Giorno per giorno – 02 Giugno 2018

Carissimi,
“Mentre camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani gli dissero: Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle? Ma Gesù disse loro: Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi” (Mc 11, 27-30). “Queste cose” erano la cacciata dei mercanti dal tempio. Stasera, a casa di dona Delfina, ci chiedevamo cosa possano rappresentare il tempio e i suoi mercanti, per noi, oggi. E, certo, la prima risposta che è venuta alla bocca è stata il mercato che si fa intorno alle religioni. C’è però una religione che è piú invasiva di quelle che fino a qualche tempo fa rivendicavano la gestione del sacro, e il tempio in questione non sono più semplicemente templi, chiese e santuari delle diverse religioni, ma è la terra con le sue risorse e il corpo intero dell’umanità. E la religione è quella del mercato, o del capitale, con i suoi idoli, dogmi, leggi, sacrifici e i suoi sacerdoti, che provvedono a dilapidare quelle e a sfruttare questo a vantaggio di pochi. Ebbene, Gesù, oggi come allora, una volta tanto, impugna lo staffile e li caccia, una maniera per dire che Dio non ci sta. La domanda che solo tacitamente gli viene rivolta, anche oggi, da quanti, per convenienza, si mascherano magari da guardiani delle religioni tradizionali, è sempre con quale autorità si possa contestare questo ordine di cose. E Gesù risponde a sua volta con una domanda: che ne pensiamo noi del battesimo di conversione di Giovanni, o, anche più a ragione, di quello che abbiamo ricevuto in suo nome? Cosa ha rappresentato per noi l’essere battezzati, immersi, nella morte del Signore? È stato morire alla logica perversa del Sistema, per rinascere, risorgere alla dimensione del dono, della condivisione, della comunione solidale? O preferiamo evitare di rispondere, o rifugiarci in un generico “per diventare figli di Dio” (come se anche gli altri non lo fossero) o “per garantirci il paradiso” (come se gli altri ne fossero esclusi)? Noi, accettiamo l’autorità di Gesù, che ci libera da ogni schiavitù ed oppressione, o preferiamo restare schiavi in una tutto sommato comoda società dell’opulenza (finché dura)?

Il calendario ci porta oggi le memorie di Blandina e compagni, martiri in Gallia, di Jacques de Jesus, carmelitano, martire sotto la dittatura nazista, e di Giulio Facibeni, prete per gli altri.

Il documento conosciuto come Atti dei Martiri di Lione è una lettera che le Chiese di Lione e di Vienne inviarono a quelle d’Asia e Frigia, con il resoconto delle persecuzioni scatenate contro i cristiani negli anni 177 e 178. Il tutto era stato originato da un pogroom anticristiano, a cui il magistrato rispose con un’azione giudiziaria generalizzata. Contro le vittime, naturalmente, non contro gli aggressori. Blandina era una schiava che faceva parte del gruppo capeggiato dal vescovo Potino ed era stata arrestata assieme alla sua padrona. Condotta inizialmente nell’anfiteatro e appesa ad una croce, aveva pregato ad alta voce e le fiere l’aveva risparmiata. Successivamente, fu costretta ad assistere alla morte atroce dei suoi compagni, mentre lei superava il tormento della graticola ardente. Infine, rimasta sola, fu lasciata in balia della furia di un toro, che colpendola con le corna, la lanciò più volte in aria. Fu finita con la spada.

