2024

Carissimi,
“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6, 1). Stasera, durante la messa delle ceneri, ci dicevamo che si è abituati a pensare alla quaresima, alcuni come ad un periodo serio, severo, triste, altri, e forse sono la maggioranza, come un tempo non differente da quello di sempre. Forse dovremmo concederci una terza opzione: pensare e vivere la quaresima come un tempo di allegria. Del resto, sono quaranta giorni che hanno gli occhi puntati sulla Pasqua, l’evento che è all’origine della nostra fede: la risurrezione del Crocifisso. Quale avvenimento nella storia piú gioioso di questo, che ci ha rivelato nella morte di Gesù l’amore senza ritorno del Padre, che fonda la nostra libertà e ci mette in condizione, se lo vogliamo, di riprodurlo, a misura delle nostre forze e soprattutto della sua grazia, nelle nostre relazioni? Se sforzo deve esserci in questa nostra conversione all’allegria del Vangelo, è quello di lasciare ogni ipocrisia, la nostra mania di recitare una parte, e ridiventare noi stessi, senza preoccuparci del giudizio delle persone, che è problema loro, per vivere solo sotto lo sguardo amoroso del Padre, facendo nostro il suo progetto, che è la creazione di una società fraterna. Dove l’unica e più vera ricompensa che ci attende è il nostro scoprirci ad ogni passo come figli e figlie amati/e da Dio. Fare dunque giustizia nella condivisione solidale della ricchezza che abbiamo e che siamo, riscoprire l’intimità con Dio nella preghiera, digiunare degli idoli che, seducendoci, tentano di sviarci dal cammino del Regno.

I testi che la liturgia di questo Mercoledì delle Ceneri propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Gioele, cap.2, 12-18; Salmo 51; 2ª Lettera ai Corinzi, cap.5, 20 – 6, 2; Vangelo di Matteo, cap.6, 1-6. 16-18.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Il calendario porta oggi le memorie dei due fratelli Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi e patroni d’Europa; e di Joseph Wresinski, prete povero dei poveri.

Cirillo e Metodio si chiamavano in realtà Costantino e Michele ed erano nati a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia) nel IX secolo, figli di un magistrato imperiale. Michele, il maggiore, intrapprese dapprima la carriera politica, divenendo arconte di una provincia slava dell’impero. Nell’ 840 decise tuttavia di lasciare la carica e di farsi monaco e fu eletto, in seguito egumeno del convento Polychron sul monte Olimpo di Bitinia. Costantino, nato verso l’827, alla morte del padre, si recò a Costantinopoli per completare gli studi alla corte imperiale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento. Nell’860 i due fratelli ebbero l’incarico dall’imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Rastislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono il loro alfabeto (non il cirillico, inventato solo due secoli più tardi, ma il glagolitico), realizzando la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, i due furono chiamati a Roma dal papa Nicola I. Quando vi giunsero, vennero accolti con tutti gli onori dal suo successore, Adriano II, che, contro ogni aspettativa e suscitando l’ira e lo sgomento del clero conservatore, volle che celebrassero i santi misteri alla presenza sua e della folta comunità cristiana di Roma, nella lingua parlata dagli slavi, introducendo così una riforma che l’occidente avrebbe conosciuto solo undici secoli più tardi, con il Concilio Vaticano II: quella di celebrare nella lingua viva parlata dalla gente e non nelle lingue “sacre” del passato: aramaico, greco e latino. Nel dicembre dell’868 Costantino cadde malato. Prevedendo imminente la morte, volle rivestire l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo e dopo 50 giorni morì, il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Fu sepolto con grande solennità nella basilica di S. Clemente. Dopo la morte del fratello, Metodio fu dal papa ordinato prete, nominato legato apostolico, consacrato vescovo e stabilito arcivescovo per la Pannonia e la Moravia. Una lettera, che lo accreditava presso i principi Rastislao, Sventopulk e Kocel, conteneva l’approvazione senza riserve della liturgia slava. Il che, il clero latino non riuscì proprio a digerirlo. Sicché ci fu chi, passato un po’ di tempo, tentò il colpo mancino: l’arcivescovo Aldewinus (una sorta di Lefèbvre ante litteram) denunciò Metodio a Ludovico il Germanico. Metodio fu imprigionato, giudicato e condannato all’esilio. Nell’ 878, papa Giovanni VIII chiese ed ottenne la sua liberazione, ma, subendo le pressioni dei conservatori, rinnegò le concessioni del predecessore in materia liturgica. Metodio, dal canto suo, seppe con la dovuta prudenza e discrezione tirar dritto per la sua strada, riuscendo in seguito a convincere il papa della bontà di quella scelta. Morì il 6 aprile 885 e fu sepolto nella sua chiesa cattedrale in Velehrad.

