Giorno per giorno – 02 Marzo 2020

Carissimi,
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?” (Mt 25, 37-39). Il giudizio finale, e quello su cui dovremmo interrogarci ogni giorno, che lo si voglia o meno, non sarà (e non dovrebbe essere) sul fatto che si sia battezzati o meno, che si abbia frequentato sacramenti, coltivato devozioni, praticato digiuni, adempiuto voti e promesse, accumulato indulgenze, tutte cose buone, ovviamente, se avranno contribuito a quei comportamenti che il buon Dio considera decisivi nel causargli gioia e soddisfazione. Comportamenti che Gesù afferma essere fatti a lui stesso nella persona però degli ultimi e più necessitati, con cui egli perciò dichiara di identificarsi: affamati, assetati, stranieri, poveri al punto di non avere di che vestirsi, malati, carcerati. Dio è lì, quanto e più che nella sua Parola, nell’Eucaristia, nei suoi templi, nella persona dei suoi ministri o in quant’altro si sia portati a supporre. Quaresima serve a rinfrescarci la memoria.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di William Stringfellow, testimone appassionato della Parola; di Engelmar Unzeitig, martire dell’idolatria nazista; e di Shahbaz Bhatti, martire in Pakistan a difesa delle minoranze religiose.

William Stringfellow nacque il 26 aprile 1928 in una famiglia operaia, a Northampton, in Massachusetts. Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, lavorando e studiando, il giovane William arrivò a frequentare la London School of Economics, prima e l’Harvard Law School, poi. Da qui avrebbe potuto spiccare il volo per una carriera di successo. Scelse invece di vivere ad Harlem, tra negri e ispanici, i ceti più emarginati della metropoli. Si trasferì in un appartamento di 28 metri quadrati, con quattro vecchie suppellettili fuori uso, ma abitato in compenso da migliaia di scarafaggi. Confesserà in seguito: “Mi ricordai che è in posti così che la maggior parte della gente vive, in gran parte del mondo, per la maggior parte del tempo. Ero dunque a casa”. Stringfellow apparteneva alla Chiesa Episcopaliana degli Stati Uniti. Ma la sua non fu una convivenza tranquilla. La sua passione unica per la Parola, la scelta dei poveri, la lotta al razzismo e al sessismo, la critica del clericalismo e la valorizzazione della vocazione laicale nella Chiesa, la denuncia del fondamentalismo, ma anche della superficialità di certa teologia, propensa a leggere americanamente la Bibbia, piuttosto che di comprendere biblicamente l’America, e, non per ultimo, la contestazione della guerra del Vietnam, finirono per alienargli il favore della gerarchia e isolarlo. Ammalatosi di diabete, alla fine degli anni 60, si era nel frattempo ritirato a vivere a Block Island, in una casa che volle chiamare Eschaton. Negli studi che pubblicò in seguito, continuò ad approfondire il tema della svolta costantiniana e delle conseguenze nefaste che essa comportò per la chiesa, adeguando la cristianità ai valori dell’impero e facendone uno strumento per la preservazione dello status quo. Morì il 2 marzo 1985.

Engelmar Unzeitig era nato in Cecoslovacchia, in un distretto di lingua tedesca, il 1° marzo 1911. Entrato in seminario della congregazione missionaria di Marianhill, fu ordinato prete 1l 15 agosto 1939, solo due settimane prima dello scoppio della 2ª Guerra Mondiale. Di fronte al potere turpe che si era insediato nel cuore dell’Europa, il nostro avrebbe potuto scegliere di starsene tranquillo, fingendo di non vederne le nefandezze, o addirittura diventarne strumento e prestargli i suoi servigi, o, infine, dire il suo “no” alto e forte e agire di conseguenza. Fu questo che Unzeitig scelse. Sicché non durò molto in libertà e, nel giugno del 1941 fu spedito a Dachau, sotto l’accusa di aver usato nelle sue prediche “espressioni tendenziose” e, soprattutto, di aver difeso gli ebrei. A Dachau, nel corso della guerra, confluirono circa duecentomila prigionieri provenienti da una quarantina di paesi. Più o meno tremila di costoro, alloggiati in baracche separate, erano ministri di diverse confessioni; tre quarti di essi erano preti cattolici. Fu definito il “più grande monastero del mondo” e si trasformò, nonostante le drammatiche condizioni di vita che lo caratterizzavano, in uno straordinario spazio di dialogo ecumenico, in cui preti cattolici e pastori evangelici insieme pregavano, componevano inni e celebravano il memoriale del Signore, offrendo come potevano il loro servizio pastorale ai compagni di prigionia. Padre Engelmar si dedicò soprattutto ai prigionieri russi, dei quali, pur essendo in maggioranza comunisti, si guadagnò presto la stima e l’amicizia. All’inizio del 1945, scoppiò nel campo di concentramento un’epidemia di tifo. Gli infettati venivano confinati in speciali baracche e abbandonati a loro stessi. Fu avanzata una richiesta di volontari che se ne prendessero cura. Si offrirono venti preti, tra cui padre Unzeitig. Il lavoro era estenuante e senza sosta: lavare i corpi febbricitanti, cercare di alimentarli, ripulire i giacigli, ma anche, ascoltarne le confessioni, offrire gli estremi conforti, benedire i morti. In capo a poche settimane anche padre Engelmar fu infettato, ma, nonostante la febbre violenta, continuò sino alla fine a servire i suoi compagni. Morì il 2 marzo 1945, il giorno dopo del suo compleanno, poche settimane prima della liberazione del campo da parte delle truppe americane.

