Giorno per giorno – 26 Febbraio 2018

Carissimi,
“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato. date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 36-38). Pagina ardua e per molti versi inquietante, dato che ci conosciamo bene e sappiamo quanto ci risulti impossibile essere misericordiosi (che è avere cuore di madre) se non con quelli, e sono pochi, che riteniamo meritarlo, e non giudicare ad ogni passo e perdonare in ogni situazione e dare sempre generosamente a larghe mani. E, allora, ci dicevamo stasera, Dio, il tutto misericordia e compassione, finirà per giudicarci con i nostri meschini criteri di comportarci? No, non è così. In realtà Egli vuole salvarci da noi stessi, dalla nostra mancanza di misericordia, dal giudizio, dalla condanna e dalla grettezza da cui ci lasciamo così spesso guidare e che finiremo per rivolgere alla fine contro di noi, quando scopriremo disperati di aver tradito la nostra natura e vocazione, che ci chiedeva di salvare il mondo, non di giudicarlo e condannarlo. La vergogna che proveremo in quel momento, che può essere ogni momento, o solo quello finale, sarà il nostro inferno, del peso infinito di milioni di anni, da cui ci salverà una volta di più il Povero, e con Lui i poveri, con il loro perdono. Noi, però, che conosciamo il Vangelo, potremmo cominciare, pur senza presumere di strafare, a fare le prove del nostro essere della natura di Dio. La Quaresima vorrebbe convincerci di questo.

Oggi è memoria di due vescovi e un prete: Antonio de Valdivieso, pastore e martire dell’Evangelo del Regno, in Nicaragua; José Alberto Llaguno, “Pepe”, vescovo inculturato degli indigeni Tarahumara, in Messico; e Giulio Girardi, filosofo e teologo della solidarietà internazionale.

Nato a Villa Hermosa in Spagna, da Antonio de Valdivieso e Catalina Álvarez Calvente, attratto dalla vita religiosa, il giovane Antonio era entrato nel convento domenicano di San Paolo a Burgos, dove aveva studiato, emesso i voti religiosi ed era stato ordinato sacerdote. Inviato in America, passò qualche anno come missionario a Santo Domingo, poi fu inviato in Messico e assegnato alla provincia del Nicaragua, dove si distinse per l’azione in favore della libertà e dignità delle popolazioni indigene. Nominato vescovo di Leon, il 29 febbraio 1544, ricevette la consacrazione dalle mani del profetico Bartolomé de Las Casas, il successivo 8 novembre. Non sarebbe durato molto. Le esortazioni, le pubbliche denunce e le lettere inviate al re Carlo V per invitarlo a por fine agli arbitri e ai maltrattamenti crudeli degli indigeni da parte dei conquistadores, gli attirarono ogni giorno di più l’odio dei connazionali. I più accaniti nemici del vescovo erano i fratelli Hernando e Pedro de Contreras, figli di Rodrigo de Contreras, già governatore del Nicaragua, il cui allontanamento dall’incarico essi addebitavano alle severe denunce di Valdivieso. Raggiunti da un provvedimento di scomunica, i due fratelli, dando ascolto ai suggerimenti di un mestatore, tal Juan Bermejo, ai consigli della loro stessa madre, dona Maria de Peñalosa, nonché di un frate apostata dell’Ordine, Pedro de Castañeda, si recarono, accompagnati da alcuni soldati, alla residenza del vescovo. Trovatolo a colloquio con un frate domenicano e un altro sacerdote, lo accerchiarono e, gettandoglisi addosso, lo pugnalarono a morte. Sopraggiunse la madre, richiamata dal clamore e prese il figlio morente tra le braccia. Antonio ebbe il tempo di recitare il Credo, poi additando il Crocifisso, disse: Affido la mia Chiesa a questo Signore: so che la governerà bene. Aggiunse qualche parola di perdono per i suoi assassini e spirò. Era il 26 febbraio 1550. Gli aggressori saccheggiarono la casa, poi uscirono in piazza gridando: “Libertà” e “Viva il principe Contreras”, dando inizio ad un golpe che durò venti giorni e che finì con la morte dei sediziosi.

José Alberto Llaguno era nato a Monterrey (Nuevo Léon, Messico) il 7 agosto 1925. A 18 anni entrò nella Compagnia di Gesù. Durante la sua formazione trascorse due anni nella regione abitata dagli indigeni rarámuris (o tarahumaras), di cui in seguito sarebbe divenuto vescovo. Ordinato prete nel 1956 e conclusi i suoi studi a Roma, tornò a La Tarahumara, da cui non si sarebbe più allontanato. Lì, gli furono affidate diverse mansioni e ministeri, fino alla sua ordinazione episcopale nel 1975. “Pepe”, come lo chiamavano, entrò nell’anima e nell’universo degli indigeni e la sua preoccupazione maggiore fu da subito quella che esprimerà anche nella sua ultima lettera prima di morire: “Dobbiamo vivere più pienamente, con maggior generosità e dedizione la nostra opzione per i poveri, per le loro culture, per una Chiesa autoctona, in cui l’indigeno, l’emarginato sia davvero suo membro attivo”. Un’opzione che egli cercò di concretizzare incontrando sistematicamente tutte le comunità. Come presidente della Commissione Episcopale per gli Indigeni e come membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani, denunciò torture e omicidi di indigeni e contadini da parte della polizia. Sempre appoggiò un’evangelizzazione inculturata, a partire dalla realtà di La Tarahumara: “un altro mondo” geografico, culturale e ecclesiale, ma pur sempre nella prospettiva della Chiesa messicana e latinoamericana. La sua impronta pastorale e il suo pensiero trovarono ulteriore espressione a Puebla, durante la III Assemblea del CELAM, come responsabile della redazione finale del capitolo sulla “opzione preferenziale per i poveri”. Ammalatosi di cancro, quando seppe dello stato terminale della sua malattia, chiese di essere ricoverato e di morire nel piccolo ospedale di La Tarahumara, dove venivano ricoverati gli indigeni. Morì il 26 febbraio 1992. I suoi funerali, all’aperto, nella splendida cornice delle cime innevate, furono accompagnati dalle danze e dai cori del rituale indigeno.

