Giorno per giorno – 17 Gennaio 2019

Carissimi,
“Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi! Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci! Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” (Mc 1, 40-42). Due trasgressioni della legge. Nientemeno che di Dio. Autorizzate, a questo punto, da Dio stesso, nella persona di suo Figlio. A cui non par vero di poter smentire quanto, lungo ogni tempo, i dottori della Legge, hanno attribuito alla volontà del Padre. Ed era invece solo la loro interpretazione, in buona fede o meno, a vantaggio della convivenza sociale o di qualche interesse più nascosto. Gesù avrebbe potuto accontentarsi della trasgressione del lebbroso, che non aveva mantenuto le debite distanze, e guarirlo così senza avvicinarsi troppo. Ma no, decide di toccarlo, per ripagarlo in qualche modo dell’isolamento a cui era stato condannato per chissà quano tempo (non per paura di un qualche contagio, ma per la punizione di un peccato che certo doveva aver commesso, secondo le credenze del tempo). Peccato o non peccato che il poveretto avesse commesso, c’è per Gesù una cosa più importante: la sua reintegrazione nel consesso umano, e la sua felicità. Peccato maggiore era semmai quello voluto dalla Legge: l’esclusione. Il lebbroso chiede: se tu vuoi, puoi guarirmi. Gesù risponde: Sì, lo voglio. La volontà di Dio non è qualunque cosa accada, ma sempre e solo il prendersi cura, l’accogliere, il toccare con mano la sofferenza dell’altro, il guarire, il liberare, il salvare. Il contrario di ciò che vediamo, ogni giorno di più, accadere. Che è il chiudere gli occhi, l’allontanare, l’erigere muri e barriere, il chiudere i porti, il lasciare annegare. Il farsi maledizione per la vita degli altri, invece che essere benedizione. Che Dio ci converta e, convertendoci, ci perdoni.

Oggi facciamo memoria di Antonio il Grande, patriarca del monachesimo, di Silvia Maribel Arriola, martire in El Salvador, di P. Tissa Balasuriya, teologo della liberazione e del dialogo interreligioso.

Nato nell’anno 250, a Come, in Egitto, a vent’anni Antonio, dopo aver letto nel Vangelo l’esortazione di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, poi vieni e seguimi, e avrai un tesoro nei cieli”, decise che valeva la pena di fidarsi e lo fece, letteralmente, abbandonando ogni cosa. Presto seguito da decine, poi centinaia di giovani e meno giovani, che intendevano esprimere così la loro radicale contestazione alla logica con cui il mondo era organizzato. Abitò per un tempo tra antiche tombe abbandonate, per poi ritirarsi sulle rive del Mar Rosso, dove visse fino a quando la morte lo colse nel 356, all’etá di 106 anni. La trasparenza della sua personalità, la coerenza della sua testimonianza richiamarono durante tutti gli anni della sua avventura nel deserto schiere di pellegrini di ogni ceto e condizione, desiderosi di essere confermati nella fede, consigliati o confortati.

Di Silvia Maribel Arriola non sappiamo molto. Il martirologio latino-americano dice che era una religiosa salvadoregna. Faceva parte di una comunità, nata dalle comunità di base del Salvador, approvata canonicamente da mons. Romero con il nome di “Religiose per il popolo”. Silvia fu per molti anni segretaria di mons. Romero, davanti al quale fece la sua professione religiosa. Amica di tutti, animatrice di comunità, scelse di accompagnare come infermiera le formazioni di resistenti del Fronte Farabundo Martí di Liberazione Nazionale. Cadde uccisa assieme ad altri compagni durante un incursione dell’esercito, il 17 gennaio 1981. Aveva solo trent’anni. La chiamavano la “donna del sorriso”. Di lei ci è rimasta la formula di consacrazione come religiosa: “Davanti ad una società che vive gli ideali del potere, dell’avere e del piacere, voglio essere segno di ciò che significa realmente AMARE; del fatto che Cristo è l’unico Signore della storia, che è presente in mezzo a noi ed è capace di generare un amore più forte degli istinti e della morte, più forte di tutti i poteri economici. Voglio vivere una vita di ricerca e di sequela del Cristo povero, casto e ubbidiente alla volontà del Padre, al fine di vivere solo per Lui e per la sua opera salvifica. Prometto di essere fedele al Signore: nella salute e nella malattia, nella giovinezza e nella vecchiaia, nella tranquillità e nella persecuzione, nelle gioie e nelle tristezze, nella sua incarnazione in mezzo ai più poveri, povera e solidale con loro nella loro lotta per la liberazione: partecipando della sua missione evangelizzatrice tra gli uomini, concentrando tutta la mia capacità affettiva in Lui e in tutti i fratelli, vivendo in una continua ricerca della volontà del Padre attraverso la sua Parola, nella sua Chiesa, e nei segni dei tempi tra i poveri”.

