Giorno per giono – 09 Febbraio 2023

Carissimi,
“Una donna di lingua greca e di origine siro-fenicia supplicava Gesù di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Ma lei gli replicò: Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli” (Mc 7, 26-28). Sarebbe stata così una donna pagana a rivolgersi a Gesù per la prima e unica volta nel Vangelo con il titolo di “Signore”. Anche se il termine greco “Kyrios”, come l’equivalente ebraico “Adon”, sono usati tanto per le persone umane quanto per il Dio d’Israele, è evidente che l’evangelista ne riferisce qui l’uso in quest’ultimo senso. Il tema alluso è quello del pane, che è lo stesso Gesù, inviato ai figli, perché, alimentandosene, si convertano. Disconosciuto dai figli nel suo significato (la vita come dono) e nella sua potenza salvifica, è riconosciuto, accolto e mangiato da chi ne sarebbe considerata indegna. Curioso, ci dicevamo stasera, noi ci professiamo giustamente indegni (a meno che non sia una formula ipocrita) di ricevere Gesù nell’Eucaristia, ma contestualmente ci preoccupiamo di definire tutta un’altra serie di categorie di persone più indegne di noi (i “cagnolini” del Vangelo di oggi). Rispetto alle quali, finisce così che i più indegni siamo noi, che ci consideriamo figli. Che il Signore ci faccia sempre più consapevoli della nostra indegnità come anche della gratuità del dono che egli vuol essere per noi e per tutti.

Il nostro calendario ci porta le memorie di Marone, eremita; di P. Dimitri Andréévitch Klepinine, martire sotto il totalitarismo nazista; e di Felipe Balam Tomás, martire al servizio dei più poveri in Guatemala.

Del monaco Marone, vissuto tra il IV e il V secolo, soppiamo pochissimo. Ammirato da Giovanni Crisostomo, visse come eremita nel deserto siriano, spendendo il suo tempo nella preghiera e nelle pratiche ascetiche. Assai ricercato come maestro spirituale, esercitò un grande influenza sul movimento monastico nella regione di Cirro e di Aleppo. Morì dopo breve malattia e fu sepolto nel monastero di Beth-Morum, nella regione siriana di Apamea, presso la sorgente del fiume Oronte. Sarà qui che, qualche secolo più tardi, cristiani di fede calcedonese, in seguito all’invasione araba della Siria, daranno vita alla chiesa maronita, che venera Marone come suo fondatore.

Dimitri Andréévitch Klepinine era nato il 14 aprile 1904 a Piatigorsk, nel Caucaso – terzo figlio dell’architetto André Nicolaévitch Klepinine, di Sophie Alexandrovna Stépanova, pedagoga di formazione. La sua infanzia fu segnata da un’esperienza precoce della sofferenza e della malattia, che lo rese sempre particolarmente sensibile nei confronti dei deboli e dei perseguitati dalla sfortuna. Gli eventi della rivoluzione russa, portarono la famiglia sulla via dell’esilio, prima a Costantinopoli, poi in Serbia, e infine a Parigi, dove nel 1925, il giovane s’iscrisse all’Istituto di Teologia ortodossa San Sergio, da poco fondato. Suo maestro da allora in avanti fu Serge Boulgakov. Terminati gli studi nel 1929, ottenne una borsa di studio per completare la sua formazione al Seminario teologico di New York. Rientrato all’inizio del 1934 a Parigi, per mantenersi, esercitò i più diversi mestieri. Nel frattempo la sua ricera spirituale lo portò a pensare al sacerdozio. In quegli stessi anni conobbe Tamara Fédorovna Baïmakova, che sposò nel 1937. Nello stesso anno venne ordinato diacono e prete.Lo scoppio della guerra e l’occupazione nazista portarono padre Klepinine a spendere le sue energie per salvare dalla deportazione quanti più ebrei possibile. L’8 febbraio 1943, la Gestapo, durante una perquisizione, trovò in tasca al giovane Youri Skobtsov (figlio di Maria Skobtsova e come lei e P. Dimitri, canonizzato dalla chiesa ortodossa) il biglietto di una donna ebrea indirizzato al prete, in cui gli chiedeva di fornirle un certificato di battesimo. Arrestato assieme al giovane, entrambi sono inviati nel campo di Compiègne, dove il prete prese a celebrare ogni giorno la santa liturgia e l’Ufficio Divino, e ad organizzare corsi di Bibbia e su Gesù Cristo, coinvolgendo un numero crescente di prigionieri. Nel dicembre 1943, i prigionieri vengono trasferiti prima a Buchenwald, poi nel sinistro “Tunnel Dora”, nelle fabbriche sotterranee per la produzione dei razzi V. Lì. padre Dimitri si spese fino all’ultimo per consolare e animare i tristi e gli sconfortati. Le pesanti condizioni di lavoro minarono assai presto il fragile fisico del prete. Il guardiano della baracca che fu testimone dei suoi ultimi momenti racconterà che, il 9 febbraio 1944, lo trovò a terra, incapace di muoversi. Riuscì, tuttavia, a chiedergli di sollevargli la mano per fare il segno di croce. E così morì.

