Giorno per giorno – 23 Aprile 2019

Carissimi,
“Gesù le disse: Maria! Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: Rabbunì!, che significa: Maestro! Gesù le disse: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore, e anche ciò che le aveva detto” (Gv 20, 16-18). Difficile, ci dicevamo stamattina, non cedere alla tentazione di confinare tutto nel racconto e dire: che bello, che fortuna ha avuto la Maddalena!, senza chiederci che senso tutto questo possa avere per noi, tanto quella esperienza appare lontana dalle nostre possibilità. Eppure, i racconti di apparizione del Risorto intendono proprio additarcene le condizioni di accessibilità. Che non sono determinate da noi, ma sono frutto di una sua iniziativa indisponibile, che si dà, di volta in volta, in una forma inattesa e imprevedibile. Essa ci raggiunge, individualmente o comunitariamente, a partire dal dato di fatto del sepolcro vuoto, prima come semplice annuncio, poi come corpo glorioso del Crocifisso (il dono di sé come verità di Dio), che ci rinvia ad amarlo nei fratelli, figli tutti ora del Padre, a cui Lui, compiuta la missione, si appresta a salire. Dunque, nel Vangelo di oggi, la Maddalena. Con il suo pianto. Che lamenta il morire di Dio (così come l’aveva sperimentato nella presenza di Gesù) nella sua storia, e nella storia, e non intende ancora il significato della tomba vuota. Solo che Gesù (e quindi Dio) non viene meno: raggiunge lei – e, da allora anche noi – come una Presenza che ci chiama per nome, si china sul nostro dolore, sulla nostra desolazione, sul nostro lutto, da cui ci riscatta, nel suo farsi riconoscre, allora, in una fisicità trasfigurata, unica e irripetibile – e tuttavia esemplare -, da cui noi possiamo sempre ripartire. Ci chiede, però, di non fare di lui l’oggetto di un possesso (o di una devozione) individuale (“Non mi trattenere”), che ne sacrificherebbe la destinazione universale (il salire al Padre), ma ci invia ai fratelli, che vivono anch’essi nel dolore e nella paura, per annunciare e testimoniare loro il ritorno di Dio dall’esilio a cui era stato condannato. Dal Sistema dell’oppressione e del peccato. Questa acnora oggi continua ad essere la missione della Chiesa e, perciò, di ciascuno/a di noi.

Oggi è il Terzo Giorno dell’Ottava pasquale. I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.2, 36-41; Salmo 33; Vangelo di Giovanni, cap.20, 11-18.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Maria Gabriella Sagheddu, testimone di ecumenismo, di Toyohiko Kagawa, pacifista, riformatore e scrittore cristiano, e di César Chavez, leader della lotta non-violenta dei chicanos.

Maria Sagheddu era nata nel 1914, a Dorgali, in Sardegna, in una famiglia di poveri pastori. Da adolescente mostrò poco interesse ai problemi religiosi; era anzi conosciuta per il suo temperamento ribelle e contestatario. A diciotto anni, tuttavia, intervenne in lei un cambiamento profondo: cominciò ad amare la preghiera, scomparvero gli scatti d’ira, maturò una sensibilità spirituale e una coscienza ecclesiale, che la portò a iscriversi all’Azione Cattolica. A ventun anni scelse di consacrarsi totalmente a Dio ed entrò nel monastero trappista di Grottaferrata. Lì scoprì l’ecumenismo spirituale di Paul Couturier e decise di offrire la sua vita, la sua preghiera e le sue sofferenze per la causa dell’unità dei cristiani. Ammalatasi, qualche mese dopo, di tubercolosi, visse la sua malattia come offerta per contribuire a guarire la lacerazione del Corpo di Cristo. Dopo poco più di un anno di atroci sofferenze, Maria Gabriella morì la sera del 23 aprile 1939, alla fine dei vespri della domenica del Buon Pastore, in cui il Vangelo proclamava: “Ci sarà un solo ovile e un solo pastore”.

