Giorno per giorno – 26 Maggio 2020

Carissimi,
“Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 1-3). Gesù sapeva bene in cosa consistesse la gloria che chiedeva ora al Padre, la stessa con cui lo avrebbe glorificato: era la Croce, rivelazione definitiva dell’amore incondizionato del Padre per i suoi figli e di questi, attraverso il Figlio, per lui. Stamattina ci chiedevamo se egli avrà per qualche momento tentennato, davanti all’enormità di ciò che chiedeva. Gli altri vangeli riportano una sua preghiera angosciata: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Lc 22, 42). Di essa Giovanni porta una variante in altro contesto: “Ora, l’animo mio è turbato; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora” (Gv 12, 27). Anche qui, dunque, la gloria di Dio è il contrario della gloria che il mondo ci propone. Quanto per noi consiste in una ricerca affannosa di riconoscimento, affermazione di sé, successo, per lui è, nel dono, negazione di sé, perdizione, sconfitta, fallimento personale, e così, contagio di vita eterna, attraverso il virus dell’amore. Lezione dura, impossibile, ancora tutta da imparare.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Filippo Neri, il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.

Filippo Neri era nato a Firenze il 21 luglio 1515, nella famiglia di un notaio. Per un certo tempo, aveva pensato di seguire il padre nella sua professione. Poi cambiò d’idea e andò via dalla città, trasferendosi prima a Cassino e poi, nel 1538, a Roma. Lí cominciò a lavorare tra i ragazzi delle borgate e li lasciava fare tutto il casino che volevano, perché pensava che comportarsi male non consiste nel contravvenire il galateo, ma è altro. Poi, a quelli che se la sentivano, gli insegnava a leggere la Bibbia, a cantare e li portava perfino a messa. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per pregare e per dare aiuto ai pellegrini e ai malati. A 36 anni il suo confessore decise che era bene che fosse ordinato prete e Filippo obbedì, dando vita, poco dopo, all’Oratorio, una congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolar modo nell’educazione dei giovani. A scanso di possibili delusioni, pregava spesso così: “Signore, non aspettare da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò di certo, se non m’aiuti”. La gente faceva fila davanti al confessionale, perché dicevano che sapesse leggere nei cuori. Morì ottantenne, il 26 maggio 1595.

Cesare Sommariva era nato a Milano l’8 gennaio 1933 in una agiata famiglia della borghesia milanese. Conseguita la maturità classica, era entrato in seminario e, dopo gli studi di teologia, fu ordinato prete, il 26 giugno 1955. Inviato come coadiutore nella parrocchia di Pero, nell’hinterland milanese, vi restò fino al 1970. Nel frattempo aveva conosciuto e stretto amicizia con don Lorenzo Milani, con cui condivise il progetto di restituire la parola ai poveri che ne erano stati espropriati, favorendo l’acquisizione di un pensiero autonomo, capace di sottrarsi ai luoghi comuni e alle sirene dell’ideologia dominante. Nacque così l’esperienza delle scuole popolari di quartiere e dei doposcuola. Nel 1970 fu incaricato con altri due confratelli di dare vita a una nuova parrocchia nella periferia della città operaia di Sesto San Giovanni. Dopo quattro anni chiese ed ottenne di iniziare la vita di prete operaio. Assunto alla Redaelli di Rogoredo, una grande acciaieria nella periferia Sud di Milano, vi rimase fino alla crisi dell’azienda, condividendo con gli altri operai il massacrante orario di lavoro dei tre turni. Nel 1977 ottenne di fare vita comune con altri due preti operai: nacque così la Comunità San Paolo, a cui nel 1980 fu affidata la cura pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese. Nel 1986, ormai pre-pensionato, in seguito alla definitiva chiusura della Redaelli, avvenuta nel 1984, chiese al card. Martini di essere inviato come prete fidei donum in Salvador, negli anni dello scontro tra il dittatore Duarte e le forze della guerriglia raccolte nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti. Nel 1992 Mons. Rivera y Damas, che, nel 1980, era succeduto a mons. Romero, lo nominò parroco della parrocchia di San Roque, nella periferia più povera della capitale. Colpito da una forma di epatite, che andò progressivamente aggravandosi, continuò a spendersi al limite delle forze, fino al definitivo rientro in Italia, nel 2004. Qui, nell’affrontare la malattia che faceva il suo corso, visse momenti di sofferta depressione e di abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, avvenuta il 26 (ma, fonti più sicure affermano il 20) maggio 2008. La Chiesa di Milano ha scritto di lui: “A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore”.