Felipe Balam Tomás era un giovanissimo religioso della Congregazione dei Missionari della Carità. Aveva solo 18 anni, quando, il 9 febbraio 1985, fu sequestrato dalle forze di sicurezza governative nel villaggio Las Escobas, municipio di San Martín Jilotepeque, nel dipartimento di Chimaltenango. Stava animando una celebrazione della Parola, quando tre uomini armati entrarono in chiesa e lo portarono via a forza. Per ottenerne la liberazione si mosse il Nunzio apostolico, e l’arcivescovo di Città del Guatemala, Próspero Penados del Barrio, ma inutilmente. Felipe sparì nel nulla, donando la sua vita di poco più che adolescente, perché anche altri, a partire dalla fede nel Dio della vita, lottassero per la liberazione dei fratelli.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 2, 18-25; Salmo 128; Vangelo di Marco, cap.7, 24-30.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Come oggi, il 9 febbraio (28 gennaio per il calendario giuliano) 1881, moriva a San Pietroburgo, Fëdor Dostoevskij, tra i massimi scrittori di tutti i tempi. Che siamo convinti meriterebbe di entrar a far parte delle nostre memorie a tutti gi effetti. Di lui la moglie Anna scriverà che la mattina del suo decesso, le aveva chiesto il vangelo che portava sempre con sé e l’aveva aperto a caso, chiedendole di leggere la pagina incontrata. Ed era: “Giovanni lo trattenne e disse: io devo essere battezzato da te e non tu da me. Ma Gesù gli rispose: non trattenermi…”. A queste parole Fëdor commentò: “Senti Anja, ‘non trattenermi’ vuol dire che debbo morire”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Fëdor Dostoevskij. Tratta dal libro “Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini (1860-1881)” (Vallecchi), è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Amare l’uomo come se stessi, secondo il comandamento di Cristo, non è possibile. […] L’io è di ostacolo. Cristo soltanto poteva farlo, ma Cristo era l’ideale eterno sin dall’inizio dei tempi, quell’ideale al quale tende, e deve tendere per legge di natura, l’uomo. Invece, dopo la comparsa di Cristo come ideale dell’uomo incarnato, è diventato chiaro come il giorno che lo sviluppo supremo, l’evoluzione ultima della personalità deve appunto arrivare (nell’ultimo stadio dello sviluppo, nel momento stesso in cui il fine sia raggiunto), a far sì che l’uomo trovi, riconosca e con tutta la forza della sua natura si convinca che l’uso più elevato che egli può fare della propria personalità, della pienezza di sviluppo del proprio io, consiste quasi nell’annientare l’ io stesso, nel consegnarlo a tutti e a ciascuno indivisibilmente e senza riserve. E questa è la massima felicità. […] Questo appunto è il paradiso di Cristo. Tutta la storia, sia dell’umanità sia, in parte, di ciascuno singolarmente è soltanto evoluzione, lotta, perseguimento e conseguimento di questa meta. (Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini (1860-1881)).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giono – 09 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-09T22:44:18+01:00da fraternidade
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