Giorno per giorno – 30 Settembre 2019

Carissimi,
“Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande” (Lc 9, 48). Lezione difficile da imparare, eppure fondamentale, per sapere il chi è di Dio e che fare di noi. Noi, da sempre, siamo fermi là, succubi alla suggestione del serpente, che Dio sia il più grande e il più potente, come noi si vuole per noi e la nostra vita. Invece Dio, in Gesù, ci si è rivelato come un bambino, immagine di tutti coloro che non valgono niente, accogliendo i quali, accogliamo la verità di Dio, che è suo Figlio, e perciò anche il Padre, che egli rende presente nella storia. La fede del cristiano consiste dunque in questo, più che in una sfilza di dogmi, che comunque a questo rimandano: nell’accogliere i piccoli, gli ultimi, i senza voce e senza sorte, e la chiesa, per essere sua chiesa, deve essere, ogni volta, Betania, la Casa del povero, a cui anche il ricco, volendolo e convertendosi, ha accesso, mentre nella casa del ricco, il povero finisce per essere confinato, se va bene, sulla porta. Siamo al ribaltamento della logica del mondo. E, qualcosa non deve aver funzionato, se dopo tanti anni, secoli, persino millenni, le cose stanno come stanno. Con lo Spirito che, si direbbe, vola lontano. Ma qualche volta torna, a far fiorire di nuovo Pentecoste.

Oggi è memoria di Girolamo, monaco al servizio della Parola e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda Jorge Luis Cerrón, universitario, martire dela solidarietà tra i giovani e i poveri, a Huancayo, in Perù.

Nato nel 347 da genitori cristiani a Stridone, tra la Dalmazia e la Pannonia, Sofronio Eusebio Girolamo compì a Roma gli studi di grammatica, retorica e filosofia. Ricevuto il battesimo, da papa Liberio, si recò a Treviri, nelle Gallie, per perfezionare gli studi teologici. Nel 373 fu ad Aquileia e poi ad Antiochia di Siria, che lasciò per stabilirsi come eremita nel deserto di Calcide, portandosi tuttavia appresso tutta la sua ricchissima biblioteca. Fu in questo periodo che Girolamo studiò l’ebraico e maturò il suo tormentato distacco dalla vita mondana e dalla cultura classica. Lui stesso in una lettera racconta di essersi trovato in sogno di fronte ad un giudice che gli chiedeva conto della sua identità ed avendogli egli risposto di essere cristiano, si sentì replicare: “Bugiardo, tu sei ciceroniano, non cristiano”. Si diede perciò ad una vita di preghiera, di studi rigorosi e di penitenza e venne ordinato sacerdote. Tornato a Roma nel 382, fu nominato segretario di papa Damaso, che lo incaricò della traduzione della Bibbia in latino, a partire dai testi originali. La sua traduzione è conosciuta ancora oggi come “Vulgata”. Ma non fu solo uno studioso. Fondò un luogo di preghiera e di studio rigoroso delle Sacre Scritture, in cui si impegnarono alcune donne dell’aristocrazia romana, tra cui Marcella, Paola e la figlia di quest’ultima, Eustochio, tutte desiderose di vivere la fede cristiana in maniera non banale. Cosa non facile, dopo che l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione di stato, spalancando le porte della Chiesa ad ogni pratica di corruzione e di opportunismo. Fenomeni che Gerolamo non esitò a denunciare e combattere con passione e veemenza. Alla morte di Damaso, nel 384, Girolamo sperò, forse, ma inutilmente, di succedergli. Fece allora ritorno in Palestina, a Betlemme, accompagnato da Paola ed Eustochio, con cui fondò un monastero maschile e uno femminile, oltre ad un ospizio per i pellegrini. Di carattere irruento e intrattabile entrò in polemiche dottrinali, non senza venature personali e accenti d’intolleranza, con molti grandi del suo tempo, compresi Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Basilio e Agostino. Lasciò numerose opere scritte (lettere, trattati di esegesi, commenti biblici…). I suoi difetti temperamentali non sminuiscono in ogni caso la grandezza della sua opera. È chiamato “Dottore massimo delle Scritture”. Morì a Betlemme nel 420.

