Giorno per giorno – 27 Maggio 2018

Carissimi,
“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20). Più che “ammaestrate”, che é proprio dei maestri (ciò che non si può essere noi), il verbo greco del testo originale (mathetai) significa “fate discepoli” (dell’unico Maestro) tutti i popoli. E come potremo fare discepoli gli altri, se anche noi, come alcuni di quegli undici presenti al commiato di Gesù (cf v. 17), dubitiamo? Ma, cerchiamo di intenderci: dubitavano, e dubitiamo noi, di che cosa? Che egli fosse davvero risorto e che ascendesse al Padre, per quanto riguarda loro. Ma, cosa significa questo per noi? Ce lo chiedevamo giovedì sera, a casa di dona Barbara, dove la comunità si è riunita per preparare il vangelo di questa festa. Per loro o per noi, in realtà, il significato non cambia: Gesù che risorge significa che il suo insegnamento, la sua testimonianza, la Buona Notizia, che è Lui, dell’amore indefettibile del Padre, non resta confinata nel tempo, nell’arco della sua esistenza umana, ma dura per sempre, perché ha ricevuto il suggello di Dio. Di questa fede, di cui a volte siamo portati umanamente a dubitare, egli ci chiama ostinatamente ad essere testimoni nei confronti di tutti, mostrando loro, nel nostro farci incontro da fratelli, superando, perciò, quand’anche con fatica, ogni forma di sospetto, diffidenza, chiusura, pregiudizio, inimicizia, la verità dell’amore del Padre. Battezzandoli, così, cioè, immergendoli, non tanto nell’acqua, ma nella realtà di quell’amore trinitario, che unisce nello Spirito, il Padre comune al Figlio, che riassume in sé tutta l’umanità e l’intero creato. Se noi escludiamo anche solo qualcuno, neghiamo la Trinità e insieme ci escludiamo dalla presenza viva di Gesù, che, solo nell’osservanza dell’amore che ci ha comandato, ci ha assicurato di stare con noi “ogni giorno, fino alla fine del mondo”.

Oggi, prima domenica dopo Pentecoste, si celebra la Solennità della Santissima Trinità, che per noi è la prima e la migliore comunità. Benché ad essa sia rivolto ogni culto e diretta ogni preghiera nella Chiesa, a partire dal 1334 fu deciso di istituire una festa specifica, dedicata alla contemplazione e all’esaltazione del mistero divino così come trova espressione nella fede cristiana.

I testi che la liturgia di questa Solennità propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.4,32-34.39-40; Salmo 33; Lettera ai Romani, cap.8, 14-17; Vangelo di Matteo, cap.28, 16-20.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

Oggi è memoria di Agostino di Canterbury, missionario e pastore, di Giovanni Calvino, riformatore della Chiesa, di padre Enrique Pereira Neto, martire in Brasile, e di Segundo Galilea, testimone della radicalità del Vangelo.

Di Agostino sappiamo che era priore del monastero benedettino di Sant’Andrea al Celio di Roma e che, nel 596, fu inviato dal papa Gregorio Magno a evangelizzare l’Inghilterra, con altri quaranta monaci. Quando la comitiva, durante il viaggio, venne a conoscenza della bellicosità dei sassoni, Agostino pensò: è più prudente rinunciare. E, di fatto, tornó a Roma, dicendo al Papa che non era il caso. Ma, inutilmente. Imbarcatisi nuovamente e giunti a destinazione, i timorosi evangelizzatori scoprirono la missione più facile del previsto. La sposa del re, la cattolica Berta, aveva ammansito il cuore del re Etelberto, che si convertì e chiese il battesimo insieme a molti dei suoi sudditi. Eletto arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra, Agostino organizzò la nuova giurisdizione ecclesiastica. Contribuì alla diffusione del canto gregoriano in Inghilterra. Morì il 26 maggio 604, ma la sua memoria, nella chiesa cattolica, è celebrata oggi.