Toyohiko Kagawa era nato il 10 luglio 1888 a Kobe, in Giappone. Rimasto presto orfano, visse dapprima con la vedova di suo padre e più tardi con uno zio. Iscrittosi ad un corso di Bibbia, per imparare l’inglese, rimase colpito dal suo messaggio e ancora adolescente divenne cristiano, finendo per essere ripudiato dalla famiglia. Dopo aver frequentato per tre anni il Presbyterian College di Tokyo, comprese che, per annunciare credibilmente il vangelo ai poveri, doveva condividerne la vita. Così, dal 1910 al 1924 visse in un casotto di neppure due metri quadrati, nei bassifondi di Kobe, salvo un’interruzione di due anni, dal 1914 al 1916, quando si recò a Princeton, a studiare tecniche per la riduzione della povertà. Già nel 1912 aveva contribuito alla sindacalizzazione dei lavoratori dei cantieri navali, nel 1918 organizzò il sindacato degli operai, e nel 1921 quello degli agricoltori. Sì battè per il suffragio universale maschile (concesso nel 1925) e per leggi più favorevoli ai sindacati. Nel 1923 gli fu chiesto di sovrintendere il lavoro sociale a Tokyo. Fondò cooperative di credito, scuole, ospedali e chiese, e nel frattempo scrisse e tenne conferenze sull’applicazione dei principi cristiani all’ordinamento della società. Fondò la Lega Anti-guerra, e nel 1940 fu arrestato per aver chiesto pubblicamente scusa alla Cina per l’invasione giapponese di quel paese. Nell’estate del 1941 si recò in America nel tentativo di evitare la guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti. Dopo la guerra, nonostante le precarie condizioni di salute, si dedicò alla riconciliazione degli ideali e dei processi democratici con la cultura tradizionale giapponese. Morì a Tokio il 23 luglio 1960. È ricordato come l’ “Apostolo giapponese dell’amore”, che seppe coniugare gli aspetti mistici della fede in Gesù Cristo con la necessità dell’azione sociale. Il suo nome è incluso nel calendario dei santi della chiesa luterana e in quella episcopaliana degli Stati Uniti.

