Giorno per giorno – 13 Settembre 2018

Carissimi,
“Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla” (Lc 6, 27-28. 32. 35). Così è Gesù. Così, dunque, è Dio, di cui Gesù è l’immagine visibile. Così, dovremmo essere noi, se vogliamo comportarci da figli di Dio. Stasera, a casa di dona Eva, dove si sono riunite due comunità, “Evangelho é Vida” e “São Domingo de Gusmão”, si riconosceva tutti, un po’ sconsolati, come si sia lontani dall’ideale proposto dal vangelo di oggi, e come, tuttavia, non sia possibile far finta di niente, fare come se questa parola non fosse stata detta, scritta e trasmessa (grazie alla Chiesa). Dato che, al centro della buona notizia di Gesù, c’è proprio questo, e solo questo, essere di Dio. Buona notizia, perché esorcizza ogni possibile paura in rapporto all’amore di Dio. Il quale ci ama comunque, per primo (cf 1Gv 4, 19), da sempre, quando eravamo (e continuiamo ad essere) peccatori, suoi nemici (cf Rm 5, 8. 10). Se non ci amasse così, incondizionatamente, potremmo rivolgere a lui il rimprovero: Ma se ami soltanto coloro che ti amano, che Dio sei, cos’è che ti distingue da un comune pagano, da un peccatore? Dunque, noi ci possiamo consegnare all’amore di Dio con un atteggiamento di totale libertà, senza soggiacere a nessun ricatto (come siamo abituati invece a fare ancora oggi noi nel tessere le nostre relazioni). E però, questo abbandonarci all’amore in piena libertà è ciò che finisce per perderci, nel senso che un amore del genere non può che conquistarci e alla fine (spesso, molto alla fine) convertirci a esso. Sicché potremo cominciare ogni volta, poco alla volta, a farne la modalità della nostra esperienza. Anche e soprattutto in tempi difficili come questi (che si preannunciano anche piú difficili), sotto il segno dell’odio, dell’intolleranza e della violenza. Esaltate anche in ambito cristiano. E che il buon Dio ci aiuti.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Giovanni Crisostomo, pastore, padre della Chiesa, amico dei poveri. Noi ricordiamo anche il pastore e vescovo luterano Helmut Frenz, coraggioso difensore dei diritti umani e della dignità degli oppressi.

Giovanni, soprannominato Crisostomo (bocca d’oro) per la sua eloquenza, nacque nell’anno 345, ad Antiochia (nell’attuale Turchia), in una famiglia di alti funzionari. A ventitre anni, chiese di ricevere il battesimo e nel 374 cominciò a condurre vita eremitica sui monti circostanti la sua città natale. Le cattive condizioni di salute lo costrinsero, nel 386, a tornare alla sua città, dove fu ordinato presbitero. Tornatosi famoso per la profondità della sua predicazione, nel 398, fu eletto patriarca di Costantinopoli. La sua testimonianza e la sua fermezza evangelica gli crearono molti e potenti nemici tra gli stessi ecclesiastici. Molte accuse furono sollevate contro di lui in uno pseudo-concilio e Giovanni fu condannato all’esilio. In mezzo alle sofferenze riuscì tuttavia a mantenere sempre la pace. I suoi nemici, non soddisfatti, lo esiliarono in un luogo ancora più lontano, Pitius, agli estremi confini dell’impero. Mori sulla via dell’esilio il 14 settembre del 407.