Giulio Girardi era nato a Il Cairo, da padre italiano e da madre siro-libanese, il 23 febbraio 1926. La sua prima infanzia si svolse tra Parigi, poi, in seguito alla separazione dei genitori, visse con la madre e la sorella, dapprima, a Beirut, poi ad Alessandria d’Egitto, dove frequentò la scuola dai salesiani. Qui maturò la sua vocazione religiosa, che lo portò ad entrare, nel 1939, nell’aspirantato salesiano a Mirabello Monferrato, per proseguire poi tutto il corso degli studi filosofici e teologici, fino all’ordinazione sacerdotale nel 1955, quando era ormai già professore alla Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo Salesiano, prima a Torino e, dal 1958, a Roma. Dal 1962 gli fu chiesto di coordinare la compilazione dell’enciclopedia internazionale “L’ateismo contemporaneo”; nel frattempo, chiamato come perito al Concilio Vaticano II, collaborò all’ideazione e alla stesura dello Schema XIII, confluito poi nella Costituzione apostolica pastorale Gaudium et Spes, uno dei documenti più significativi dello stesso Concilio. Nel 1966 pubblicò quello che doveva diventare il suo lavoro più noto: “Marxismo e Cristianesimo”. Nel clima di radicalizzazione delle posizioni e di progressiva restaurazione che conobbe il dopo-Concilio, dopo l’estromissione dalla sua congregazione e la sospensione a divinis (1977), Girardi seppe nondimeno, nella fedeltà al Vangelo, mantenersi in costante dialogo con le realtà di base della Chiesa, e in ascolto attento dei molti, che, in situazioni diversissime, vivevano e vivono l’esperienza dell’oppressione, dello sfruttamento e dell’emarginazione, dalla prospettiva e con gli strumenti che gli erano più congegnali. Qui a Goiás, era passato nel 2000, nell’ambito degli incontri del movimento di spiritualità macroecumenica “Assemblea del Popolo di Dio”. Ebbe a scrivere: “Oggi c’è una dominante ‘cultura del realismo’ che il più delle volte sfocia in quella del fatalismo e della rassegnazione. Tra certezze assolute e disperazione c’è una terza strada: quella della scommessa, del rischio, dell’aprirsi un varco, del puntare su ipotesi che si ritengono giuste”. È un po’ il suo lascito spirituale. Colpito da un ictus cerebrale nel 2006, morì a Rocca di Papa, il 26 febbraio 2012, memoria del martirio del vescovo Antonio Valdivieso. Del Centro ecumenico a lui intestato, Girardi, appassionato del Nicaragua uscito dalla rivoluzione sandinista, aveva fatto a lungo la sua seconda casa.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Daniele, cap.9, 4b-10; Salmo 79; Vangelo di Luca, cap.6, 36-38.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Si è spento oggi a Goiânia, all’età di 79 anni, P. José Dall’Asta, vittima di dengue emorragica. Ordinato prete l’8 ottobre 1961, era partito nove anni più tardi, con destinazione Goiânia, qui da noi, in Brasile. Per quasi mezzo secolo, si è sempre schierato a fianco di quegli ultimi che, con quanti l’hanno conosciuto, hanno nei giorni scorsi pregato e sperato fino all’ultimo che uscisse vincitore anche da questa prova. Dio ha voluto accoglierlo nel suo riposo.

E, per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura una citazione di Giulio Girardi, tratta dal suo scritto “Il macroecumenismo e la costruzione della pace”, che troviamo nel sito del SICSAL “Oscar Arnulfo Romero’. E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Dio nel quale crediamo oggi è più grande del cristianesimo. La sua verità è più ricca della Bibbia. Per rivelarsi al mondo, egli non ha un solo cammino, ma infiniti, nessuno dei quali è esclusivo o privilegiato; nessuno dei quali esaurisce l’infinita ricchezza del suo amore. Il vangelo di Gesù tornerà ad essere una buona notizia solo se non pretenderà di essere l’unico messaggero dell’Amore, riconoscendo che Dio è più grande. “Dio è più grande” potrebbe essere uno dei nostri motti macroecumenici. Da questa nuova prospettiva sorge in noi il desiderio di esplorare le altre strade delle manifestazioni di Dio nel mondo, di contemplare i volti di Dio che non conosciamo, di scoprire altre forme della sua presenza amorosa e liberatrice nella storia. Ci incoraggia in questa nuova ricerca di Dio la parola di Gesù alla samaritana: “Credimi, donna, giunge l’ora, ci troviamo già in essa, in cui voi adorerete il Padre senza dover venire al monte Guerizim né andare a Gerusalemme… Viene l’ora, ed è quella che viviamo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità… Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4, 21-24) Così la preoccupazione per l’egemonia del cristianesimo cederà il passo alla preoccupazione per l’egemonia di Dio: del Dio Amore Liberatore di tutti i nomi. (Giulio Girardi, Il macroecumenismo e la costruzione della pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Febbraio 2018ultima modifica: 2018-02-26T22:40:29+01:00da fraternidade
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