César Chavez era nato a Yuma, in Arizona (Usa), il 31 marzo 1927, da una famiglia di chicanos (oriundi messicani), che sarà ridotta sul lastrico dopo la grande crisi del 1929. I chicanos rappresentavano una delle minoranze più povere degli Stati Uniti e, tra loro, i braccianti erano una categoria al di sotto della soglia minima di povertà. La famiglia di Chavez dovette a lungo sopravvivere di lavori agricoli a carattere stagionale, che l’obbligavano a spostarsi continuamente e ad abitare sempre sotto una tenda. Inutilmente il piccolo César si iscriveva a scuola, perché, immancabilmente, dopo qualche mese, veniva il trasferimento, la perdita dell’anno scolastico, la nuova iscrizione e così via. Lasciata definitivamente la scuola, dopo sette ani di studi intermittenti, il ragazzo cominciò a lavorare col padre per aiutare la famiglia. Divenuto adulto, a 21 anni sposò Helena Fabela, che gli darà otto figli. Nel 1952, il sodalizio con un prete cattolico, padre Donald Mc Donnel, e con un organizzatore sindacale, Fred Ross, portò il giovane a diventare sindacalista a tempo pieno nella CSO (Community Service Organization). Qualche anno dopo, tuttavia, percependo la progressiva verticalizzazione dell’organizzazione, preferì lasciarla per lavorare a stretto contatto della gran massa dei chicanos stagionali. Nel 1962 fondò la National Worker Association, il cui obiettivo, oltre al miglioramento delle condizioni lavorative dei braccianti, sará quello del recupero della memoria storica e dell’ identità culturale della sua gente. Il tutto nel rispetto rigoroso dei metodi non-violenti di lotta, che Chavez apprese dalla lettura delle opere di Gandhi e dall’amicizia con Martin Luther King: marce, boicottaggi, sit-in. César Chavez morì, per cause naturali non accertate, il 23 aprile 1993.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dal vangelo di oggi, stamattina ci si diceva, con un po’ di sana ironia, che, qua e là, c’è ancora qualche parroco che impedisce alle donne di proclamare il Vangelo nella liturgia, dimenticando che, se non fosse per la donna che per prima proclamò il vangelo della risurrezione agli apostoli, loro sarebbero disoccupati. Ma, diamo tempo al tempo. Noi ci si congeda qui, dando la parola a una teologa latinoamericana, Maria Teresa Pórcile Santiso, con un brano tratto dal suo libro “La donna spazio di salvezza. Missione della donna nella Chiesa, una prospettiva antropologica” (EDB), in cui l’autrice pone sulle labbra di Gesù un invito finale. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Voglio dirvi qualcosa, ascoltate con molta attenzione, ascoltate con cuore aperto: non difendetevi dalla mia Parola e dal mio Spirito che, come vi ho già detto, vi guiderà alla verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13). Voglio parlarvi della donna. Lasciatela libera di fare quello che desidera, perché è l’amore che la ispira. Lasciatela libera, lei che conosce bene il mio corpo in un modo misteriosamente puro e libero. Lasciatela libera: mi conosce bene. Io non ricordo di aver ricevuto da voi alcuna attenzione alla mia fatica, sete, fame: al contrario le donne mi hanno dato da bere (Gv 4), da mangiare (Gv 11), mi hanno lavato con profumi (Gv 12, 3; Mc 14, 3; Mt 26, 7) e hanno pianto su di me ancor prima della mia morte (Gv 12, 7). Lasciatela libera, lei conosce attraverso l’amore e sa ciò che desidero e ciò di cui ho bisogno. Mentre voi, tante volte, avete cercato e cercate…, cercate il potere (Gv 18, 1; Mc 9, 34; Lc 9, 46; 22, 24; ecc.). Per questo vi dico: lasciatela, lasciatela libera…, so quello che farà: un’effusione d’amore. Mi indurrà a trasformare il vino vecchio della festa del mondo in vino nuovo del Regno, delle mie nozze; perché è lei che si renderà conto che sono io il vero Promesso, lo Sposo che aspetta. È lei che sente il bisogno urgente dell’Alleanza. Ed è ancora lei che dimenticherà tutti i suoi mariti e la ricerca di acqua nei pozzi, nel momento in cui ci incontreremo. Dimenticherà persino la brocca per correre ad annunciare la fonte di acqua viva a tutta la città. Lasciatela libera di annunciarmi… È piena d’amore e di entusiasmo… Non vi ricordate come i samaritani lasciarono la città per venirmi a cercare al pozzo? (Gv 4, 28-30). È ancora lei che piange con me la morte dei suoi fratelli ovunque, in tutte le latitudini e in tutte le situazioni, perché sa che io sono la Risurrezione e la Vita (Gv 11, 25). […] È lei che sarà accanto alla croce per ricevere tutto il mio essere, intero, dato attraverso il mio cuore aperto, il mio sangue, la mia acqua, il mio spirito di vita. È lei che, uscita dal mio cuore ai piedi della croce, in un unico mistero e come terra-sposa, riceverà nel suo cuore la mia interiorità di Uomo-Dio. È lei che, infine, vincendo la morte in tutte le sue forme, mi attenderà nel giardino, come nel primo mattino della creazione (Gen 2), perché lei stessa è mio giardino e io andrò da lei a raccogliere i miei frutti (Ct 4, 16). Per questo vi dico e ripeto: Lasciatela libera… Lei farà tutto questo a me e ai miei. (Maria Teresa Porcile Santiso, La donna spazio di salvezza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Aprile 2019ultima modifica: 2019-04-23T22:16:47+02:00da fraternidade
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