Helmut Frenz era nato, il 4 febbraio 1933, nella città di Allenstein, in Germania (oggi, Olsztyn, in Polonia), nella famiglia di un impiegato pubblico di convinta fede nazista (che sarebbe rimasto cocciutamente tale anche dopo la fine della guerra). A dieci anni, durante un bombardamento, perse un occhio, ma ne acquistò, poi, uno in più, interiore. Durante gli studi secondari, ebbe come professore di storia un ex-internato nei campi di concentramento, che lo aiutò nel suo processo di maturazione. Decise di studiare teologia e si iscrisse all’Università di Bonn, dove insegnavano teologi famosi di quella Bekennende Kirche (Chiesa Confessante), che si era coraggiosamente opposta alla dittatura nazista. Ordinato pastore nel 1959, per sei anni svolse il suo ministero in Germania. Poi si recò in Cile come pastore della Chiesa Evangelica Luterana di Concepción, dove si dedicò prevalentemente alla pastorale carceraria e all’accompagnamento della popolazione povera di Hualpencillo. Eletto vescovo nel 1970, si trasferì a Santiago, dove fondò l’organizzazione ecumenica “Diaconía”. Nel settembre 1973, dopo il sanguinoso golpe che portò al potere il generale Pinochet, fondò la Commissione Nazionale di Aiuto ai Rifugiati (CONAR), istituzione che permise a circa 7000 rifugiati stranieri di lasciare il Cile. Assieme al card. Raúl Silva Henríquez, fondò poi il Comitato di Difesa dei Diritti Umani. Nel 1974, in segno di riconoscimento per il suo lavoro umanitario, l’Alto Comissario delle Nazioni Unite lo insignì con la più alta onorificenza dell’Onu, la medaglia Friedjof Nanssen. Nel 1975, Frenz fondò la “Fundación de Ayuda Social de las Iglesias Cristianas” (Fasic), un’organizzazione a carattere ecumenico, tra le maggiori attuanti nel campo dei diritti umani. A causa di questo suo impegno, il 3 ottobre 1975, fu espulso dal Cile. Rientrato in Germania, per oltre dieci anni ricoprì la carica di Segretario esecutivo di Amnesty International, preoccupandosi specialmente di denunciare le violazioni dei diritti umani in Cile e dell’accoglienza ai rifugiati che arrivavano da questo Paese. Nel 2007 Frenz fece ritorno in Cile, dove, il 30 luglio, l’allora presidente, Michelle Bachelet, gli concesse la nazionalità cilena. È scomparso ad Amburgo, il 13 settembre 2011. Richiesto tempo fa di una sua definizione di fede, disse: “È avere la certezza di una forza maggiore che mi accompagna e che ha organizzato qualcosa di molto speciale per ciascuno di noi. Io sono convinto di avere un angelo custode. Non lo vedo, ma lo sento. A volte mi avverte di non poter volare così rapido come vorrei… Questo mi dà la certezza di essere nelle mani del mio Creatore”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Lettera ai Corinzi, cap.8, 1b-7.11-13; Salmo 139; Vangelo di Luca, cap.6,27-38.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

A partire da oggi e per dieci giorni l’India celebra Ganesha Chaturthi, ovvero la nascita di Shri Ganesh, una tra le rappresentazioni simboliche del Dio impersonale (Brahman) più popolari e venerate. Il figlio primogenito di Parvati, sposa di Shiva, è raffigurato con corpo umano e testa di elefante, con una zanna e quattro braccia, mentre cavalca un topo (simbolo dell’ego e della mente con i suoi desideri insaziati, che il dio è in grado di controllare e dominare). I fedeli ne fanno l’immagine della provvidenza divina, che rimuove ogni ostacolo e dona prosperità e fortuna.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano tratto dalla “Prima Omelia su Lazzaro”, dedicata da Giovanni Crisostomo alla riflesssione sulla parabola del ricco epulone. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ricchi e avari non sono altro che ladri di un certo tipo; anche loro si appostano lungo i sentieri battuti, spogliano i passanti, seppelliscono nei loro appartamenti, come nelle caverne o nelle fosse sotterranee, le fortune altrui. Che la loro attuale prosperità non vi porti a considerarli felici; chiamateli piuttosto infelici a causa del futuro, a causa del tremendo grande giudizio, delle pene inevitabili, delle tenebre esteriori che costituiranno la loro parte eterna. I ladri più di una volta sfuggono alle mani della giustizia terrena: noi lo sappiamo, eppure respingiamo energicamente lontano da noi, lontano persino dai nostri nemici, la loro vita e la loro esecrabile prosperità. Sotto il governo di Dio non è così; poiché nessuno sfugge alla sua infallibile sentenza; tutti coloro che vivono nella frode e nella rapina, tutti senza eccezioni, attireranno su se stessi questa immortale, infinita vendetta, che ha già colpito il ricco del Vangelo. Carissimi, riflettiamo su tutto questo, impariamo a stimare felici, non quelli che vivono nell’opulenza, ma coloro che praticano la virtù; a proclamare infelici, non quanti vivono nella povertà, ma coloro che si abbandonano all’ingiustizia. Non fermiamoci a contemplare il presente, fissiamo il nostro sguardo sul futuro; non esaminiamo il vestito, l’esterno di ciascuno, ma scrutiamo la coscienza; cerchiamo la virtù e la gioia che procurano le buone azioni […] Lazzaro ha dovuto sostenere non un solo assalto, né due, né tre; li ha sostenuti quasi tutti, povertà, malattia, incuria e abbandono di coloro che avrebbero dovuto aiutarlo; ha sofferto nella casa che avrebbe potuto liberarlo al meglio da tutti questi mali, senza che nessuno si sia degnato di concedergli la benché minima consolazione; ha visto colui che lo disprezzava godere di mille delizie e, nonostante una vita di iniquità, non essere esposto a nessun incidente spiacevole….; a tutte queste miserie che ho appena riassunto, aggiungo la cattiva opinione che il volgo aveva di lui; in breve, non è stato durante due o tre giorni, ma durante tutta la sua vita che si è visto in disgrazia, mentre il ricco possedeva la felicità. (Jean Chrysostome, Première homélie sur Lazare).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Settembre 2018ultima modifica: 2018-09-13T22:57:27+02:00da fraternidade
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