Giorno per giorno – 14 Luglio 2020

Carissimi,
“Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi” (Mt 11, 21-22). Come reagiamo noi all’invito alla conversione che Gesù ci rivolge nel Vangelo? Gli prestiamo ascolto? Ne intendiamo il senso? Gli diamo credito? O continuiamo a comportarci come i popoli delle antiche città pagane, simbolo del dominio economico e politico, dell’accumulazione delle ricchezze, dello sfruttamento a danno degli ultimi, della chiusura del cuore e della borsa ai poveri e agli stranieri, a cui Gesù paragona le città del lago? E sì, che queste erano le piú care a lui: lì, infatti, aveva insegnato e compiuto i “segni prodigiosi” del Regno, restati purtroppo incompresi, o intesi in una logica solo egoista. Nella quale si rischia purtroppo di ricadere sempre anche noi. Il “guai a te” è il lamento pronunciato da Gesù sulle nostre città, a causa del destino di infelicità che ci prepariamo con le nostre stesse mani, quando rifiutiamo l’appello di Dio a instaurare relazioni nuove, fraterne e solidali, nella storia che andiamo costruendo. È questa la più vera conversione a cui ci chiama, non a pratiche religiose – pur sempre utili, se finalizzate a quella – né a professioni di una fede ridotta a ideologia identitaria o alle forme di una tradizione svuotata della Memoria che piú conta.

Il nostro calendario ecumenico ci propone oggi le memorie di Nersēs di Lambron, pastore e testimone di ecumenismo, e di Ahmad al-Alawi, mistico islamico.

Battezzato con il nome di Smbat, Nersēs era nato nel 1153 a Lambron in Cilicia, figlio di Oshin II, signore del luogo, e di Shahandukht, discendente di Gregorio l’Illuminatore. Adolescente, fu dai genitori inviato presso lo zio Nersēs Šnorhali, catholicos degli Armeni, che lo ordinò sacerdote. Il giovane si dimostrò presto versato nelle scienze sacre e profane e acquisì una profonda conoscenza di greco, latino, siriaco e copto, al punto che il nuovo catholicos armeno, Grigori Tlay, decise di nominarlo e consacrarlo vescovo di Tarso, quando era solo ventitreenne. Da allora e fino alla morte si dedicò con passione alla causa dell’unità tra la chiesa greca e quella armena, separate dall’epoca del Concilio di Calcedonia, scontando opposizioni, calunnie e umiliazioni da parte di entrambe le chiese. Morì il 14 luglio 1198 ed è dottore della Chiesa armena.

Abul Abbas Ahmad ibn Mustafa al-Alawi al-Mostaganimi, questo il suo nome completo, nacque a Mostaganem, nell’estremo nord dell’Algeria, vicino alla frontiera col Marocco, nel 1869. Di famiglia umile e rispettata, apprese il mestiere di calzolaio e visse per molti anni esercitando questa professione. Già da ragazzo manifestava un grande interesse per la vita dei mistici, ma la sua vita mutò radicalmente quando incontrò colui che sarebbe diventato il suo maestro, lo sceicco al-Buzidi, della Tariqah Darqawiya. A partire da allora il suo negozio venne trasformandosi in un vero e proprio centro di spiritualità, in cui era più il tempo dedicato alla preghiera che alla riparazione delle scarpe. Quando nel 1909 al-Buzidi morì, al-Alawi fu scelto come suo successore alla guida della Confraternita. Si dedicò allora a tempo pieno alla Tariqah, cominciando a percorrere la regione del Magreb e altri paesi per insegnare la sua dottrina e soprattutto la pratica del dhikr (l’invocazione dei nomi di Dio). Nel 1914 diede vita ad una Tariqah indipendente. Conoscitore degli altri cammini religiosi, lettore appassionato degli evangeli, soprattutto di quello giovanneo, visse e annunciò il cammino della contemplazione, in modo da affascinare poveri contadini, pastori, artigiani, guardato invece con sospetto da teologi, eruditi e giuristi islamici del suo tempo. Gli ultimi anni della sua vita videro al-Alawi consumarsi lentamente; le condizioni di salute precipitarono, l’alimento quotidiano si ridusse a un po’ di latte e a qualche dattero e lo sceicco, sempre più immerso nel nome di Dio, dedicava i momenti in cui gli era consentito a istruire i discepoli, nella sua zawia, nella città natale. La mattina del 14 luglio 1934, mandò a chiamare il medico e gli disse: “È per oggi. Promettetemi di non far nulla e di lasciare che le cose accadano”. Il dottore gli rispose che non vedeva peggioramenti nel suo stato di salute. Ma egli insistette: “So che è per oggi. Bisogna lasciarmi tornare nel grembo di Dio”. Due ore dopo si spense.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.7, 1-9; Salmo 48; Vangelo di Matteo, cap.11, 20-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi una citazione di Ahmad al-Alawi, tratta dalla sua opera di cui troviamo estratti in versione spagnola sotto il titolo di “Divina Sabiduria” (tasawf.blogspot.com) e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Cosa dovrei temere?” chiese il compagno e il profeta fece segno alla lingua con la mano. ‘Uqba disse anche di avergli chiesto: “Come garantire la propria salvezza?”. “Trattenendo la lingua, rimanendo in casa e piangendo sulle proprie mancanze”, aveva risposto il Profeta. Il quale ha anche detto: “Ogni parola pronunciata dal figlio di Adamo è sotto la sua responsabilità e non gioca a suo favore, tranne in tre casi: quando comanda un bene, proibisce il male o invoca Dio”. Ma potremmo limitarci a citare la Parola divina: “In molte conversazioni segrete non c’è nulla di buono, tranne che siano indirizzate a fare la carità, a suggerire buone azioni, a favorire la riconciliazione tra nemici. Grandissima ricompensa sarà concessa a chiunque compia ciò, anelando di compiacere a Dio” (Corano, 4, 114). Fu chiesto a un saggio perché parlasse così poco, ed egli rispose: “Dio ci ha dato due orecchie e una lingua, in modo che possiamo ascoltare il doppio di quanto parliamo, e non il contrario!”. Come già abbiamo detto: Ascolta le parole dell’Amico interiore. E non parlare in fretta prima di aver capito. Non hai forse due orecchie per ascoltare e una sola lingua per parlare? Non è questo il segno che devi ascoltare due volte di più che parlare? In breve, il discepolo deve ascoltare più di quanto parli, specie quando è in presenza di un saggio, nel qual caso deve rimanere in silenzio. Come potrei parlare in presenza di uomini le cui parole provengono direttamente dall’effusione divina (al-fayd)? Quali affermazioni chi non ha conseguito il loro grado potrebbe opporre loro? Bisogna cominciare col capire bene. Perciò, chiunque voglia garantire la propria salvezza, non dovrebbe, quando è in compagnia di persone di Dio, contraddirle con parole prive di luce e inefficaci, né pretendere di far mostra della sua saggezza. Sîdî Abû Madyan diceva a questo proposito: Taci, a meno che non ti venga fatta una domanda. E, se questo è il caso, rispondi: “Non lo so”. Usa l’ignoranza come un velo di protezione. (Sheikh Ahmad Al-Alawi, Sabiduría Celeste).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-14T22:54:48+02:00da fraternidade
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