Giovanni Calvino (il suo nome in realtà è Jean Cauvin), era nato a Noyon, in Picardia il 10 luglio 1509, da Gérard e Jeanne Le Franc. Il padre, finanziere e uomo di legge, curava gli affari del vescovo locale e sembra che ne seppe quanto basta per divenire anticlericale e morire in seguito scomunicato. Giovanni, che era stato mandato a Parigi per studiarvi teologia, preferì Diritto e si recò a Orleans, dedicandosi poi agli studi umanistici. Intorno al 1532 aderì alla Riforma di Lutero e, dopo essersi dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia, nel 1536 pubblicò la prima edizione de L’Istituzione della religione cristiana, in cui espose i principi della sua teologia. Passando da Ginevra, venne invitato da Guillaume Farel a prestare assistenza ai simpatizzanti della Riforma. Ed egli dotò la chiesa ginevrina di un ordinamento giuridico e di una disciplina del culto e redasse per essa un Catechismo e una Confessione di Fede. La sua azione non fu esente da atteggiamenti intolleranti, com’era piuttosto comune a quei tempi. Temporaneamente bandito da Ginevra, sposò Idelette de Bure, vedova di un anabattista, e scrisse numerosi commenti alla Bibbia. Nel 1541 rientrò a Ginevra, organizzando negli anni successivi la vita religiosa, sociale e politica della città elvetica. È forse interessante notare che Calvino, al contrario di Lutero, riteneva doveroso rovesciare lo Stato che coprisse l’ingiustizia con il manto del legittimismo. Sulla sua scia, la Confessione Scozzese del 1560, di chiara ispirazione calvinista, classificherà tra le opere giudicate buone da Dio la resistenza alla tirannia e la difesa degli oppressi. Calvino morì il 27 maggio 1564. Prima di spirare disse: “Signore tu mi schiacci, ma a me basta che sia la tua mano a farlo!”.

P. Enrique Pereira Neto era coordinatore della Pastorale dell’Archidiocesi di Olinda e Recife, stretto collaboratore di dom Helder Câmara. Per aver denunciato ripetutamente e apertamente il sistema repressivo del governo militare, cominciò a ricevere minacce di morte, finché il 26 maggio 1969 fu sequestrato dalla polizia. Il suo corpo fu ritrovato il giorno seguente, appeso ad un albero, a testa in giù, con segni evidenti di tortura: lividi e bruciature di sigarette, tagli profondi in tutto il corpo, castrazione e due ferite di arma da fuoco. Aveva 28 anni ed era prete da tre anni e mezzo. I funerali furono presieduti dall’arcivescovo di Recife nella chiesa matrice del bairro Espinheiro. Poi, migliaia di persone seguirono a piedi la bara portata a braccia fino al cimitero di Várzea, a dieci chilometri di distanza dalla chiesa.

Segundo Galilea era nato a Santiago del Cile il 3 aprile 1928. Fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1956. All’inizio degli anni ’60 collaborò alla preparazione di missionari nel Centro Intercultural de Formación (C.I.F.), fondato da Ivan Illich, a Cuernavaca (Messico). Il Consiglio Episcopale Latino-Americano lo volle poi direttore dell’Istituto Pastorale Latino-Americano, con l’incarico di far conoscere e approfondire gi insegnamenti del Concilio Vaticano II. Viaggiò instancabilmente in tutta l’America Latina, impegnato a proporre riflessioni, ritiri e esercizi spirituali. Successivamente, per conto delle Pontificie Opere Missionarie organizzò, con altri sacerdoti, un istituto destinato alla formazione di missionari per l’estero. Compì numerosi viaggi nelle Filippine e in Corea del Sud; negli Stati Uniti lavorò con numerose comunità di immigrati. Membro della fraternità sacerdotale di Charles de Foucauld, fu esponente della Teologia e della Spiritualità della liberazione. In coerenza con la scelta dei poveri, visse sempre con grande semplicità e povertà, alla sequela appassionata di Gesù povero e obbediente. Quanto ricavava dai diritti d’autore e dalle sue attività, lo donava alla sua archidiocesi perché finanziasse ritiri spirituali nelle aree più povere del Paese. Nel 2000 partì per Cuba, dove gli fu affidato l’incarico di direttore spirituale nel seminario di San Carlos. Di questa esperienza ebbe a dire: “A Cuba si lavora con pochi mezzi, pochi sacerdoti e religiosi, ma si impara a vivere il meglio della vita, a vivere il tutto e il poco, a valorizzare l’essenziale”. Ritornato in patria per motivi di salute, visse i suoi ultimi anni a Santiago del Cile, occupando una cameretta nel locale seminario, fino alla sua morte, avvenuta il 27 maggio 2008. Aveva detto un giorno: “Se vogliamo una Chiesa più missionaria, più coerente e più testimoniale, più partecipativa nella comunione, significa che vogliamo una Chiesa più spirituale, più orante e più contemplativa, ossia, più bella”.