Lucien Louis Bunol nacque a Barentin (Francia), quarto di otto figli della famiglia di Zoé Pauline Pontif e Alfred Joseph Bunol. Seguendo la chiamata al sacerdozio, entrò a dodici anni entrò nel seminario minore di Rouen. L’11 luglio 1925 fu ordinato prete. Dopo aver insegnato per alcuni anni, sentendosi attratto dalla vita contemplativa, prese contatto, nel 1927, con il Carmelo di Havre e cominciò ad insistere con il suo vescovo perché gli permettesse di lasciare la diocesi per entrare nel Carmelo. Il che avvenne il 28 agosto 1931. Un anno più tardi emise i suoi primi voti, assumendo il nome di Jacques de Jesus. Nel 1934 il Consiglio Provinciale dell’Ordine gli affidò la direzione di un collegio fondato a Avon e il frate ci si dedicò anima e corpo. Il 3 settembre 1939 la Francia entrò in guerra e anche padre Jacques fu inviato al fronte. Fatto prigioniero il 18 giugno 1940, fu liberato a novembre. Nel gennaio del 41 la scuola riaprì. Nel 1943, d’accordo con i suoi superiori, accolse e nascose in collegio tre ragazzini ebrei per salvarli dalla deportazione ed entrò in contatto con la Resistenza per offrire una via di scampo a quanti fuggivano dalla deportazione dei civili decisa da Hitler per fornire mano d’opera schiava all’industria di guerra tedesca. Il 15 gennaio, in seguito ad una spiata, padre Jacques fu arrestato assieme ai tre ragazzi ebrei dalla Gestapo. (Le circostanze saranno narrate nel film di Louis Malle, Au revoir, les enfants). Rinchiuso nella prigione di Fontainebleau, fu trasferito qualche mese più tardi a Compiègne, poi nel campo di rappresaglia di Sarrebrück, infine a Mauthausen et a Gusen, ovunque esercitando nascostamente il suo apostolato. Il 5 maggio 1945, il campo di Gusen fu liberato dagli americani. Trasferito all’ospedale di Linz, in Austria, padre Jacques si spense dolcemente. Le sue ultime parole furono: “Negli ultimi momenti, lasciatemi solo”. Era il 2 giugno 1945. Nel memoriale di Yad Vashem, a Gerusalemme, Jacques Bunol è onorato dagli ebrei come “Giusto tra le nazioni”.

Giulio Facibeni era nato a Galeata, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1884, in una famiglia poverissima di risorse, ma ricca di figli, ed era cresciuto, per dirla con le sue parole “con l’ansia degli studi e dell’impossibilità di compierli”. Dopo il liceo, nel 1904, si spostò a Firenze, dove s’iscrisse alla Facoltà di Lettere, lavorando nel contempo come assistente nel semiconvitto delle Scuole Pie fiorentine, per mantenersi agli studi. Fu qui che maturò la sua vocazione a prete. Ordinato nel 1907, per cinque anni si dedicò all’azione pastorale tra le figlie dei carcerati, nelle scuole parrocchiali serali e fra gli studenti medi. Nel 1912 fu mandato nella popolosa parrocchia di S. Stefano in Pane, nella zona industriale di Rifredi. Lasciò così l’insegnamento, decidendo anche di rinunciare alla laurea, ormai prossima, per dedicarsi anima e corpo al nuovo campo di apostolato. A Rifredi, nel primo dopoguerra creò l’Opera della divina Provvidenza Madonnina del Grappa: “una famiglia per chi non ha famiglia”, come diceva lui. Si trattava degli orfani che la guerra, l’inutile strage, aveva lasciato dietro di sé. Seppe amare quei ragazzi come un vero padre. Altre opere sarebbero seguite negli anni successivi. Durante la Seconda Guerra Mondiale profuse il suo impegno per salvare gli ebrei, vittime delle leggi razziste emanate dal regime fascista. Nel 1948, fu colpito dal morbo di Parkinson, che lo rese, per gli ultimi dieci anni di vita, sempre più dipendente dagli altri. Morì a Rifredi il 2 giugno 1958. Aperto, sulla sua scrivania, aveva il libro Esperienze Pastorali di don Lorenzo Milani, a cui aveva promesso una recensione ampiamente favorevole. Ma potè presentarla solamente lassù.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giuda, cap. 1, 17. 20-25; Salmo 63; Vangelo di Marco, cap. 11, 27-33.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di don Giulio Facibeni, tratta dal suo libro “Scritti” (LEF). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Davanti ai paurosi abissi della miseria e della colpa molti ritraggono lo sguardo disgustato o irritato. Le sommesse implorazioni che si elevano dai gorghi melmosi rimangono senza eco. La società che non ha saputo o non ha voluto difendere l’innocenza o rialzare il caduto, è rigida ed inesorabile nella sua condanna e nella sua diffidenza. Quante anime, spinte alla colpa da funeste condizioni di ambiente o da momentanea debolezza, anelano risorgere: non trovano che freddezza, incomprensione, disprezzo. Il fariseismo, mascherato spesso da falsa pietà, si pavoneggia ancora quale osservatore di giustizia, ed irride l’umile pubblicano. Se sapessimo scrutare le profondità dell’anima nostra, come accoglieremmo l’ammonimento di san Paolo: “Colui che sta in piedi, stia attento a non cadere”, e quello di san Giovanni: “Se qualcuno si crede senza peccato è un mentitore e inganna se stesso” (Don Giulio Facibeni, Scritti).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-02T22:59:44+02:00da fraternidade
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