Giorno per giorno – 17 Settembre 2017

Carissimi,
“Il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto” (Mt 18, 32-34). E fin qui va bene, è più che giustificato. Quel signore aveva condonato al suo funzionario un debito pari al bilancio del nostro Stato di Goiás, e questi non aveva saputo condonare all’altro il valore di poche giornate lavorative. In tempi come questi in cui, gran parte della nostra classe politica, a partire dall’attuale illegitimo presidente, il ceto imprenditoriale, il mondo della finanza, e (ahinoi) persino la magistratura nelle sue supreme espressioni, sono al centro di denunce (supportate da prove) di corruzione per valori che noi si avrebbe difficoltà anche solo a trascrivere, e, salvo qualche eccezione, si autocondonano il tutto, mentre i ladri di galline vengono lasciati marcire dimenticati, in condizioni disumane nelle patrie galere, uno sarebbe portato a dire: ben venga il giudizio di chi può liberare questi e rinchiudere finalmente quelli “finché non abbiano restituito fino all’ultimo centesimo” alle casse dello Stato. Il fatto è che Gesù aggiunge come conclusione della parabola, in risposta al povero Pietro che aveva azzardato a chiedergli quante volte dovesse perdonare al fratello in colpa con lui: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello” (v. 35). Il che non ha mancato di scandalizzare alcuni di quanti partecipavano stamattina all’Eucaristia in monastero, cui ha dato voce Davi, che fa: ma allora neanche il Signore perdona! C’è da dire che in ballo non c’era un’offesa al Signore, ma a un poveraccio. Come a dire che il mancato condono ad uno che ti è debitore e non ti può pagare è assai peggio di una bestemmia (abitudine che qui per altro non esiste) o di un sacrilegio. Negli ultimi anni, da noi, si parla spesso del debito maturato nei confronti della popolazione nera, degli indios, e, più in generale, degli impoveriti delle nostre periferie e delle aree depresse del Paese. Un debito, su cui la società ha costruito la propria ricchezza e che si ostina a non pagare. In certo modo, la stessa cosa vale a livello mondiale, mettendo in scena il Nord e il Sud del mondo. Allora possiamo dire in primo luogo che la parabola esprime un giudizio severo di Dio (e/o della Storia) sulle nostre istituzioni ed economie, che per vedersi condonato l’enorme debito accumulato (non a caso si parla, nel caso del primo funzionario, di un valore spropositato), devono cominciare a fare giustizia, condonando il piccolo debito (in realtà restituendo una parte del maltolto), offrendo condizioni di partecipazione alla ricchezza comune a coloro che, pur avendola prodotta, ne sono fino ad oggi rimasti esclusi. Più che di condono e perdono, si potrebbe parlare di riconciliazione. In vista della quale siamo invitati ad operare tutti, noi cristiani, ineludibilmente. Logicamente, poi, tutto ciò vale e si impone a livello delle relazioni personali, che devono vederci, con tutta la fatica che questo può comportare, liberi da ogni sentimento di collera, ira, risentimento, vendetta. Senza con questo che venga pregiudicata la giustizia. Dato che “il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rom 14, 17). Sì, ma gli aguzzini? Gli aguzzini sono l’estremo dono che ci fa il Signore, la nostra cattiva coscienza, il rimorso, il tormento, l’inquietudine, che non ci danno pace, finché non avremo saldato fino all’ultimo centesimo il nostro debito d’amore.

I testi che la liturgia di questa 24ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.27, 22 – 28,9; Salmo 103; Lettera ai Romani, cap.14, 7-9; Vangelo di Matteo, cap.18, 21-35.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi noi si fa memoria di Ildegarda di Bingen, mistica benedettina, di Adrienne von Speyr, medica e mistica e di Dom Gianfranco Masserdotti, pastore dei popoli senza voce.

Ildegarda nacque nel 1098, ultima di dieci figli del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda, nella provincia tedesca di Rheinhessen. Forse a causa della salute fragile, o per la precocità dell’intelligenza o, ancora per l’esperienza di involontarie visioni, la famiglia la inviò ancora bambina nel monastero benedettino di Disibodenberg, affidandola alle cure e all’educazione della monaca Jutta di Spanheim. Consacratasi giovanissima, all’età di trentotto anni fu eletta abbadessa. Studiò scienze e teologia e scrisse testi di medicina, biologia, cosmologia. Fu anche pittrice, compositrice, poetessa. Ebbe una serie di visioni e per dieci anni, tra il 1140 e il 1150, scrisse su di esse, illustrandole, fornendone l’interpretazione e commentandone il significato. Una commissione inviata dal papa Eugenio III per indagare su lei e la sua opera, dopo aver ascoltato l’opinione a lei favorevole di Bernardo di Chiaravalle, la considerò ortodossa e ritenne le visioni autentiche. Da parte sua, Ildegarda esortò il papa ad impegnare le sue forze ad una profonda riforma della Chiesa. Scrisse estesamente sull’esigenza della giustizia sociale e della liberazione degli oppressi. Sottolineò l’importanza di ricordare che ogni essere umano, creato a immagine di Dio, deve avere l’opportunità di usare e mettere a frutto i talenti ricevuti da Dio, realizzando in tal modo il progetto che lo stesso Dio ha per ciascuno di noi. Morì il 17 settembre 1179.

