Giorno per giorno – 02 Maggio 2022

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo” (Gv 6, 26-27). Perché noi si cerca Dio? O, anche: cosa ci si aspetta noi da Dio? Perché andiamo dietro a Gesù? Perché si va in chiesa, che è l’assemblea di quanti credono di credere in lui? La critica mossa da Gesù alla folla già saziata coi pani e coi pesci (cf Gv 6, 1 ss), che ora si è messa sulle sue tracce per averne di più, può sembrare la denuncia di certa teologia della prosperità in voga anche oggi, ma è assai più di questo. La questione è se noi si sia capito o no il segno dei pani, che sono “cibo che perisce”, se dimentichiamo il significato a cui rimandano, in cui il Pane vero è lo stesso Gesù, che, alimentandoci, ci introduce alla logica divina del dono di sé, capace di cambiare il mondo intorno a noi. In questo sta il valore delle nostre Eucaristie, se esse ci conducono alla condivisione fraterna – la vita di Cristo in noi -, una volta usciti di chiesa. Diversamente, per quanto suggestive e spiritualmente gratificanti possano apparire, costituirebbero uno spreco, uno svilimento del sacramento.

Il nostro calendario ci ricorda oggi Atanasio, Pastore e Padre della Chiesa, Matrona di Mosca, mistica, Paulo Freire, educatore dalla parte degli oppressi, e dom Tomás Balduino, vescovo e profeta della Chiesa di Goiás. .

Atanasio era nato ad Alessandria d’Egitto nel 295. Appena ventenne si era fatto conoscere nella sua Chiesa per due discorsi, uno “Contro i greci”, l’altro “Sull’Incarnazione” che rivelavano, oltre che la sua fede profonda, una notevole capacità di argomentazione teologica. Per questo, quando nel 325 l’imperatore Costantino convocò il Concilio di Nicea, per risolvere il problema della divinità di Cristo, il suo vescovo, Alessandro, pensò bene di portarselo appresso come consulente teologico. Tre anni più tardi, alla morte dell’anziano patriarca, l’ancor giovane Atanasio venne chiamato a succedergli nella cattedra che la tradizione vuole sia stata di san Marco. Erano tempi grami tuttavia. Costantino non ne capiva molto di dispute teologiche, ma, deve aver pensato che giovasse più al potere imperiale l’immagine di un Dio unico punto e basta (sostenuta da Ario), che questa Unità del molteplice, o molteplicità dell’Unità, implicata dal Dio trinitario degli ortodossi, di cui Atanasio era diventato campione. Sicché, con uno strategico voltafaccia, scelse alla fine le tesi più vicine ad Ario, spedendo in esilio Atanasio. Quest’ultimo, tuttavia, seguitò imperterrito. Non aveva accettato di essere vescovo per andare a braccetto col potere e con le mode del suo tempo. Sicché, le condanne si susseguirono negli anni, con i diversi imperatori: Costanzo, Giuliano e Valente. Questi allontanamenti frequenti, portarono Atanasio a contatto con i monaci del deserto, con Antonio, in primo luogo, di cui il vescovo scriverà poi la vita, contribuendo in tal modo, a diffondere l’ideale monastico in tutta l’ecumene cristiana. Divenuto vecchio, ma non vinto, fu finalmente, dietro la pressione popolare, restituito alla sua sede patriarcale per l’ultima volta. Lì morì, pacificamente, tra la gente che l’amava, il 2 maggio dell’anno 373.