Jorge Luis Cerrón era uno studente universitario di 24 anni, prossimo a laurearsi in ingegneria agraria, all’università di Huancayo, capoluogo della regione di Junin e della provincia di Huancayo, in Perù, quando fu assassinato, il 30 settembre 1991, da una formazione di Sendero Luminoso. Il fatto che fosse membro attivo della Pastorale Giovanile e della Commissione arcidiocesana di Azione Sociale, oltre che, per la sua specialità di agronomo, collaboratore della Caritas nell’appoggio ai contadini e al Club delle madri, costituì motivo sufficiente perché Sendero Luminoso lo condannasse a morte. I compagni lo ricordano come umile, generoso, instancabile amico, con un’inesauribile riserva di buon umore per sollevare gli spiriti. Quando la violenza della repressione governativa o quella di Sendero Luminoso si scatenano, Jorge Luis è sempre pronto nella difesa della giustizia e della vita. E lo fa, senza timore, pubblicamente. Le sue riflessioni e le sue poesie sulla realtà sociale e il modo di essere cristiani sono ben noti nella cerchia degli amici.Al suo funerale, presieduta dall’Arcivescovo di Huancayo, sono presenti i contadini, i suoi coetanei, le madri. Con il cuore a pezzi, portano a spalle la bara di Jorge Luis, come fosse un trofeo, lungo quindici isolati, fino a il cimitero. Dove la paura ancora paralizza, serve il il suo esempio di martire per la causa di Gesù, che è la causa dei suoi fratelli, a rianimare e dare forza.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Zaccaria, cap.8, 1-8; Salmo 102; Vangelo di Luca, cap.9, 46-50.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Da ieri sera al tramonto, per i nostri fratelli ebrei, è il 1° di Tishri dell’anno 5780, e perciò Rosh haShanah, Capodanno. È una festa che dura due giorni e ricorda la creazione di Adamo ed Eva, e, in essi, di ciascuno(a) di noi: occasione per chiederci che cosa abbiamo fatto finora della nostra vita e, più specificamente, dell’anno che abbiamo alle spalle. Il precetto centrale che riguarda questa festa è il suono dello shofar, il corno d’ariete, che chiama i fedeli a pentirsi e a imboccare la strada del ritorno, la teshuvah. Rosh haShanah è anche il primo dei cosiddetti iamim noraim”, i dieci “giorni terribili”, una specie di full immersion nella preghiera e nella penitenza, che culmineranno nello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, la maggior festa del calendario ebraico. In cui Dio, augurabilmente, pronuncerà la sua parola di perdono

Bene, Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano della lettera di san Girolamo, indirizzata a una zia, di nome Castorina, con cui, tanto per cambiare, aveva tempo prima litigato per le idee divergenti, e con cui ora, cercava di rappacificarsi, scaricandosi la coscienza, forse un po’ a buon mercato. Troviamo la lettera nella biblioteca virtuale dell’Abbaye Saint Benoît de Port-Valais. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
San Giovanni, che ha unito nella sua persona la qualità di apostolo e quella di evangelista, afferma che “ogni uomo che odia suo fratello è omicida”. È con una buona ragione che parla così; poiché l’omicidio è di solito l’effetto dell’odio, un cuore che si abbandona a questa furiosa passione è spesso colpevole di un omicidio di cui la mano è innocente. A che serve un tale inizio, mi dirai, e cosa intendi con questo? È per esortarti a bandire dal tuo cuore tutta l’amarezza che le nostre antiche divergenze hanno fatto nascere, al fine di preparare in esso una piacevole dimora per il Signore. “Arrabbiati”, disse David, “e non peccare”. Vale a dire, come spiega San Paolo: “Non lasciare che il sole tramonti sulla tua ira”. Che ne sarà nel giorno del giudizio di noi, che il sole vede perseverare nell’odio, non per un giorno, ma per così tanti anni? Gesù Cristo dice nel Vangelo: “Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono”. Quanto sono infelice (non posso dire lo stesso di te) per aver trascorso così tanti anni senza offrire dei doni all’altare, o per aver perso a causa di un odio inveterato tutto il merito di ciò che ho offerto! Come abbiamo potuto dire ogni giorno nelle nostre preghiere: “Perdonaci le nostre offese, come noi perdoniamo a chi ci ha offeso”, dato che il nostro cuore non concordava con la nostra bocca e le nostre azioni smentivano le nostre preghiere? Ti prego ancora oggi, come ti ho già pregato più di un anno fa, di voler mantenere con me quella pace che il Signore ci ha lasciato; egli vede il tuo cuore e il mio, presto appariremo davanti al suo tribunale, e saremo lì o ricompensati per aver fatto la pace, o puniti per averla infranta. Se però tu non volessi, ciò che Dio proibisce, soffocare i tuoi vecchi risentimenti, io, dal canto mio, non mancherò di scaricarmene davanti a Dio; e questa lettera che ti scrivo basterà a giustificarmi. (Saint Jérôme, Lettres. A Castorina, sa tante).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-30T22:31:52+02:00da fraternidade
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