Adrienne von Speyr nacque a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, il 20 settembre 1902, in una famiglia protestante. Quindicenne ebbe la sua prima esperienza mistica. Completati gli studi secondari, si iscrisse alla Facoltà di medicina, al termine della quale, nel 1931 comincerà ad esercitare la professione medica. Nel frattempo, nel 1927, aveva sposato Emile Dürr, di cui resterà tuttavia vedova sette anni più tardi. Nel febbraio 1936 sposò Werner Kaegi. Nell’aprile del 1940 ebbe l’incontro decisivo per la sua vita con il teologo gesuita Hans Urs von Balthasar, che divenne suo direttore spirituale. Il 1° novembre dello stesso anno, Adrienne ricevette il battesimo “sotto condizione”, entrando a far parte della Chiesa cattolica. Due anni più tardi visse l’esperienza angosciosa e traumatica delle stimmate. A partire dal 1944, benché priva di qualsivoglia formazione teologica, cominciò a dettare quasi quotidianamente a Von Balthasar testi di commento alla Bibbia e su altri argomenti teologici, frutto delle sue esperienze mistiche, che lo stesso Von Balhasar affermerà in seguito assolutamente decisivi in ordine alla sua evoluzione e produzione teologica. Assieme fonderanno nel 1945 l’istituto secolare Johannesgemeinschaft (Comunità di San Giovanni). Da allora continuarono e crebbero in frequenza le esperienze mistiche della Von Speyr. Perduta completamente la vista nel 1964, Adrienne morì a Basilea il 17 settembre 1967, memoria della grande mistica tedesca Ildegarda di Bingen.

Gianfranco Masserdotti era nato a Brescia, il 13 settembre 1941. Entrato nell’istituto dei Missionari Comboniani, fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1966. Conseguita la laurea in sociologia all’università di Trento, fu inviato missionario nel Nordest del Brasile, dove restò dal 1972 al 1979, quando fu richiamato a Roma per assumere l’incarico di Assistente generale della congregazione. Ritornato nel 1986, in Brasile, il 2 marzo 1996, fu consacrato vescovo coadiutore di Balsas (Maranhão), diocesi di cui divenne vescovo titolare due anni più tardi. All’interno della Conferenza Nazionale Episcopale del Brasile (CNBB) svolse la funzione di Presidente della CIMI (Conselho Indigenista Missionário) e di Vice-Presidente della Commissione Missionaria. Il 17 settembre 2006 morì vittima di un incidente stradale. È ricordato unanimemente come “religioso dalla grande sensibilità umana e spirituale, un missionario dedito totalmente alla causa dei poveri e un Vescovo illuminato e profondamente impegnato a preparare una Chiesa locale autosufficiente, significativamente presente sul territorio, dialogante con tutti, particolarmente attenta ai “più poveri e abbandonati” e missionaria, aperta a tutti i continenti”. Poche settimane prima, in occasione dei funerali di un altro grande della Chiesa brasiliana, Dom Luciano Mendes de Almeida, aveva detto: “La vera morte avviene quando riponiamo la nostra speranza e il senso della nostra vita nel possesso, nel potere, nel piacere senza limiti, quando chiudiamo il nostro cuore al prossimo e ci lasciamo trasportare dall’egoismo. La vera morte avviene quando ci lasciamo prendere dal timore di perdere la nostra vita a causa di Gesù e del Vangelo”.

E anche per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, con una citazione di Adrienne von Speyr, tratta da un suo testo, apparso col titolo “Il potere di diventare figli di Dio” in Communio. Rivista Internazionale di Teologia e Cultura – Numero 185, settembre-ottobre 2002 e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il sì umano dell’accoglienza non è mai un sì pieno. Tanto egoismo può nascondersi in esso. Possiamo accogliere il Signore per motivi molto egoistici. Per esempio, per procurarci un posticino tranquillo nell’aldilà. Ma non appena il Signore accetta seriamente il nostro sì, non appena viene realmente, mette fuori tutto quel che non si concilia con lui. Così può soprendentemente succedere che accogliamo il Signore con mezzo cuore e che egli, quando viene, trasforma la metà in un tutto. Può succedere che cominciamo un’azione per motivi egoistici e che il Signore presente in noi la conduca a una fine buona e feconda. Infatti il mezzo sì che gli abbiamo detto è elevato e assunto nel sì totale detto da lui a noi. Questo pensiero non ci deve tranquillizzare nella nostra tiepidezza però ci consola nei confronti degli altri. Il Signore porterà a buon fine in essi quanto essi hanno iniziato in maniera non del tuttto buona. Per questo motivo non è necessario illustrare subito e fino in fondo tutte le esigenze e tutto il rigore del cristianesimo a colui che cerca ancora il Signore con mezzo cuore. A tempo opportuno il Signore stesso dilaterà la sua anima e lo renderà capace di accogliere da lui più di quanto possa ora accettare. A quanti lo accolgono egli dà il potere di diventare figli di Dio. Il fatto che essi diventino figli di Dio è basato sul fatto che lo accolgono. Egli infatti è il Figlio di Dio, mediante la sua vita in noi ha il potere di essere in noi quel che è già in se stesso e, inoltre, ci fa partecipare espressamente a tale suo potere e possibilità. Mediante lui in noi noi diventiamo lui in noi, diventiamo un figlio di Dio. Infatti mediante lui in noi quel che in noi è suo diventa proprietà del Padre. Noi non siamo più pensabili senza ciò che egli è in noi; di ciò che in noi è suo, di ciò che egli è in noi, egli fa un figlio di Dio. (Adrienne von Speyr, Il potere di diventare figli di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-17T22:05:26+02:00da fraternidade
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