Giorno per giorno – 03 Febbraio 2024

Carissimi,
“Gesù disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte” (Mc 6, 31-32). Ad ascoltare queste prime righe del Vangelo di oggi, si può avere l’impressione che Gesù abbia inventato allora i ritiri spirituali che, preti o laici che si sia, ci si concede ogni tanto, per rifarsi le forze, ritemprare lo spirito, abbeverarsi alla Parola di Dio (che nel caso del racconto era anche più vero, perché la si aveva lì fatta persona). Eppure, no. Anche se questo era il proposito, subito se ne sarebbe stati distolti dall’attitudine a cui il Maestro non poteva venir meno. Quella della compassione, che costituiva la sua essenza divina. Infatti, “sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (v. 34). Niente ritiro, per questa volta. O, meglio, un ritiro già nei suoi risultati. Dato che la finalità ultima di esso è crescere nella nostra natura, a immagine e somiglianza del Padre. Natura che ha inscritta in sé la compassione (la parola greca usata qui – esplanchnisthe – fa riferimento alle viscere materne = amare con amore di madre). Stasera, citavamo un insegnamento del Buddha che è in questa stessa linea: “Come una madre rischierebbe la sua vita / per proteggere il suo bambino, il suo unico bambino / così si dovrebbe coltivare un cuore illimitato / con riguardo a tutti gli esseri”. Chissà che un giorno ci riesca di arrivarci vicino.

Oggi, il calendario ci porta le memorie di Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire; di Alois Anditzki, presbitero e martire del totalitarismo nazista; e dei quattro cappellani militari del Dorchester, che diedero la vita per salvare dei loro commilitoni.

Biagio presiedeva la Comunità di Sebaste, in Armenia, durante l’impero di Licinio (che si occupava dell’Oriente), cognato di Costantino (che invece governava l’Occidente). I due, non si sa bene perché, entravano spesso in conflitto. Nessuno dei due, del resto, era uno stinco di santo. Tanto è vero che Costantino fece strangolare Licinio a Salonicco nel 325. Ora, mentre Costantino, nel 313, aveva emesso il decreto che concedeva la libertà di culto ai cristiani, Licinio, tergiversava e lasciava mano libera ai suoi governatori, che bruciavano chiese, condannavano i cristiani ai lavori forzati e facevano fuori i loro vescovi. Tra loro, Biagio. Imprigionato, ripetutamente torturato, infine condannato alla decapitazione, raccontano di lui che mentre si recava al luogo del supplizio, vide un ragazzo tra i curiosi che assistevano al suo passaggio che stava morendo soffocato a causa di una lisca di pesce conficcatasi nella trachea. Dribblate le guardie, Biagio raggiunse il ragazzo, soccorrendolo tempestivamente. Poi riprese il suo posto nel corteo che lo portava all’arena. Il racconto ne avrebbe fatto a lungo il protettore contro le malattie della gola.

Alois Anditzki era nato nel 1914 a Radibor, un villaggio rurale del circondario di Bautzen, in Sassonia (Germania). Il desiderio di porsi al servizio del prossimo, lo portò ad entrare nel seminario di Meißen. Nel 1938 venne ordinato diacono, e un anno dopo presbitero. Svolse il suo ministerio pastorale come cappellano nella parrocchia Hofkirche di Dresda, dedicandosi soprattutto all’evangelizzazione e all’animazione dei giovani. Lì, si fece conoscere come “sacerdote umile, semplice e sempre disponibile ad aiutare il prossimo”. Nell’inverno del 1941, per aver messo in scena una rappresentazione teatrale in cui mostrava come sarebbero finiti i cristiani nella Seconda Guerra Mondiale, fu convocato in questura e arrestato, sotto l’accusa di dichiarazioni ostili nei confronti dello Stato, che ne mettevano a repentaglio la sicurezza. Venne per questo inviato dalla Gestapo nella prigione politica di Dresda, dove rimase due mesi. Allo scadere della pena, invece di essere liberato, fu inviato nel campo di concentramento di Dachau. Inutilmente la famiglia presentò ricorso alle autorità. Padre Alois fu assassinato il 3 febbraio 1943, con un’iniezione letale. Aveva ventinove anni. I suoi compagni di prigionia testimoniarono in seguito che egli passò tra loro come un santo, seminando gioia, fiducia e speranza e conquistando l’amicizia e la simpatia di tutti.

