Giorno per giorno – 06 Maggio 2019

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo” (Gv 6, 26-27). È ciò che Gesù risponde alla folla che era stata saziata coi pani e coi pesci (cf Gv 6, 1 ss) e che ora lo rincorreva per averne ancora e di più. E lui allora ricorda loro che quello era semplicemente un segno, allusione a qualcosa di più profondo, ad un altro pane, che non ci lascia in balia della soddisfazione momentanea di un bisogno, ma ci introduce in un’altra logica, quella divina. Questo pane, che, lo sapremo poi, è lo stesso Gesù, alimentandoci, crea uno spazio di fraternità, in cui tutti, con spirito di abnegazione e di servizio, collaborano al bene comune, condividendo con generosità ciò che hanno e ciò che sono, rendendo così visibile e credibile l’amore di Dio, predicato dall’evangelo. Sapendo, tuttavia, che questa non sarà una facile passeggiata, comporterà rischi, incomprensioni, rifiuti, messe al bando, persecuzioni, persino la morte. Dato che il “principe di questo mondo” – la logica del Sistema, nelle sue diverse manifestazioni -, non accetterà facilmente di essere messo in questione e di rinunciare al suo spazio di dominio. Sconfitta e morte che non avranno l’ultima parola, perché sul Figlio dell’uomo, “il Padre ha messo il suo sigillo”.

Oggi è memoria di padre Giulio Bevilacqua, apostolo tra i giovani, i lavoratori e i poveri; di padre Esteban Gumucio Vives, prete al servizio del Regno; e dei Venticinque Martiri ebrei di Palma di Maiorca, colpevoli di professare la loro fede. Che era la fede di Gesù.

Giulio Bevilacqua era nato a Isola della Scala (Verona), il 14 settembre 1881, ultimo dei dieci figli di Carlotta Oliari e di Matteo, commercianti provenienti dalla trentina Val di Ledro. Trasferitosi con la famiglia a Verona, prese parte attiva alla vita della locale comunità cristiana e alle lotte sociali del tempo. Dopo essersi laureato a Lovanio in Belgio con una tesi sulla legislazione operaia in Italia, entrò tra i Filippini, a Brescia, e fu ordinato sacerdote nel 1908. Prese a svolgere la sua attività di apostolato soprattutto tra i lavoratori e gli studenti, insegnando col Vangelo la consapevolezza dei propri diritti di uomini e di cittadini. Inviato al fronte durante la Grande Guerra, al servizio di soccorso ai feriti, ne fu profondamente segnato. Definì la guerra: “crisi di dignità, notte di miseria umana, follia e abisso di dolori, è un inferno inutile”. La denuncia più dura l’avrebbe riservata, solo pochi anni più tardi, al fascismo, denunciato come dottrina che stravolge ogni valore, pratica violenta, dittatura civile, e forza anticristiana, con cui è impossibile venire a patti. Per sfuggire al fascismo, si rifugiò in Vaticano, ove rimase dal 1928 al 1932, stringendo una profonda amicizia con mons. Montini, il futuro Paolo VI. All’entrata dell’Italia in guerra, nel 1940, pur denunciando la scelta sciagurata del Paese come “apostasia da Cristo” decise di partire per il fronte, come cappellano, per condividere le condizioni dei suoi giovani. Tornato a Brescia, alla fine della guerra, si dedicò alla predicazione e all’approfondimento della pastorale liturgica, ma soprattutto alla cura pastorale dei più poveri nel suo quartiere di periferia. Chiamato a Roma per far parte della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, fu creato, nel 1965, cardinale. Accettò a condizione di poter restare come parroco tra la sua gente. Il Venerdì santo di quello stesso anno si sentì male in chiesa. Celebrò l’ultima messa con i suoi fedeli nel giorno di Pasqua. Morì il 6 maggio 1965, mentre pregava la Salve Regina.

