Giorno per giorno – 30 Settembre 2020

Carissimi,
“Mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: Ti seguirò dovunque tu vada. E Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 57-58). Il brano che precede il vangelo di oggi (che non si è letto ieri perché la festività proponeva sue letture proprie) diceva della ferma dccisione di Gesù (l’originale suona “indurì il suo volto”) di salire a Gerusalemme, dato che si stavano compiendo i giorni della sua dipartita. Ora, lungo la strada, incontra tre personaggi, tre potenziali discepoli, in cui ci si può facilmente identificare, che si offrono, o a cui chiede, di seguirlo. Il che però presenta difficoltà e ostacoli. La salita a Gerusalemme è la via della croce che ci si disegna come significato di Dio, e perciò senso più vero della nostra vita. Croce, intesa, come dono di sé, sino alla fine. Ora, cosa impedisce la totalità del dono? Nel primo caso è la sicurezza che ci è data dal possesso delle cose, alla quale Gesù si mostra immune, offrendosi come esempio di libertà. Nel secondo, colui che lo stesso Gesù prende l’iniziativa di chiamare, gli chiede una dilazione di tempo, per celebrare i funerali del padre. Questo è il dovere religioso per eccellenza, dietro la cui immagine possiamo intravvedere ogni forma di sacralizzazione delle istituzioni religiose o civili, patria, tradizione, religione, cultura, chiesa, mercato, il cui culto prenda il sopravvento sull’urgenza a cui chiamano l’annuncio e la testimonianza del Regno di Dio. Il terzo personaggio, pur dichiarandosi disposto a seguire Gesù, chiede anch’egli un tempo supplementare per potersi congedare dai suoi. È, se vogliamo, il più umano dei tre, prigioniero se non altro della sua cerchia di affetti, ma la chiamata di Gesù è implacabile. Del resto, ricordiamo bene che, appena adolescente, non aveva esitato a sottrarsene, lasciando interdetti i genitori, col dire che doveva occuparsi delle cose del Padre (cf Lc 2,49). Noi, stamattina, ci dicevamo che siamo ancora lontanissimi dall’aver superato questi ostacoli che ci impediscono di camminare sciolti al seguito di Gesù. Ma c’è di buono, che non ci ha per questo rifiutati, convinto che prima o poi ci lasceremo contagiare da Lui.

Oggi è memoria di Girolamo, monaco al servizio della Parola e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda Jorge Luis Cerrón, universitario, martire dela solidarietà tra i giovani e i poveri, a Huancayo, in Perù.

Nato nel 347 da genitori cristiani a Stridone, tra la Dalmazia e la Pannonia, Sofronio Eusebio Girolamo compì a Roma gli studi di grammatica, retorica e filosofia. Ricevuto il battesimo, da papa Liberio, si recò a Treviri, nelle Gallie, per perfezionare gli studi teologici. Nel 373 fu ad Aquileia e poi ad Antiochia di Siria, che lasciò per stabilirsi come eremita nel deserto di Calcide, portandosi tuttavia appresso tutta la sua ricchissima biblioteca. Fu in questo periodo che Girolamo studiò l’ebraico e maturò il suo tormentato distacco dalla vita mondana e dalla cultura classica. Lui stesso in una lettera racconta di essersi trovato in sogno di fronte ad un giudice che gli chiedeva conto della sua identità ed avendogli egli risposto di essere cristiano, si sentì replicare: “Bugiardo, tu sei ciceroniano, non cristiano”. Si diede perciò ad una vita di preghiera, di studi rigorosi e di penitenza e venne ordinato sacerdote. Tornato a Roma nel 382, fu nominato segretario di papa Damaso, che lo incaricò della traduzione della Bibbia in latino, a partire dai testi originali. La sua traduzione è conosciuta ancora oggi come “Vulgata”. Ma non fu solo uno studioso. Fondò un luogo di preghiera e di studio rigoroso delle Sacre Scritture, in cui si impegnarono alcune donne dell’aristocrazia romana, tra cui Marcella, Paola e la figlia di quest’ultima, Eustochio, tutte desiderose di vivere la fede cristiana in maniera non banale. Cosa non facile, dopo che l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione di stato, spalancando le porte della Chiesa ad ogni pratica di corruzione e di opportunismo. Fenomeni che Gerolamo non esitò a denunciare e combattere con passione e veemenza. Alla morte di Damaso, nel 384, Girolamo sperò, forse, ma inutilmente, di succedergli. Fece allora ritorno in Palestina, a Betlemme, accompagnato da Paola ed Eustochio, con cui fondò un monastero maschile e uno femminile, oltre ad un ospizio per i pellegrini. Di carattere irruento e intrattabile entrò in polemiche dottrinali, non senza venature personali e accenti d’intolleranza, con molti grandi del suo tempo, compresi Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Basilio e Agostino. Lasciò numerose opere scritte (lettere, trattati di esegesi, commenti biblici…). I suoi difetti temperamentali non sminuiscono in ogni caso la grandezza della sua opera. È chiamato “Dottore massimo delle Scritture”. Morì a Betlemme nel 420.

