Giorno per giorno – 20 Aprile 2019

Carissimi,
da ieri sera, al centro del pavimento della chiesa del monastero, c’è solo una grande lastra di pietra, un lume e un fiore. Come dire che tutto è finito. O quasi, visto che noi ci si è ritrovati a più riprese, durante la giornata, a pregare. Cosa che, allora, per via del sabato, non poterono fare almeno le donne della cerchia di Gesù, dato che gli uomini erano tutti spariti. Quanto a speranza, tuttavia, forse, ce n’è più in noi, oggi, che sappiamo com’è finita (anzi, come da lì a poco tutto sarebbe ricominciato), di quanto potesse essercene, allora, in quanti sperimentavano quella morte come la parola fine di un sogno. Quella pietra, comunque, pesa ancora, e in ogni tempo, ogni volta che Dio, con la sua salvezza in tutte le sue forme, anche minime, viene messo a morte nei suoi figli che muoiono. E le tenebre si stendono sul mondo, su quello di casa, del Paese, o del pianeta intero, come a tratti ci sembra stia accadendo ai nostri giorni. C’era un tale che, alla fine dell’Ottocento, scriveva che le chiese sono la tomba di Dio. Qualunque cosa abbia inteso dire, forse, in qualche caso, lo sperimentiamo qui da noi, questo può essere vero, con chiese che soffocano l’evangelo, per affermarsi come cappellanie del bieco potente di turno. Ma, la speranza dei poveri non viene meno, come la fiammella del lume, accanto alla pietra, come il fiore che si erge nella sua bellezza a ricordarci che c’è, davanti a noi, domani. Il domani della risurrezione. Il domani cantato dal Magnificat.

La liturgia della Chiesa, che ha letture per ogni giorno dell’anno, non ne ha, dunque, per questo giorno: il Sabato Santo, la Pasqua dell’Attesa, o anche, la Pasqua della Discesa agli inferi. Solo il silenzio.

Nella Veglia Pasquale, la notte più grande di tutto l’anno liturgico (ma sarà già domani), i testi che saranno proclamati, sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.1,1 – 2,2; Libro dell’Esodo, cap.14,15 – 15,1; Profezia di Isaia, cap.54, 5-14; Salmo 30; Lettera ai Romani, cap.6, 3-11; Salmo 118; Vangelo di Marco, cap.16, 1-7.

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel, che celebrano oggi il primo giorno della Festa di Pesach.

Oggi è memoria di don Tonino Bello, pastore secondo il cuore di Dio e profeta di nonviolenza.

Antonio Bello era nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935. Entrato da ragazzo nel seminario di Ugento, fu ordinato sacerdote l’8 dicembre 1957 e, nel 1982, divenne Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Tutto il suo ministero episcopale fu al servizio dei poveri, dei senza-casa, dei disoccupati, degli immigrati e degli emarginati. Amò, annunciò e visse l’immagine della “Chiesa del grembiule”, condividendo con gli ultimi il sogno di un’umanità più giusta e fraterna e, più concretamente, lo stile di vita, spesso l’abitazione e la congrua che riceveva. Osteggiato o mal sopportato da quanti scambiano l’appartenenza alla Chiesa per un’opportunità di carriera o si legano ai potenti di turno attraverso la pratica di reciproci favori, seppe invece contagiare quanti incontrava con l’amore per la vita e per Cristo che in lui traspariva e con la coerenza e semplicità che testimoniava. Nominato nel 1985 Presidente nazionale di Pax Christi, si fece pellegrino di pace, ovunque ne vedesse la necessità, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti profetici di riconciliazione. L’ultimo fu quando, già visibilmente malato, partì con altri 500 pacifisti, di diverse nazioni, credenti e non credenti, il 7 Dicembre 1992, per Serajevo, ancora in guerra. Lì disse loro: “Vedete, noi siamo qui, allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva. […] Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà. […] Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”. Don Tonino morì a Molfetta il 20 aprile 1993.

Il 15 di Nissan – ci siamo entrati al tramonto di ieri sera – segna il primo degli otto giorni di Pesach, la Pasqua ebraica. Sappiamo il significato specifico che questa festa riveste per i nostri fratelli ebrei, ma siamo anche convinti che il suo simbolismo si offre alla comprensione e all’esperienza universale. La vocazione e il continuo effettivo passaggio alla libertà, intrinseci alla condizione umana, si può dare solo nella costante rimemorazione di ciò che ha significato e significa, nella vita di ogni popolo, l’esperienza della sua perdita e il peso dell’oppressione che ne consegue. La Pasqua, nel ricordarci l’amarezza di ogni schiavitù – personale e sociale – ci impegna in prima persona a rifiutarci a una storia basata sul privilegio di alcuni e l’esclusione di altri, per porre le condizioni e cominciare a creare un mondo guidato dall’accoglienza e dall’apertura del cuore.

È tutto, per stasera. E per via della giornata odierna, ci congediamo, offrendovi in lettura un testo di don Tonino Bello su “Maria donna del Sabato santo”. La prendiamo dal suo libro “Maria donna dei nostri giorno” (San Paolo) ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l’ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema. Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia. Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com’ è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare. Ripetici, insomma, che non c’è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c’è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell’alleluia pasquale. Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all’ incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull’erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d’amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d’un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi? Madre dolcissima, prepara anche noi all’ appuntamento con Lui. Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti. Perché qui le ore non passano mai. (Don Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Aprile 2019ultima modifica: 2019-04-20T22:13:43+02:00da fraternidade
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