Giorno per giorno – 22 Aprile 2019

Carissimi,
“Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: Salute a voi. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28, 8-10). Prima di abbandonare il sepolcro, le due donne ci erano arrivate e il vangelo annota che “ci fu un gran terremoto” (Mt 28, 2). Che è quando ci crolla tutto intorno, o tutto dentro. Ed è lì che si situa l’apparizione dell’angelo che dice alle donne: Non abbiate paura. Gesù, il crocifisso, è risorto. Il crocifisso, che si è fatto carico e riassume tutte le nostre perdite, sofferenze e lutti, ora vive, e lo potremo reincontrare nelle Galilee in cui viviamo. La nostra Arcelina era, forse, una delle donne che si recarono al sepolcro, la terza, se vogliamo, non nominata. Lei, anni fa, aveva perso tragicamente il figlio ventenne, Pedro e, proprio come nel vangelo, quella morte aveva rappresentato uno sconvolgimento totale. Eppure, un qualche angelo, o lo stesso Gesù, dev’esserle apparso ad annunciarle la verità più vera di ogni vita, che è la risurrezione. Sicché, lasciata la sua città, la professione, le comodità e le vanità di una vita, ha raggiunto la Galilea di qui, dove Gesù aveva promesso che lei l’avrebbe incontrato (e non solo lui, ma, assieme a lui, in molti nuovi figli e figlie, anche il figlio, che pensava perduto). Questo, tra la gente semplice, umile, lavoratrice, buona e resistente, di questa periferia del mondo. Oggi, la nostra città ha deciso di omaggiare Arcelina con il titolo di cittadina vilaboense. Come lo era già nel cuore di noi tutti.

Oggi è il Secondo Giorno dell’Ottava Pasquale; i testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 2,14.22-32; Salmo 16; Vangelo di Matteo, cap. 28,8-15.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta le memorie di Engelbert Mveng, teologo e poeta camerunense, e di Ramprasad Sen, mistico indiano.

Engelbert Mveng era nato, il 9 maggio 1930, a Enem Nkal, nei pressi di Yaoundé (Camerun), da una famiglia presbiteriana, ma fu battezzato nella chiesa cattolica. Segnalatosi per la sua intelligenza, fece i suoi studi nel pre-seminario di Efok, poi nel seminario minore di Akono e infine in quello maggiore di Yaoundé. Avrebbe desiderato divenire monaco trappista, ma il vescovo Mons. Graffin lo convinse a scegliere i gesuiti. Entrò, così, nel 1951, nel noviziato della Compagnia di Gesù, a Djuma, nell’allora Congo Belga, per poi continuare gli studi di filosofia e teologia in Belgio e in Francia, al termine dei quali fu, il 7 settembre 1963, ordinato prete, divenendo così il primo gesuita camerunense. Tornato in patria, insegnò storia all’università di Yaoundé. Uomo di profonda fede e di grande cultura, Padre Mveng diede il suo contributo ad elaborare una teologia della liberazione africana. In una situazione in cui, “con la tratta dei negri prima e con la colonizzazione poi, i neri d’Africa sono stati privati della loro propria identità, della loro storia, cultura, lingua”, la testimonianza cristiana è chiamata a proporsi come affermazione delle forze della vita contro le forze della morte, dell’amore sull’odio, della libertà sull’oppressione. In questo senso, il cristiano non può che essere costantemente profeta ed un eterno contestatore. Oltre a lavorare alacremente nel Movimento degli intellettuali cristiani Africani e nell’Associazione Ecumenica dei Teologi africani, Mveng fu anche co-fondaore di una congregazione religiosa d’ispirazione africana: Le Beatitudini. Fu assassinato nella sua abitazione, sembra su mandato di forze governative, il 23 aprile 1995.

Ramprasad Sen era nato nel 1723 a Kumarhatti (oggi Halisahar), un villaggio sulle rive del Gange, a circa 34 miglia a nord di Calcutta, nella famiglia di Ramram Sen, medico ayurvedico e studioso di sanscrito. Particolarmente dotato e precoce, studiò e approfondì, oltre al sanscrito e al bengali, le lingue parsi e urdu, sotto la guida di un istitutore privato. Si sposò a ventidue anni con la giovane Sarvani che gli diede quattro figli. Per mantenere la famiglia, fu a lavorare come contabile nel negozio di un uomo d’affari a Calcutta. La tradizione dice che il suo datore di lavoro scoprì un giorno che scriveva poemi dedicati a Kali negli spazi bianchi dei libri contabili. Ammirato ed edificato dal loro contenuto, scelse di fare a meno di lui come semplice impiegato e lo lasciò a casa, garantendogli tuttavia un salario, affinché coltivasse la sua devozione alla Madre Divina e continuasse a scrivere poesie e canti in onore di colei che è, per lo shivaismo, la shakti di Shiva, l’energia divina attraverso cui il dio dispiega la sua protezione. Ma è anche rappresentazione della suprema realizzazione della verità, lo stato puro oltre ogni manifestazione, il simbolo del tempo eterno. Da allora il giovane Ramprasad si dedicò a tempo pieno alla meditazione e alla pratica spirituale. Visse con la sua famiglia una vita modesta e semplice, senza particolari agiatezze. Morì a ottant’anni, la mattina dopo aver offerto l’ultimo sacrificio alla Madre.

E, per stasera, è tutto. In ognuno di questi otto giorni della Festa, scegliamo di proporvi un testo di carattere pasquale. Così oggi, nel congedarci, vi offriamo in lettura una pagina di don Primo Mazzolari, tratta dal suo “Dietro la croce” (EDB)), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Si dice: fare la pasqua, il mistero pasquale, la novità. “Faccio la pasqua coi miei discepoli”. La pasqua è un’azione non circoscritta al fatto sacramentale: un’azione che ripete, nel limite dell’uomo, i misteri pasquali. Infatti, la liturgia non fa che parlare di misteri pasquali. Quale significato dà alla pasqua la parola “mistero”? Comunemente per mistero s’intende una verità rivelata che la nostra mente finita non può né potrà esaurire. Ma in religione la verità non è né può essere un concetto: è sempre un fatto, qualcosa non solo di reale, ma di vivente, perché la verità è Dio, il Vivente. Ora, nel mistero della pasqua, non è soltanto la resurrezione, cioè il fatto della resurrezione che non capisco; è soprattutto il Mistero di Vita nascosto (absconditus) nella risurrezione, che né io né tutti gli uomini potremo “esaurire”. Per questo, il mistero pasquale non si ripete, come non si ripete la primavera. Si ripetono le descrizioni della primavera, come si ripetono le “descrizioni concettuali” del mistero pasquale, come si ripete la memoria rituale della pasqua. La pasqua è la primavera, la “novità”, secondo l’inarrivabile e fecondissima parola della liturgia. La primavera è sempre la primavera: ma nessuno di coloro che pur l’hanno vista tante volte, dice: – Mi annoia: sempre la stessa. Sono sempre le stesse cose; eppure non sono le stesse cose: è sempre la primavera, ma non è la stessa primavera. È la manifestazione della stessa forza, ma non è la stessa manifestazione. C’è perennità e novità. Così la pasqua. È la vita perenne del Cristo nel suo momento più travolgente, ma una vita che ha manifestazioni nuove, che è “novità” ad ogni pasqua in ognuno di noi e nell’insieme del corpo mistico. La pasqua di quest’anno, la pasqua della chiesa come la mia pasqua, non può essere la stessa dell’anno trascorso. (Primo Mazzolari, Dietro la croce).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Aprile 2019ultima modifica: 2019-04-22T22:15:08+02:00da fraternidade
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