Nel ribadire che sogniamo il giorno in cui preti, pastori, rabbini, inquadrati negli organici militari, lasceranno le loro stellette (e i relativi stipendi), per testimoniare la loro obiezione ad ogni esercito e ad ogni violenza ed essere soltanto annunciatori della Parola di Pace, fedeli ad un’unica patria, quella della comune umanità, scegliamo, nondimeno, di far memoria di alcuni di loro, che hanno saputo fare la cosa giusta, anche se con la divisa [come lo è ogni divisa] sbagliata. Si chiamavano: Clark Poling (nato il 7 agosto 1910 a Columbus, nell’Ohio), ministro congregazionalista; George Fox (nato a Lewistown, in Pennsylvania, il 15 marzo 1900), pastore metodista, Johnny Washington (nato a Newark, nel New Jersey, il 18 luglio 1908.), prete cattolico e Alexander Goode (nato a Brooklyn, New York, il 10 maggio 1911), rabbino ebreo, ed erano tutti e quattro cappellani militari sull’incrociatore Dorchester, della marina Usa, durante la Seconda Guerra mondiale. La mattina del 3 febbraio 1943, la nave fu silurata. I cappellani stavano indossando i loro giubbotti di salvataggio, quando si accorsero che molti dei 900 marinai ne erano sprovvisti. Decisero unanimente di privarsene, perché almeno altri quattro potessero vivere. I sopravvissuti dissero poi che quando la nave s’inabissò, videro i cappellani con le braccia legate pregare insieme sul ponte.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Re, cap.3, 4-13; Salmo 119, 9-14; Vangelo di Marco, cap.6, 30-34.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Il 3 febbraio 1909 nasceva a Parigi, Simone Weil, una delle voci più alte del secolo scorso e testimone di una fede vissuta con radicalità estrema. Noi ne facciamo memoria il 24 agosto, giorno della sua scomparsa, ma vogliamo renderle omaggio anche in questo giorno, offrendovi, nel congedarci, un brano tratto dal suo libro “Attesa di Dio”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Vi sono due forme di amicizia: l’incontro e la separazione. Esse sono indissolubili. Racchiudono entrambe lo stesso bene, il bene unico, l’amicizia. Perché quando due esseri che non sono amici sono vicini, non c’è incontro; quando sono lontani non c’è separazione. Racchiudendo il medesimo bene, le due forme sono ugualmente buone. Dio crea se stesso e si conosce, perfettamente, non altrimenti che noi, miserabilmente, si capisce, fabbrichiamo e conosciamo gli oggetti fuori di noi. Ma Dio è anzitutto amore; Dio ama anzitutto se stesso. Questo amore, questa amicizia in Dio è la Trinità. Fra i termini uniti da questo rapporto d’amore divino c’è più che prossimità: c’è prossimità infinita, identità. Ma c’è anche distanza infinita a causa della Creazione, dell’Incarnazione, della Passione. La totalità dello spazio, la totalità del tempo, interponendo il loro spessore, mettono una distanza infinita tra Dio e Dio. Coloro che si amano, gli amici, hanno due desideri: l’uno, di amarsi tanto da penetrare l’uno nell’altro sino a divenire un essere solo; l’altro, di amarsi tanto che, se anche fossero divisi dagli oceani, la loro unione non ne verrebbe indebolita. Tutto ciò che l’uomo desidera veramente quaggiù è reale e perfetto in Dio. Tutti questi desideri impossibili sono in noi come un segno del nostro destino, e hanno per noi un effetto positivo dal momento in cui non speriamo più di raggiungerli. L’amore fra Dio e Dio, che non è poi altro che Dio, è quel legame dal duplice potere: è il legame che unisce due esseri al punto da renderli indistinguibili e realmente uno solo e che, teso al di sopra della distanza, trionfa della separazione infinita. L’unità di Dio nella quale scompare ogni pluralità, l’abbandono in cui crede di trovarsi Cristo pur senza cessare di amare perfettamente il Padre, sono due forme della virtù divina dello stesso amore, che è Dio stesso. Dio è così essenzialmente amore che l’unità, pur essendo in certo senso la sua stessa definizione, è un semplice effetto dell’amore. E all’infinito potere unificante di questo amore corrisponde l’infinita separazione su cui esso trionfa; separazione che è poi tutto il creato, distribuito nella totalità dello spazio e del tempo, fatto di materia meccanicamente bruta, interposta fra Cristo e il Padre. La nostra miseria ci dà il privilegio infinitamente prezioso di partecipare alla distanza che separa il Figlio dal Padre. Tale distanza è tuttavia separazione soltanto per coloro che amano; ma per essi la separazione, anche se dolorosa, è un bene, perché è amore. La stessa angoscia di Cristo abbandonato è un bene. Per noi, quaggiù, non può esservi bene maggiore che il parteciparvi. (Simone Weil, Attesa di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-03T21:27:39+01:00da fraternidade
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