Shahbaz Bhatti era nato il 9 settembre del 1968, in una famiglia cristiana originaria del villaggio di Kushpur, nel distretto di Faisalabad (Punjab, Pakistan). Fin da giovanissimo, seguendo l’insegnamento e la testimonianza del padre, Jacob, aveva deciso di impegnarsi per la tutela dei diritti delle minoranze oppresse del suo Paese, cristiani, indù, sikhs. Fu tra i fondatori dell’All Pakistan Minorities Alliance (APMA), e del Christian Liberation Front (CPF), oltre che direttore esecutivo del Pakistan Council for Human Rights (PCHR). Per la sua attuazione ricevette numerosi riconoscimenti, fra cui, nel settembre del 2010, il Premio Internazionale della Pace “Simbolo della Pace”. Nel frattempo, nel 2002 aveva aderito al Pakistan People’s Party, la formazione politica più riformatrice del Paese, e nel 2008 fu eletto all’Assemblea Nazionale e nominato Ministro federale per le Minoranze. Nonostante le ripetute minacce di morte da parte delle minoranze fondamentaliste del Paese, soprattutto per la sua opposizione alla famigerata “legge sulla blasfemia”, in vigore dal 1986, non si lasciò intimorire, continuando la sua battaglia contro ogni forma di intolleranza. Il 2 marzo 2011, fu ucciso in un attentato rivendicato dal TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan ). Lasciò scritto nel suo testamento: “Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Levitico, cap.19, 1-2.11-18; Salmo 19; Vangelo di Matteo, cap. 25, 31-46.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una pagina di William Stringfellow, tratta dal suo libro “Free in obedience” (WIPF and STOCK Publishers). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Lo Spirito Santo indica la viva e attuante presenza e potenza della Parola di Dio nella storia di questo mondo: la presenza e la potenza che vive e agisce ora in unità e integrità con le opere della Parola di Dio nella creazione, redenzione e giudizio, come anche in solidarietà e identificazione con l’avvento, la nascita, il ministero, la morte, la discesa, la risurrezione e la Signoria di Gesù Cristo in questo mondo. In parole povere lo Spirito Santo è la potenza e la presenza della Parola di Dio vista e udita in questo mondo. È del tutto conforme e integrata all’azione della Parola di Dio nella creazione del mondo, nel mantenerlo in esistenza, nel dare vita a tutti gli esseri umani e a tutte le cose. È la stessa presenza e potenza autenticata dalla rivelazione della Parola di Dio nella persona di Gesù Cristo. A tal punto questa creazione e tutto ciò che vive al suo interno è l’opera della Parola di Dio, che essa dimora in ogni vita, in tutti gli esseri umani e in tutte le cose. Lo Spirito Santo si riferisce alla Parola di Dio come quella Parola nascosta in ogni sfaccettatura, aspetto, evento, persona e cosa nella vita di questo mondo. In Gesù Cristo, questa dimora della Parola di Dio mediante la sua misericordia nella sua stessa creazione, che è chiamata lo Spirito Santo, è rivelata perché tutti possano vederla non solo come la promessa e la speranza della salvezza, ma come la realizzazione unica, decisiva e universale della salvezza. (William Stringfellow, Free in obedience).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Marzo 2020ultima modifica: 2020-03-02T22:24:25+01:00da fraternidade
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