Joaquín Benedicto (tale il nome al battesimo) era nato il 3 settembre 1914 a Santiago del Cile, nella famiglia di Amalia Vives e di Rafael Luis Gumucio. Entrato diciottenne nel noviziato della Congregazione dei Sacri Cuori a Los Peroles, fece, un anno più tardi, a Valparaiso, la sua prima professione temporanea, assumendo il nome religioso di Esteban. Fu ordinato presbitero nel 1938. Durante la sua vita fu professore nei collegi della sua Congregazione, maestro dei novizi, superiore provinciale, predicatore di ritiri ed esercizi spirituali un po’ ovunque, consigliere del movimento “Encontro Matrimonial” e, segretamente, poeta. Fu il fondatore e per molti anni parroco della parrocchia dei santi Pietro e Paolo nel quartiere operaio de La Granja, che andava sorgendo all’inizio degli anni sessanta nella periferia sud di Santiago, e dove ritornò all’inizio degli anni novanta. Nel maggio dell’anno 2000, gli fu diagnosticato un tumore al pancreas, che lentamente consumò il suo corpo, mentre ne faceva risaltare la qualità interiore. Il 6 maggio 2001, nella domenica del Buon Pastore, P. Esteban incontrò l’abbraccio del Padre. Lasciò scritto per i suoi confratelli: “Che sempre tra fratelli ci amiamo davvero, senza pretendere mai di averla vinta, ma restando piuttosto umili servitori gli uni degli altri, accogliendo ciascuno nella sua originalità e con i suoi limiti. Non importa che in futuro si resti in pochi fratelli, l’importante è che lo siamo davvero nel Cuore di Gesù, con una cordialità semplice come quella che possiede il cuore della Madre di Gesù. Mi piacerebbe che il servizio preferenziale ai poveri e la nostra povertà per Gesù non ci vedesse mai soddisfatti, come chi prende bei voti a scuola. La povertà non è per conseguire primati, ma per centrarci in noi stessi. Che i poveri, allora, ci addolorino e che noi ci lasciamo ammaestrare da loro. Sogno una congregazione gioiosa e fiduciosa in Dio, qualunque cosa accada: la grande lezione che la nostra comunione nella missione deve regalare alla chiesa e al mondo è di testimoniare che la cosa più grande e la migliore per l’esistenza del mondo è vivere come figli gratuitamente amati dal Padre, in Gesù, con lo Spirito”.

Il 6 Maggio 1691 fu scoperta a Palma di Maiorca, nelle Isole Baleari, una sinagoga segreta. Nell’autodafé che ne seguì furono messe a morte 25 persone. L’Autodafé (espressione che, in portoghese significa “Atto della fede”) consisteva nella solenne celebrazione della Messa che poneva termine ai processi per eresia o apostasia da parte dell’Inquisizione cattolica. Rappresentava anche l’ultima occasione per i “colpevoli” di proclamare la fede, da essi (se questi erano gli esiti, con qualche ragione) rinnegata, prima di essere consegnati alla potestà secolare, cui era demandata l’esecuzione della condanna a morte, in pubblica piazza. Dei condannati di Palma di Maiorca, ventidue furono garrotati prima di essere bruciati, mentre Rafael Vails, la guida spirituale del gruppo, il suo discepolo Rafael Benito Terongi e la sorella di quest’ultimo, Catalina Terongi, furono bruciati vivi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.6, 8-15; Salmo 119, 23-30; Vangelo di Giovanni, cap. 6, 22-29.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Oggi, per i nostri fratelli musulmani, è il primo giorno di Ramadan, il nono mese del calendario lunare islamico. Il digiuno (sawm) che lo caratterizza consiste nell’astensione da cibi, bevande, rapporti intimi, fumo, ma anche da ogni altro cattivo pensiero o azione, durante l’intera giornata fino al tramonto. Una leggera refezione è consentita un poco prima dell’aurora, mentre, dopo il tramonto, il digiuno è rotto da un ricco pasto e da ore di allegro convivio, con musica, danze e giochi. Questa festa del digiuno, che dura un mese intero, vuole esprimere in primo luogo l’ubbidienza alla parola di Dio che l’ha comandata; educa il fedele alla pazienza, al trascendimento di sé, al controllo delle passioni, al dominio di istinti e pulsioni; lo stimola alla solidarietà nei confronti di quanti sperimentano la fame durante tutto l’anno, e contribuisce ad una purificazione/disintossicazione del suo organismo. Beh, volendolo, ce ne sarebbe anche per noi. Per intanto, una felice festa ai nostri amici musulmani!

Pur senza avere potuto finora seguire le cronache e i servizi sul viaggio apostolico di papa Francesco in Bulgaria e Macedonia del Nord, che, iniziato ieri, si concluderà domani, lo abbiamo ricordato nella preghiera di ogni giorno, sapendo comunquie che lo Spirito soffierà, come sempre, forte.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una poesia di P. Esteban Gumucio Vives, dal titolo “Yo pongo mi fe en Ti”. La troviamo nella raccolta che ha come titolo “Poemas” (Congregación de los Sagrados Corazones), ed è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Scandaloso è ascoltare le labbra / di quanti si acciecano nella lotta per piccoli poteri, / arrampicatori instancabili, bestie assetate di intrusione, /piragne in cerca di carne sana./ Liberami Signore dai bugiardi, / da coloro che cospirano contro me. / Liberami dalle loro pacche sulle spalle, / liberami dai loro sorrisi forzati. / Metto la mia fede in Te, Signore. / Ti offro il mio dolore e il mio zelo per fare il tuo Regno, / e soprattutto ti offro la mia mancanza di coraggio, / la mia inquietudine e la mia gioia esausta. / Metto la mia fede in Te, Signore, / nonostante le notti oscure, / perché di Te mi ricordo nel trascorrere delle ore, / giorno e notte mi ricordo di Te / perché mi guardi con amore, / a dispetto di me, / e ti regali tutti i giorni dei miei giorni. (P. Esteban Gumucio Vives, Yo pongo mi fe en Ti).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Maggio 2019ultima modifica: 2019-05-06T22:48:32+02:00da fraternidade
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