Giorno per giorno – 01 Maggio 2021

Carissimi,
“Venuto nella sua patria, Gesù insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?. E si scandalizzavano per causa sua” (Mt 13, 54-55. 57). Nel mistero dell’incarnazione, troppo facilmente si sorvola su ciò che ne costituisce il vero scandalo, che è la concretezza della storia in cui Dio si fa carne. Sicché molti finiscono per credere a Gesù come a una sorta di avatar della divinità, se non come a un semplice profeta, con il che si butta a mare il significato della rivelazione da lui incarnata, quel segreto nascosto da secoli in cui Dio ha deciso di dirsi in prima persona. Di questo mistero, Giuseppe, come Maria, come Nazareth, la Galilea, il popolo ebreo, sono parte integrante, preliminare al dispiegarsi della missione pubblica. Ci dicono, infatti, da subito, come e con chi Dio sceglie di essere, offrendoci così il paradigma di dove incontrarlo: ultimo tra gli ultimi. A costo di scontrarsi con l’incredulità dei più, che di Dio nutrono più ragionevoli immagini, più devote e spirituali. Gesù è, così, figlio del carpentiere, tanto quanto figlio di Davide e figlio di Dio. Si troverebbe ben a suo agio con gli uomini della nostra gente di qui, muratori, manovali, netturbini, giardinieri, operai, tuttofare, spesso disoccupati, non per mancanza di volontà di lavorare, figli, mariti e padri delle molte Marie, casalinghe, bambinaie, badanti, domestiche, artigiane, che in vario modo si danno da fare per arrotondare le magre entrate famigliari. “Dio che si è fatto uomo nel grembo di Maria, si è fatto classe nella bottega di Giuseppe”, come scrisse dom Pedro Casaldáliga. E da allora non ha mai lasciato simili compagnie. Per noi c’è solo da non dimenticarlo.

Oggi la Chiesa celebra la memoria di san Giuseppe operaio.

Per esprimere il valore e la dignità del lavoro, attraverso il quale – come affermerà nel Concilio la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes – “gli uomini e le donne, nel procurare il sostentamento per sé e per la famiglia, prestano conveniente servizio alla società, prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (GS 34), la Chiesa volle istituire, nel 1955, la festa di san Giuseppe Operaio, nel contesto della Giornata Internazionale del Lavoro. In lui i cristiani sono chiamati a riconoscere il modello di lavoratore a cui è affidata la difesa della Buona Notizia che Gesù – per lungo tempo operaio lui stesso – è venuto ad annunciare: la liberazione da ogni forma di oppressione e sfruttamento, e, perciò, la contestuale affermazione della dignità del lavoro, dei diritti ad esso connessi ai fini di una sua umanizzazione, del dovere di contribuire tutti, secondo le proprie capacità alla costruzione della città dell’uomo.

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

Takashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori, da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca, a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione, si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare. Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria liturgica di san Giuseppe Operaio e sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 1,26-2, 3; Salmo 90; Vangelo di Matteo, cap.13,54-58.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Il 20 luglio 1889, il Congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni a Parigi, fissò la data del Primo Maggio, per ricordare le grandi manifestazioni operaie svoltesi nei primi giorni di Maggio, tre anni prima, a Chicago, che erano state soffocate nel sangue. Così, a partire dal 1º Maggio 1890, con esiti alterni e con alcune interruzioni, in diversi paesi, cominciò a celebrarsi la Festa dei Lavoratori, o la Festa del Lavoro. Come momento di riflessione, coscientizzazione, rivendicazione e lotta del e sul mondo del lavoro. Che ci sia chi la snobba, è nell’ordine delle cose. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a crederci e a celebrarla.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dall’odierna Festa del Lavoro, vi offriamo in lettura un brano del messaggio che Mons, Oscar Romero diresse ai lavoratori il 1º maggio 1979. È, così, questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Primo Maggio non è solo una data storica che commemora le gesta eroiche dei lavoratori. È, soprattutto, così vogliamo comprenderla, una giornata di riflessione e ricerca che deve farci riflettere tutti sulle profonde implicazioni che il lavoro e le sue relazioni contengono. La Chiesa ha voluto solidarizzarsi con ciò che questo giorno significa, facendo sue con preoccupazione le condizioni e le sorti degli operai e volendo presentare in questa stessa data, come festività, la figura di San Giusppe Operaio, con cui desidera manifestare chiaramente la sua vicinanza al mondo del lavoro, giacché Gesù, suo fondatore, fu conosciuto come “figlio del falegname”. Questo è il motivo per cui il Papa nella sua udienza mercoledì scorso ha affermato: “La distanza tra la Chiesa e la fabbrica sta diminuendo e il fumo dell’incenso si va mescolando con il fumo delle industrie”. Credo anche molto opportuno rivolgermi in questo giorno agli amati lavoratori di entrambi i sessi, sia nelle campagne che in città, tenendo presente che il movimento operaio nel nostro paese, e i recenti scioperi lo dimostrano, ha molto da dire a tutti noi, soprattutto per la solidarietà inter-sindacale che queste mobilitazioni hanno risvegliato. Qualcosa di nuovo nasce tra noi e una vita che nasce non deve mai essere troncata, ma esaminata e incanalata, mai soffocata. […] Ricordate, cari lavoratori, che i gravi bisogni che avete devono essere visti anche con un senso cristiano della vita. Che i beni materiali così necessari, una volta ottenuti, non riempiono completamente il cuore dell’uomo. Che ci sono anche altri valori di dignità, rettitudine, onestà e sforzo a cui si deve aspirare. Che come cristiani sappiamo esserci – oltre a tutti i valori della terra – un destino oltre la vita. Che nell’essere umano vi sono desideri insoddisfatti di felicità che potranno essere pienamente appagati solo quando potrà dire con sant’Agostino: “Tu ci hai fatti per Te Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. La Chiesa sarà sempre al fianco delle giuste esigenze dei lavoratori e lo farà dal suo stesso modo di essere Chiesa, senza identificarsi con movimenti o ideologie o subordinarsi ad altri interessi. Essa infatti si lascia guidare da ciò che diceva il Concilio: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”. (Mons. Oscar A. Romero, Mensaje a los Trabajadores, 1º de mayo de 1979).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Maggio 2021ultima modifica: 2021-05-01T22:57:37+02:00da fraternidade
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