Bene, oggi, compie un anno in più la nostra amica Maria Pia di Spello, che con le sue novantadue primavere è certo la decana dei nostri corrispondenti e amici, sempre carinissima e pronta nel dare riscontro a queste nostre chiacchierate a distanza. Anche in questa occasione non le abbiamo fatto mancare le nostre preghiere beneauguranti. Come siamo certi non le mancheranno le vostre. AD MULTOS ANOS, Maria Pia!

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla solennità odierna, con la circolarità indefettibile di amore che essa ci ricorda e significa, vi offriamo in lettura un brano di Dietrich Bohoeffer, tratto da una predica, tenuta la III domenica dopo l’Epifania, il 21 gennaio 1938. La troviamo in “Memoria e fedeltà” (Edizioni Qiqajon), una antologia di suoi testi inediti ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ecco che un vicino, o qualcun altro, continua a dir male di me, mi oltraggia, è manifestamente ingiusto con me, mi tormenta e mi molesta appena può. Mi basta vederlo, e il sangue mi va alla testa, mi prende un’ira violenta. È il Nemico a provocare in noi simili reazioni. Ma questo è il momento di stare in guardia. È il momento in cui dobbiamo ricordarci prontamente: “Mi è stata usata misericordia”, non dagli uomini, ma da Dio stesso, e per costui Gesù Cristo è morto. Ed ecco che improvvisamente tutto cambia. Udiamo allora una voce che ci dice: “Non rendete a nessuno male per male”. Non alzare la mano su di lui, non lasciare parlare la collera, calmati. Che danno ti può recare colui che ti fa del male? Non è a te che reca danno, bensì a se stesso. Soffrire ingiustamente non reca danno a un cristiano. Ma commettere ingiustizia, questo sì reca danno. Una sola cosa vuole ottenere da te il maligno, che anche tu diventi malvagio. Se l’ottiene, ha vinto davvero. Perciò, non rendere a nsesuno male per male. Facendolo, non danneggeresti l’altro, ma te stesso. Non sei tu ad essere in pericolo, quando ti si fa del male: è l’altro che è in pericolo, colui che ti fa del male; e se tu non lo soccorri, egli è nella morte. Perciò, a motivo dell’altro e della responsabilità che hai verso di lui, non rendere a nessuno male per male. Forse che Dio ti ha ripagato con il male? “Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini… vivete in pace con tutti”. Davanti a tutti gli uomini, con ciascuno. Non si danno eccezioni. Non si tratta di compiere il bene soltanto nei confronti dei giusti, ma anche nei confronti degli ingiusti. Non dobbiamo essere uomini di pace solo con gli uomini di pace, dobbiamo esserlo anche con coloro che non vogliono lasciarci vivere in pace. Il contrario lo fanno anche i pagani. Ma Gesù Cristo non è morto per i giusti e per gli operatori di pace, bensì per i peccatori e i nemici, per gli ingiusti, per chi porta odio, per chi uccide. A dar retta al nostro onore, vorremmo stare solo con gli amici, con i giusti, con gli onesti. Ma Gesù Cristo stava in mezzo ai suoi nemici. Proprio là voleva essere. Ed è là che anche noi dobbiamo essere. È questo che ci distingue da tutte le altre dottrine e religioni. (Dietrich Bonhoeffer, Memoria e fedeltà).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Maggio 2018ultima modifica: 2018-05-27T22:10:01+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo