Giorno per giorno – 01 Maggio 2022

Carissimi,
“[Gesù] gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni, mi vuoi bene? Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene. Gli rispose Gesù: Pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 17). La prima parte del Vangelo di questa domenica ci era stata già proposta nel venerdì dell’Ottava di Pasqua. Raccontava la manifestazione di Gesù risorto in riva al lago di Tiberiade, dove si erano recati a pescare, su iniziativa di Pietro, lui stesso, Tommaso, Natanaele, i due figli di Zebedeo e altri due discepoli, sette in tutto, originari verosimilmente della zona, rimasti a vivere comunitariamente, cercando di orientarsi sul da farsi, nella situazione venutasi a creare dall’assentarsi di Gesù (che pure, nel capitolo precedente si era fatto vedere e sentire, ma forse non era bastato per definire i contenuti della missione). Quanto ai quattro che mancavano per arrivare a undici, il racconto non li menziona, ma dovevano essere anche loro in ricerca, altrove. A quale pesca si riferisse il racconto non è dato sapere, quel che si sa è che fu infruttuosa. E sarà l’obbedienza alla [ritrovata] parola di Gesù a renderla prodigiosa. Seguiva il banchetto preparato dalo stesso Gesù, dove nessuno dei sette osava chiedergli chi fosse, perché sapevano bene che era il Signore. Il nostro Rafael, quando padre Carlos ha dato la parola ai presenti, ha azzardato che quel gruppetto di sette a loro modo coraggiosi poteva anche rappresentare le nostre comunità del bairro nel loro tentativo di riprendere i loro incontri, dopo i due anni di interruzione dovuti alla pandemia, e come sia importante intendere ed essere ben fermi sulla parola di Gesù, per testimoniare davvero il suo Vangelo e non altra cosa. In questo, concludeva, ci è di aiuto il banchetto di Gesù, l’Eucaristia domenicale. Il dialogo poi che lo stesso Gesù instaura con Pietro, al di là di quello che significa in ordine al ministero a lui affidato, potremmo pensarlo diretto a ciascuno/a di noi. Chiamandoci per nome, a noi, forse, dovrebbe chiederlo infinite volte di più delle tre rivolte a Pietro: Tu, mi ami? (Tralasciando, con buona pace, il suo “più di costoro”, su cui non saremmo disposti a giurare. Ma lui sta al gioco e non ce lo chiede più). Gli basta che gli si voglia un po’ di bene, e glielo si dimostri nel prenderci cura degli altri. Il resto lo farà lui.

I testi che la liturgia di questa 3ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.5, 27b-32. 40b-41; Salmo 30; Libro dell’Apocalisse, cap.5, 11-14; Vangelo di Giovanni, cap. 21, 1-19.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il Primo maggio la Chiesa celebra la memoria di san Giuseppe operaio.

Per esprimere il valore e la dignità del lavoro, attraverso il quale – come affermerà nel Concilio la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes – “gli uomini e le donne, nel procurare il sostentamento per sé e per la famiglia, prestano conveniente servizio alla società, prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (GS 34), la Chiesa volle istituire, nel 1955, la festa di san Giuseppe Operaio, nel contesto della Giornata Internazionale del Lavoro. In lui i cristiani sono chiamati a riconoscere il modello di lavoratore a cui è affidata la difesa della Buona Notizia che Gesù – per lungo tempo operaio lui stesso – è venuto ad annunciare: la liberazione da ogni forma di oppressione e sfruttamento, e, perciò, la contestuale affermazione della dignità del lavoro, dei diritti ad esso connessi ai fini di una sua umanizzazione, del dovere di contribuire tutti, secondo le proprie capacità alla costruzione della città dell’uomo.

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

Takashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori, da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca, a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione, si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare. Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

Il 20 luglio 1889, il Congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni a Parigi, fissò la data del Primo Maggio, per ricordare le grandi manifestazioni operaie svoltesi nei primi giorni di Maggio, tre anni prima, a Chicago, che erano state soffocate nel sangue. Così, a partire dal 1º Maggio 1890, con esiti alterni e con alcune interruzioni, in diversi paesi, cominciò a celebrarsi la Festa dei Lavoratori, o la Festa del Lavoro. Come momento di riflessione, coscientizzazione, rivendicazione e lotta del e sul mondo del lavoro. Che ci sia chi la snobba, è nell’ordine delle cose. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a crederci e a celebrarla.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Takashi Nagai, ve ne proponiamo una citazione tratta dal suo libro “Pensieri dal Nyokodō”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Avendo io subito gli effetti della bomba atomica sulla mia pelle, mi rendo conto molto bene di quale sia il danno più terribile che ci è stato arrecato. La cosa più devastante che ci è accaduta non è la perdita delle nostre case, né il fatto che tutti i nostri beni siano andati in fumo; e non è neanche la morte di tanti nostri parenti e amici; non le deturpazioni dei nostri corpi né l’incapacità di lavorare a causa della malattia; ma è proprio l’orrore che è entrato nella nostra stessa anima e che si manifesta con la perdita di fiducia nell’umanità. (Takashi Nagai, Pensieri dal Nyokodō).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Maggio 2022ultima modifica: 2022-05-01T22:06:09+02:00da fraternidade
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