Abd el Kader era nato nel villaggio di Guetna, poco distante da Mascara, in Algeria, nel 1808. Era stato educato nella zaouia diretta da suo padre, Si Mahieddine e, in seguito, aveva completato la sua formazione a Arzew e a Orano, sotto la guida di maestri prestigiosi. Dopo la presa d’Algeri, nel 1830, padre e figlio parteciparono alla resistenza, che elesse Abd el Kader emiro e gli affidò il comando del fronte anti-coloniale. Arresosi ai francesi nel 1847, Abd el Kader, dopo sei anni di prigionia in Francia, scelse la via dell’esilio, stabilendosi, nel 1855, a Damasco, in Siria, dove abiterà fino alla morte nella casa di Ibn Arabi, il mistico, vissuto sei secoli prima, che egli considerava suo maestro. Non lascerà, più il paese, se non per brevi viaggi e un pellegrinaggio alla Mecca, consacrando il suo tempo alla meditazione, alla preghiera, all’insegnamento e alla beneficienza. Nel 1860, i moti di Damasco gli fornirono l’occasione di mostrare la grandezza del suo animo. Dimentico dei soprusi a suo tempo subiti, salvò migliaia di cristiani dal massacro, inducendo i rivoltosi a ritirarsi. Celebrato e onorato, Abd el Kader si spense a Damasco il 26 maggio 1883.

I testi che la liturgia odierna odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.20, 17-27; Salmo 68; Vangelo di Giovanni, cap.17, 1-11a.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di una citazione tratta dal “Kitab al Mawaqif” di Abd el Kader, edito in Francia col titolo “Écrits spirituels” (Seuil). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Non apprezzano Dio nel suo giusto valore” (Corano 6: 91). Questo verso significa: non hanno proclamato la grandezza di Dio come dovrebbe essere, secondo ciò che la sua essenza richiede e ciò che è dovuto alla sua maestà. Ciò del resto è impossibile per loro: non è in potere dell’essere contingente raggiungerlo; la sua predisposizione essenziale non gli consente di farlo. Il pronome plurale di terza persona in “E non apprezzano” comprende tutti gli angeli, gli spiriti perduti dell’amore e, sotto di essi, i jinn e gli uomini, compresi gli Inviati, i profeti e i santi… Di fatto, colui che proclama la grandezza lo fa secondo la conoscenza che ha di colui di cui proclama la grandezza. Tuttavia, nessun essere creato – sia di quelli la cui conoscenza è il frutto della ragione o di quelli la cui conoscenza proviene dalle teofanie – conosce veramente Dio, vale a dire, Lo conosce come Lui conosce se stesso. Come può l’essere finito conoscere Colui che è libero da qualsiasi relazione o limitazione? Perfino la creatura più istruita su Dio (cioè il Profeta) non dice forse: “Gloria a Te! Non ti conosciamo come dovremmo conoscerti. Nessun lode ti abbraccia. Sei tale che solo Tu puoi lodarti, e ciò che è in te è oltre la mia portata”? Tutte le specie nell’universo lo glorificano e ognuna afferma la sua trascendenza rispetto a ciò che gli altri professano di lui: ciò che uno afferma è esattamente ciò che l’altro nega. Viene dal fatto che sono tutti velati, qualunque sia il grado che hanno raggiunto. Chi professa pura trascendenza è velato, chi professa pura immanenza è velato e velato anche chi professa entrambe allo stesso tempo. Colui che professa che Egli è assoluto è velato, e così anche colui che gli attribuisce dei limiti, e così anche colui che nega questo e quello… È Lui stesso ad averlo affermato, dicendo: “La loro scienza non può comprenderLo” (Cor. 20: 110); “E Dio vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti” (Cor. 3:28), dispensandoci così dal cercare di raggiungere ciò che è inaccessibile… Ora, non si cerca ciò che è assente dove lo stiamo cercando! (Émir Abd el-Kader, Écrits spirituels, Mawqif 359).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Maggio 2020ultima modifica: 2020-05-26T22:12:54+02:00da fraternidade
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