Giorno per giorno – 15 Giugno 2017

Carissimi,
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 51). Il significato della solennità odierna è racchiuso tutto in questo versetto del Vangelo. Il pane che è Gesù è la sua vita (e, se ci crediamo davvero, necessariamente la nostra) data per la vita del mondo. A noi resta solo di chiederci: qual è il pane di cui ci alimentiamo o, anche, qual è il significato che abbiamo deciso di dare alla nostra vita? Il pane dell’egoismo, del conto in banca, del benessere per me e i miei, persino della mia salvezza (e gli altri si dannino), o il pane della condivisione, il pane che fa di me stesso dono al servizio della vita (e vita piena) degli altri? La contemplazione, adorazione (nel suo significato di “portare alla bocca”), del pane eucaristico, non può prescindere da questo interrogarci, diversamente diventa sterile e intimistico (o trionfalistico) devozionismo. Ora, c’è una vita che, in quanto discepoli, siamo chiamati a spendere per la vita del mondo, ma c’è anche, in numeri infinitamente maggiori, la vita, con cui Gesù si identifica, che in termini oggettivi, quand’anche non se ne abbia coscienza, è data e sacrificata ogni giorno sull’altare del creato per la vita dell’umanità. Ed è il lavoro in tutte le sue forme (o l’esclusione da esso, e perciò anche la morte, cinicamente programmata dal Sistema), il sudore, lo sfruttamento, le lacrime, il sangue, che si traducono in vita-per-alcuni, invece che in vita per tutti. Anche questa vita sottratta ai più per la vita tutto sommato di una minoranza è al centro del mistero che celebriamo oggi. Che segnala, paradossalmente, sotto il segno di una presenza, l’assenza, l’esilio, la morte a cui abbiamo condannato Dio e la sua promessa. Nell’attesa, speranza, che lottiamo per riportarlo tra noi, sotto il segno della benedizione per tutti.

Oggi la Chiesa celebra la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
Istituita nel 1246, nella diocesi di Liegi, in Belgio, in seguito alle visioni di una monaca agostiniana, Giuliana di Cornillon, che suggerì all’Ordinario locale l’opportunità di una festa che valorizzasse adeguatamente il mistero dell’Eucaristia, la festa fu, nel 1264, estesa a tutta la cristianità, dal papa Urbano IV (Jacques Pantaléon, già arcidiacono della chiesa di Liegi e confidente della religiosa). La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). L’impulso decisivo all’istituzione della festa fu dato da un evento prodigioso avvenuto nel 1263 (o forse nel 1264) nella chiesa di santa Cristina a Bolsena, quando durante una messa celebrata da un prete boemo, Pietro di Praga, che nutriva dubbi sulla presenza di Cristo nelle specie consacrate, l’ostia stillò sangue. Il papa, venuto a conoscenza del fatto, con la bolla “Transiturus de hoc mundo”, dell’11 agosto 1264, istituì la festa. Quali che siano le concrete circostanze in cui ha avuto origine, la festa rappresenta una ripresa della Pasqua della Cena del Signore, celebrata il Giovedì santo. Sintesi della vita e significato della morte di Gesù. Che la risurrezione suggella come verità di Dio. E da cui scaturisce la vita della Chiesa.

I testi che la litugia della solennitá odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.8, 2-3.14b-16a; Salmo 147; 1Cor 10, 16-17; Vangelo di Giovanni, cap.6,51-58.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

La data di oggi ci porta le memorie di Evelyn Underhill, mistica e predicatrice anglicana, e di Germaine Cousin, pastorella e contemplativa.

Evelyn Underhill era nata a Wolverhampton il 6 dicembre 1875, figlia unica di Sir Arthur Underhill e di Alice Lucy Ironmonger. Dopo gli studi in Storia e Botanica al King’s College di Londra, sposò nel 1907 Hubert Stuart Moore, un avvocato suo amico d’infanzia. L’anno del suo matrimonio vide anche la sua conversione alla fede cristiana. Il fascino in lei esercitato dalla Chiesa cattolica fu tuttavia presto soffocato dalla violenta lotta anti-modernista, cui diede il via, quello stesso anno, la gerarchia romana. Nel 1911, la pubblicazione del suo primo libro, Misticismo, le offrì l’opportunità di conoscere il barone Friedrich von Hugel, padre spirituale di un’intera generazione di anglicani, sotto la cui guida si pose e da cui comprese l’importanza della fedeltà alle proprie radici, nell’apertura tuttavia al dialogo e all’amicizia con le altre denominazioni cristiane. Da allora prese a organizzare la sua giornata, scrivendo la mattina, e dedicando il pomeriggio alle visite ai poveri e alla direzione spirituale. Fu solo nel 1921 che si integrò pienamente nella comunione Anglicana. Nel 1922 raccolse in un libro le conferenze tenute al Manchester College di Oxford, con il titolo La vita dello Spirito e la vita di oggi. Nel 1924 cominciò a guidare ritiri spirituali, i cui contenuti saranno oggetto di successive pubblicazioni. Nel 1936, mentre si dedicava alla stesura di Adorazione crebbe il suo interesse per la Chiesa greco ortodossa, che la portò a integrarsi nell’Associazione dei Santi Albano e Sergio. Pacifista intransigente, raccolse le sue riflessioni su questo tema nell’opuscolo La Chiesa e la guerra (1940). Donna di personalità vivace, con uno spiccato senso di humor e grande delicatezza, mostrava una certa timidezza e ritrosia, trattando con la gente e soprattutto con i suoi allievi, per la ripulsa, diceva “di comandare alle anime”. Tuttavia quanti si rivolsero a lei con fiducia trovarono chi seppe farli crescere, non al suo o al loro passo, ma a quello di Dio. Evelyn Underhill morì il 15 giugno 1941.