Tissa Balasuriya era nato il 29 agosto 1924 a Kahatagasdigiliya, nella provincia Centro-settentrionale dello Sri Lanka, nella famiglia di William e Victoria Balasuriya. Dopo essersi laureato brillantemente in Economia all’Università di Ceylon, era entrato, nell’agosto del 1945, nel noviziato dei Missionari Oblati di Maria. Ordinato prete nel 1949 a Roma, vi conseguì la licenza in filosofia e teologia, alla Pontificia Università Gregoriana, specializzandosi poi in Economia agricola a Oxford e in Teologia all’Università Cattolica di Parigi. Rientrato in patria nel 1953, contribuì alla fondazione, divenendone in seguito Rettore, dell’Aquinas University College, che lasciò nel 1971 per fondare il Centre For Society & Religion, il cui obiettivo era di contribuire all’integrale liberazione umana della popolazione del suo Paese. Nel 1975, aveva fondato l’Associazione ecumenica dei teologi del terzo mondo. Nel 1978, l’uscita del suo libro “Eucaristia e liberazione umana”lo fece entrare di diritto nel novero degli studiosi della teologia della liberazione. Nel 1990, la pubblicazione di un altro libro “Maria e Liberazione umana”, in cui rileggeva la figura di Maria di Nazareth fuori dagli schemi devozionali, gli procurò non pochi grattacapi, compresa una sorprendente scomunica, comminatagli nel 1996, dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Scomunica revocata tuttavia due anni dopo. Instancabile fu il suo contributo al dialogo tra le religioni, le generazioni e i generi. Il suo lavoro per la pace, la giustizia e i diritti umani conobbe unanime apprezzamento, nel suo Paese e all’estero. L’impegno di Balasuriya per la liberazione dei settori più emarginati ed oppressi dello Sri Lanka gli comportò spesso incomprensioni e amarezze, ma il suo amore per la giustizia e per la gente lo aiutò a proseguire imperterrito nella sua missione, sino alla morte, avvenuta a Colombo, il 17 gennaio 2013, a ottantanove anni di età, dopo una breve malattia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 3, 7-14; Salmo 95; Vangelo di Marco, cap.1,40-45.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. E noi ci congediamo, offrendovi in lettura un insegnamento di Antonio il Grande, tratto dalla “Vita di Antonio”, che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’intera vita dell’uomo è brevissima a paragone dei secoli futuri, tutto il nostro tempo è niente di fronte alla vita eterna. Ogni cosa nel mondo viene venduta secondo il suo prezzo e scambiata con altre cose di pari valore, ma la promessa della vita eterna si compra a un bassissimo prezzo. Sta scritto: Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore (Sal 89,10). Quand’anche avessimo perseverato nell’ascesi tutti gli ottanta o i cento anni, non regneremo per cento anni, ma, invece di cento anni, regneremo nei secoli dei secoli; dopo aver lottato sulla terra, non è sulla terra che otterremo l’eredità, ma riceveremo la promessa nei cieli e, deposto il corpo corruttibile, ne riceveremo uno incorruttibile. E così, figli miei, non scoraggiamoci e non pensiamo di dar prova di perseveranza o di fare grandi cose. Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi (Rm 8,18). Non crediamo, guardando al mondo, di aver rinunciato a grandi cose: la terra intera è piccolissima a confronto di tutto il cielo. Se anche fossimo padroni di tutta la terra e vi avessimo rinunciato, neppur questo sarebbe degno del regno dei cieli. (Vita di Antonio, 16, 4 – 17, 3)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Gennaio 2019ultima modifica: 2019-01-17T22:39:05+01:00da fraternidade
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