Joseph Wresinski era nato il 12 febbraio 1917 a Angers (Francia), in una famiglia di immigrati, polacco, con passaporto tedesco il padre, Wladislaw Wrzesinski, e spagnola la madre, Lucrecia Sellas, maestra elementare. Dopo un infanzia poverissima, durante la quale il padre decise di tornare in Polonia, il bambino dovette darsi da fare per contribuire pur con poco al mantenimento della famiglia, finché a tredici anni trovò un impiego come apprendista pasticcere. Trasferitosi a Nantes, frequentò per sei mesi la Gioventù comunista, finché un compagno gli fece conoscere la JOC (Gioventù operaia cattolica), a cui egli aderì con entusiasmo e passione. A 17 anni maturò la vocazione al sacerdozio, al fine di, come si esprimerà in seguito, “restituire i più poveri alla Chiesa e la Chiesa ai più poveri”. Entrato in seminario, trascorreva il suo tempo libero nei libri e nei quartieri più poveri. Durante le vacanze andava a lavorare in fabbrica o nelle miniere. Fu ordinato prete il 29 giugno 1946 e inviato come viceparroco a Tergnier, in un quartiere operaio. Avrebbe desiderato fare sua la scelta dei preti operai, ma l’esperimento è interrotto per volontà di Roma. Nel 1948 integrò per qualche mese la Missione di Francia , ma una meningite prima e la tisi, subito dopo, lo obbligarono a desistere e ad entrare in sanatorio. Di ritorno in diocesi, chiese di essere destinato a una parrocchia tra le più abbandonate. Venne inviato a Dhuizel, piccolo centro rurale dell’Aisne, dove visse in grande povertà, condividendo il lavoro degli stagionali, restaurando la sua chiesa e soprattutto lasciando sempre aperta a tutti la porta della sua casa. Nel 1956 gli offrono l’opportunità di fare il cappellano in un campo di transito fondato due anni prima dall’Abbé Pierre con i suoi Chiffoniers d’Emmaüs a Noisy: duemila persone sprovviste del minimo necessario, ospitate in un terreno su un’antica discarica, ai margini di una palude, abbandonati al disprezzo e all’indifferenza del mondo circostante. Saranno la sua gente. Facendo fronte con loro all’ostilità crescente, ai vandalismi e alle aggressioni dei vicini. Con loro e con altri amici e volontari fondò nel 1957 una prima associazione che divenne in seguito il Movimento internazionale ATD Quarto Mondo, oggi presente in tutti i continenti. Il 14 febbraio 1988, Joseph Wresinski morì in seguito a un banale intervento chirurgico.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Joseph Wresinski, tratto dalla Conferenza da lui tenuta col titolo “Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo”, su invito del vescovo di Anversa, in occasione del 25°anniversario della diocesi, nel quadro della giornata “Chiesa e Quarto Mondo”, il 29 novembre 1987. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Vangelo ci ricorda che il comandamento dell’amore è doppio. Dio è amore e noi dobbiamo amarLo sopra a tutto. Ma Dio esige anche che noi amiamo il nostro prossimo come noi stessi. Ci ricorda che la maniera in cui trattiamo il nostro prossimo Lo riguarda, che Egli ha delle responsabilità di fronte a lui, lo ama come Egli ama tutti i Suoi figli. Ci dice, insomma, che Egli ha il diritto di sapere che tutti i Suoi figli sono amati dai loro fratelli. È qui d’altronde che ci si pone questa domanda essenziale: chi è il mio prossimo? Chi debbo amare prima di tutto? La risposta di Gesù è chiara: «Un uomo cadde tra le mani dei ladri, sulla strada da Gerusalemme a Gerico». Tra quelli che lo notano, solo un samaritano lo soccorre e se ne fa carico. Così per Gesù, il prossimo è colui che, in tutto, era lontano. Colui a cui bisogna farsi vicini, quando niente ci rendeva vicini in partenza. Il prossimo, è la famiglia nella più grande miseria che non ha né la nostra istruzione, né la nostra cultura, né la nostra maniera di venerare Dio. La famiglia così povera che non rassomiglia più niente alle altre famiglie, che tuttavia sembrano già così sprovviste. È di questo padre, di questa madre, di questo figlio che noi dobbiamo fare un altro noi stessi. È a partire da loro che noi siamo ormai impegnati verso Dio, che noi Gli diventiamo disponibili. Perché è in questo padre, questa madre, questo bambino, che i diritti di Dio sono violati, perché noi non li abbiamo innanzitutto riconosciuti nella loro dignità di figli di Dio e per conseguenza, come nostri fratelli. (Joseph Wresinski, Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-14T21:36:41+01:00da fraternidade
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