Jorge Luis Cerrón era uno studente universitario di 24 anni, prossimo a laurearsi in ingegneria agraria, all’università di Huancayo, capoluogo della regione di Junin e della provincia di Huancayo, in Perù, quando fu assassinato, il 30 settembre 1991, da una formazione di Sendero Luminoso. Il fatto che fosse membro attivo della Pastorale Giovanile e della Commissione arcidiocesana di Azione Sociale, oltre che, per la sua specialità di agronomo, collaboratore della Caritas nell’appoggio ai contadini e al Club delle madri, costituì motivo sufficiente perché Sendero Luminoso lo condannasse a morte. I compagni lo ricordano come umile, generoso, instancabile amico, con un’inesauribile riserva di buon umore per sollevare gli spiriti. Quando la violenza della repressione governativa o quella di Sendero Luminoso si scatenano, Jorge Luis è sempre pronto nella difesa della giustizia e della vita. E lo fa, senza timore, pubblicamente. Le sue riflessioni e le sue poesie sulla realtà sociale e il modo di essere cristiani sono ben noti nella cerchia degli amici. Al suo funerale, presieduta dall’Arcivescovo di Huancayo, sono presenti i contadini, i suoi coetanei, le madri. Con il cuore a pezzi, portano a spalle la bara di Jorge Luis, come fosse un trofeo, lungo quindici isolati, fino a il cimitero. Dove la paura ancora paralizza, serve il il suo esempio di martire per la causa di Gesù, che è la causa dei suoi fratelli, a rianimare e dare forza.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap.9, 1-12.14-16; Salmo 88; Vangelo di Luca, cap.9, 57-62.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

La memoria del sacrificio di Jorge Luis Cerrón ci offre lo spunto per proporvi, nel congedarci, un brano del teologo peruviano Gustavo Gutièrrez, tratto dal suol libro “Il Dio della vita” (Queriniana). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nel Nuovo Testamento uno dei segni del Regno è la comunità che si forma attorno a Gesù. L’esistenza di questo popolo credente è in effetti una prova dell’azione di Dio nella storia; è segno in quanto popolo messianico, popolo del Messia che nel suo itinerario storico manifesta il Regno attraverso il cosiddetto “capovolgimento messianico”. Precisiamo questo punto. Il rovesciamento messianico si esprime ad esempio nella frase evangelica: “gli ultimi saranno i primi” (Mt 20, 16), che contraddice il sistema di valori di questo mondo, in cui poveri e piccoli non contano. La comunità ecclesiale, popolo messianico, rivela la gratuità dell’azione di Dio appunto nella misura in cui promuove nella storia la presenza creatrice dei poveri. L’amore libero e gratuito di Dio è annunciato partendo dai poveri e dalle loro necessità, dai loro diritti e dalla loro dignità, dalla loro cultura e soprattutto dal Dio che vuol metterli al centro della storia della chiesa. Paolo lo mostrò con forza ineguagliabile; nella sua prima lettera alla comunità che vive nella ricca città di Corinto, l’Apostolo precisa che non saranno né ‘la sapienza dei sapienti, né l’intelligenza degli intelligenti’ a permettere di cogliere il disegno di Dio: ad essere respinta è la pretesa dei dotti, orgogliosi del loro sapere. Anche Matteo (11, 25-26) si farà eco del testo di Isaia 29, 14, cui allude Paolo. Ma si richiede un’autentica intelligenza della Parola, e per grazia di Dio essa verrà da una comunità cristiana formata dagli ultimi della società. Paolo fa appello all’esperienza dei suoi corrispondenti: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili” (1 Cor 1, 26). Guardarsi in faccia basterà a comprovarlo. Non è un fatto casuale, ma il risultato di una vocazione, di una grazia del Signore, che ci aveva avvertito che “gli ultimi saranno i primi”. (Gustavo Gutiérrez, Il Dio della vita).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Settembre 2020ultima modifica: 2020-09-30T22:56:32+02:00da fraternidade
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