Germaine Cousin nacque a Pribrac, non lontano da Tolosa nel 1579. Figlia di Lourent Cousin, un piccolo contadino, che nel 1573-74 era stato sindaco della cittadina, Germaine rimase orfana di madre ancora bambina. Privata dell’uso della mano destra per una malformazione congenita e malata di scrofolosi, una malattia che le deturpava il volto, quando il padre si risposò, fu considerata dalla matrigna una presenza di cui ci si doveva vergognare e fu perciò mandata a pascolare il gregge, lontano dagli occhi di vicini e conoscenti. Tuttavia la ragazzina seppe superare il dolore del rifiuto e si mise nelle braccia del buon Dio. Apprese a pregare e ogni giorno, affidando alla custodia dei suoi angeli il gregge, se ne andava alla chiesa del paese per partecipare alla messa. Quello che apprendeva, poi, lo ripassava a modo suo, agli altri piccoli compagni di sventura come lei confinati alla guardia delle greggi. A essi, appena poteva, allungava anche qualche pagnotta che riusciva a rimediare di nascosto in casa. Basta, la sua vita fu tutta qui. La trovarono un giorno che era già morta, nel sottoscala della stalla, dove era confinata a dormire. Aveva solo ventidue anni. Quarant’anni dopo, quando la tomba della famiglia Cousin fu aperta, per seppellire un parente, trovarono il suo corpo ancora intatto.

E, per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di una lettera di don Tonino Bello, scritta in occasione di una festa del Corpus Domini. Tratta dal libro “Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo” (San Paolo), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non riesco a liberarmi dal fascino di una splendida riflessione di Garaudy a proposito dell’Eucaristia: “Cristo è nel pane. Ma lo si riconosce nello spezzare il pane”. Sicché oggi, festa del Corpo e del Sangue del Signore, mi dibatto in una incertezza paralizzante. Parlerò dell’Eucaristia come vertice dell’amore di Dio che si è fatto nostro cibo? Dirò della presenza di Cristo che ci ha amati a tal punto da mettere la sua tenda in mezzo a noi? Spiegherò alla gente che partecipare al pane consacrato significa anticipare la gioia del banchetto eterno del cielo? […] Ma ecco che mi sovrasta un’altra ondata di interrogativi. Perché non dire chiaro e tondo che non ci può essere festa del “Corpus Domini” finché un uomo dorme nel porto sotto il “tabernacolo” di una barca rovesciata, o un altro passa la notte con i figli in un vagone ferroviario? Perché aver paura di violentare il perbenismo borghese di tanti cristiani, magari disposti a gettare fiori sulla processione eucaristica dalle loro case sfitte, ma non pronti a capire il dramma degli sfrattati? Perché preoccuparsi di banalizzare il mistero eucaristico se si dice che non può onorare il Sacramento chi presta il denaro a tassi da strozzino; chi esige quattro milioni a fondo perduto prima di affittare una casa a un povero Cristo; chi insidia con i ricatti subdoli l’onestà di una famiglia? Perché non gridare ai quattro venti che la nostra credibilità di cristiani non ce la giochiamo in base alle genuflessioni davanti all’ostensorio, ma in base all’attenzione che sapremo porre al “corpo e al sangue” dei giovani drogati che, qui da noi, non trovano un luogo di accoglienza e di riscatto? Perché misurare le parole quando bisogna dire senza mezzi termini che i frutti dell’Eucaristia si commisurano anche sul ritmo della condivisione che, con i gesti e con la lotta, esprimeremo agli operai delle ferriere di Giovinazzo, ai marittimi drammaticamente in crisi di Molfetta, ai tanti disoccupati di Ruvo e di Terlizzi? Purtroppo, l’opulenza appariscente delle nostre quattro città ci fa scorgere facilmente il corpo di Cristo nell’Eucaristia dei nostri altari. Ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine. Per questo le nostre eucaristie sono eccentriche. Miei cari fratelli, perdonatemi se il discorso ha preso questa piega. Ma credo che la festa del Corpo e Sangue di Cristo esiga la nostra conversione. Non l’altisonanza delle nostre parole. Né il fasto vuoto delle nostre liturgie. (Tonino Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Giugno 2017ultima modifica: 2017-06-15T22:05:18+02:00da fraternidade
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