Matrona Dimitrievna Nikonova nacque nel 1881 nel villaggio di Sebino, nel governatorato di Tula, quarta figlia di una famiglia di contadini. Nata priva della vista, fu arricchita, fin da bambina, di numerosi carismi, compreso il dono della cura. A quattordici anni potè recarsi in pellegrinaggio a numerosi monasteri, a Kiev, a San Pietroburgo e in altre città russe. San Giovanni di Kronstadt, incontrandola nella sua chiesa, la chiamò “colonna della Russia”. A 17 anni, Matrona perse l’uso delle gambe e rimase paralizzata per il resto della vita. Benché analfabeta, meravigliava chi l’andava a visitare per la conoscenza di luoghi e fatti lontani. Nel 1925, si trasferì a Mosca, vivendo da allora in casa di amici e benefattori e dedicandosi ad accogliere ogni giorno quanti venivano a chiederne i consigli o la preghiera per ottenere la guarigione da qualche male fisico o spirituale. A tutti dispensava parole semplici e piene di saggezza, che esortavano ad amare il prossimo, a partecipare ai santi misteri, a soccorrere quanti versassero in condizioni di bisogno, soprattutto malati e anziani. Matrona si spense il 2 maggio 1952.

Paulo Reglus Neves Freire nacque il 19 settembre 1921, a Recife, nello Stato del Pernambuco, una delle regioni più povere del Brasile, dove potè sperimentare sulla propria pelle le difficoltà di sopravvivenza delle classi più povere. Nel 1944 conobbe e sposò Elza Maia Costa Oliveira, insegnante elementare, da cui apprese il gusto per l’educazione, a cui dedicherá tutta la vita. La sua proposta pedagogica, conosciuta come “pedagogia degli oppressi”, mira a stimolare l’azione dell’essere umano sulla realtà. Portando i soggetti del dialogo educativo a condividere condizioni di vita, sofferenze e aspirazioni, li rende capaci di una trasformazione creatrice del mondo. Arrestato nel corso del colpo di stato del 1964, dopo 72 giorni di prigionia, fu costretto a lasciare il paese. Si rifugiò in Cile, dove per cinque anni lavorò ai programmi di educazione per adulti e scrisse la sua opera maggiore. In seguito insegnò in numerose università straniere e collaborò nei progetti educativi di vari Paesi, delle Nazioni Unite e del Consiglio Mondiale delle Chiese. Rientrato in Brasile nel 1980, riprese il suo impegno pedagogico come professore universitario, come animatore del movimento di educazione popolare e come attivo partecipante delle comunità ecclesiali di base. La sua prassi educativa ricevette numerosi riconoscimenti a livello mondiale. Freire morì a São Paulo di infarto al miocardo il 2 maggio 1997.

Paulo Balduíno de Sousa Décio era nato a Posse, nello Stato di Goiás, il 31 dicembre 1922, figlio di José BalduÍno de Sousa Décio e di Felicidade de Sousa Ortiz. Entrato nell’Ordine Domenicano, compì il noviziato, assumendo il nome di Tomás. Studiò filosofia a São Paulo, e teologia in Francia, a Saint Maximin, dove fu ordinato presbitero, nel 1948. Rientrato in Brasile, fu professore di filosofia nella Facoltà di Filosofia di Uberaba e poi a Juiz de Fora (Minas Gerais). Nel 1957 fu nominato superiore della missione domenicana a Conceição do Araguaia, nel Pará, dove conobbe da vicino la realtà indigena e contadina. Per svolgere un lavoro più efficace con gli indios, si laureò in Antropologia e Linguistica all’Università di Brasilia e studiò la lingua degli Indios Xicrin, del gruppo Bacajá, Kayapó. Per muoversi più facilmente nel vastissimo territorio della Prelazia fece il corso di pilota d’aviazione. Amici solidali italiani gli donarono un teco-teco, con cui potè prestare un inestimabile servizio, soprattutto nel sostegno e nell’articolazione dei popoli indigeni. Aiutò anche a salvare molte persone perseguitate dalla dittatura militare. Nel 1965, anno in cui si chiuse il Concilio Vaticano II, fu nominato Prelato di Conceição do Araguaia. Lì visse in maneira determinante e combattiva i primi conflitti con le grandi imprese agropecuarie che si stabilivano nella regione com gli incentivi fiscali dell’allora Sudam e che invadevano aree indigene, espellevano famiglie di piccoli contadini, facendo arrivare braccianti da altri Stati, soprattutto dal Nordeste brasiliano, che erano poi sottomessi spesso a regimi analoghi al lavoro schiavo. Nominato e ordinato vescovo della Città di Goiás, nel 1967, assunse la cura della diocesi, dove rimase 31 anni, fino al 1999. Qui, dom Tomás fece opera di adeguamento della vita ecclesiale al nuovo spirito del Concilio Vaticano II e della Conferenza di Medellin (1968). La sua attuazione, a fianco dei poveri, nello spirito dell’opzione per i poveri, segnò profondamente la Diocesi e la sua gente. I contadini solevano riunirsi nel Centro di Pastorale, dove dom Tomás abitava, per definire le loro forme di organizzazione e le strategie di lotta. Questa attività provocò l’ira del governo militare e dei latifondisti che perseguitarono e assassinarono alcuni leader dei lavoratori, e tramarono per eliminare lo stesso vescovo. Dom Tomás fu personaggio chiave nel processo di creazione del Consiglio Indigenista Missionario (CIMI) nel 1972, e della Commissione Pastorale dela Terra (CPT) nel 1975. Dopo la rinuncia al governo della diocesi, presentata al papa, nel 1999, al compimento del settantacinquesimo anno di età, trasferitosi a Goiânia, ha continuato a lavorare alacremente fino agli ultimi mesi di vita. Innumerevoli i riconoscimenti internazionali per le sue attività a favore dei diritti umani e di lotta contro la miseria. Si è spento alle 23 e trenta di venerdì 2 maggio 2014. Vive nella vita di Dio.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.6, 8-15; Salmo 119, 23-30; Vangelo di Giovanni, cap. 6, 22-29.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Ieri sera, l’avvistamento della prima sottilissima falce della luna nuova ha segnalato che, terminato il mese di Ramadan, siamo entrati nel mese di Shewal (1444 del calendario egiriano, così chiamato perché data a partire dall’Egira). È, dunque, per i nostri amici musulmani la festa Id al–Fitr, cioè, la Festa della Rottura [del digiuno], chiamata anche Id al-Saghir, la Festa Piccola. Durerà tre giorni, dedicati al ringraziamento, al perdono, alle benedizioni, alla misericordia e alla pace. Eid Mubarak!

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano della relazione tenuta da Paulo Freire con il titolo “Il canto della liberazione” nel Convegno internazionale di Reggio Emilia “Saperi a confronto”, svoltosi nel marzo 1990. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Formare gli studenti e aiutarli a diventare sempre più se stessi è una cosa meravigliosa. È un processo che ha in sé qualcosa di bellissimo: penso che noi come educatori non dovremmo solo parlarne, ma viverlo, farci carico del rischio che esso implica, ma anche della speranza che ne è elemento fondamentale. Vi confesso che non riesco a concepire un educatore che lavori senza speranza. Capisco che tutti noi, in certi momenti della giornata, la possiamo perdere. Anch’io ogni tanto mi chiedo “cosa faccio in questo ufficio?” “perché non me ne torno a casa a leggere, a scrivere, perché non vado a passeggare?”. Ma resto. Ciò che ritengo impossibile è insegnare senza essere colmi di speranza. Però la speranza non può sopravvivere se non c’è futuro, essa non è alle nostre spalle, ma davanti. E dobbiamo avere la capacità storica di andare avanti, di creare un nuovo canto, una società nuova, cioè di dare il nostro contributo. Proprio per questo quando dico educazione penso ad un processo di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì della liberazione, in quanto amo la libertà, ma essa non è un punto di arrivo, ma piuttosto un punto di partenza, e preferisco il processo con cui si diventa liberi, cioè la liberazione, in quanto non ha fine. Non si smette mai di cercare la libertà. E ritengo che quanto più viviamo l’educazione come processo di acquisizione di conoscenza invece che come trasferimento di conoscenze, tanto più siamo impegnati nel processo di liberazione. (Paulo Freire, Il canto della liberazione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Maggio 2022ultima modifica: 2022-05-02T22:07:14+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo