Giorno per giorno – 03 Giugno 2017

Carissimi,
“Pietro, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: Signore, chi è che ti tradisce? Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: Signore, e lui? Gesù rispose: Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi” (Gv 21, 19-22). Già: che importa a te cosa Dio ha in serbo per l’altro? Noi ci si è ritrovati solo in pochi, stamattina, dato che stasera si aveva la veglia di Pentecoste nel giardino del Monastero. E, a prima vista, il vangelo di oggi sembrava aver poco a che fare con noi, centrato com’era sulla curiosità di Pietro circa il destino del discepolo amato, che Gesù lascia lì, mentre a Pietro dice: Seguimi. Però, poi, pensandoci su, ci siamo detti che la preoccupazione di Pietro è ben simile a quella di tanti di noi che, già lungo la strada che si è imboccata, sono portati a chiedersi: perché gli altri non vengono con noi? Oppure, soprattutto se si è avanti cogli anni: se me ne vado, che ne sarà di lui, di lei? Preoccupazione umana, e, spesso, coi tempi che corrono, in qualche misura, giustificata. Il fatto è, però, che il buon Dio ha i suoi modi e i suoi tempi, diversi per ciascuno di noi. La chiamata rivolta ad uno, non è necessariamente, anzi non lo è quasi mai nelle stesse identiche modalità, quella diretta ad altri. Certo, il “se voglio che egli rimanga” riferito al discepolo amato, è evidentemente diverso dal rimanere in una situazione che causa apprensione, tristezza, dolore, rabbia, o che altro, con riguardo a un figlio, un parente, un compagno, qualcuno della comunità. Situazione che è lontana dall’essere voluta da Dio, ragione per cui noi, al seguito di Gesù, faremo di tutto per porvi rimedio, sapendo che, comunque, quel limite della libertà e delle possibilità umane, che noi non possiamo varcare, può valicarlo Lui, facendosi incontro all’interessato, a tempo debito, fosse anche solo all’ultimo momento. E sarà sempre stata una storia di grazia.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Carlo Lwanga e compagni, martiri in Uganda, Giovanni XXIII, il papa del Concilio, e Otto Neururer, martire sotto il regime nazista.

Carlo Lwanga e i suoi 31 compagni, cattolici e anglicani, soffrirono il martirio nel 1886, durante la persecuzione del re Mwanga, che fece numerose vittime. I martiri che ricordiamo servivano alla corte del re. Il più giovane, Kizito, aveva tredici anni. Alla fine del maggio 1886, quando Mwanga venne a sapere che molti dei suoi funzionari erano diventati cristiani, li convocò e, minaccioso, chiese loro se intendessero ostinarsi nella nuova fede. Essi risposero: Fino alla morte. La loro età era compresa tra i tredici e i venticinque anni. Carlo, responsabile dei paggi, fu il primo ad essere assassinato. Fu bruciato lentamente, a cominciare dai piedi. A Kalemba Morumba furono amputate mani e piedi: abbandonato su una collina, morì dissanguato. Andrea Kagua fu decapitato. Gian Maria fu affogato in un pantano. E così via.

Angelo Giuseppe Roncalli era nato il 25 novembre 1881 in una povera famiglia contadina a Sotto il Monte (Bergamo). Entrato in seminario a 11 anni, venne ordinato prete nel 1904 e consacrato vescovo nel 1925. In quello stesso anno venne inviato in Bulgaria come Visitatore e Delegato Apostolico. Dal 1934 al 1944 fu Delegato Apostolico in Turchia e Grecia, poi, dal 1944 al 1952, Nunzio Apostolico a Parigi. La nomina a patriarca di Venezia, nel 1953, lo sottrasse alla carriera diplomatica e lo riportò alla dimensione che più gli era consona di Pastore. Presentandosi ai veneziani disse: “Voglio essere per voi semplicemente un fratello, amabile, accostevole, comprensivo”. Ed, ogni giorno, aprì le porte della sua casa per tre ore, dalle 10 alle 13, a quanti desideravano parlargli. Durante il concistoro che seguì alla morte di Pio XII, il 28 ottobre 1958, alla vigilia dei suoi 76 anni, venne eletto papa e prese il nome di Giovanni XXIII. Quello che molti consideravano un “papato di transizione”, si rivelerà invece decisivo per il rinnovamento della Chiesa. Sua la decisione di indire un nuovo Concilio ecumenico, che lui stesso aprì l’11 ottobre 1962, e che rappresenterà una nuova Pentecoste nella vita interna della chiesa cattolica e nelle relazioni di questa con le altre chiese e con il mondo. Rilevante, coraggioso e innovatore, nel suo magistero, fu il tema della pace, a cui dedicò l’Enciclica Pacem in Terris e che seppe testimoniare con gesti profetici. Il 10 maggio 1963 ricevette il Premio Balzan, un prestigioso riconoscimento internazionale per la sua opera a favore della pace. Subito dopo, il peggiorare del male, di cui soffriva, lo costrinse a letto. Morì il lunedì dopo Pentecoste, 3 giugno, proprio nel momento in cui in piazza san Pietro terminava la celebrazione dell’Eucaristia.

Otto Neururer era nato il 25 marzo 1882 a Pillet, un piccolo villaggio del Tirolo (Austria), dodicesimo figlio di una famiglia di mugnai e contadini. Dopo gli studi in seminario, fu ordinato prete nel 1907, dedicandosi negli anni successivi all’attività pastorale in diverse parrocchie e all’insegnamento della religione. Nel 1932 fu nominato parroco a Götzene, nei pressi di Innsbruk e seppe farsi amare come pochi dai fedeli, che gli riconoscevano uno zelo e una dedicazione non comuni. Quando nel 1938, la Germania nazista realizzò l’annessione dell’Austria, accadde l’incidente che avrebbe mutato il corso della sua vita. Una ragazza, che era stata chiesta in sposa da un uomo di trent’anni più vecchio di lei, membro del partito nazista e fanatico sostenitore delle teorie razziste di quel partito, si era rivolta al prete per chiedere consiglio e lui l’aveva portata a riflettere sull’incongruenza per una giovane cristiana di dire sì a una tale unione. La ragazza seguì il consiglio, ma l’uomo per vendetta denunciò il parroco alla Gestapo, “per aver impedito un matrimonio tedesco”. Padre Neururer venne arrestato il 15 dicembre 1938 e rinchiuso in carcere ad Innsbruck, poi, l’anno successivo, fu trasferito nel campo di concentramento di Dachau e successivamente a quello di Buchenwald, in Germania. In tutto questo tempo, egli non cessò di sostenere e confortare i suoi compagni di sventura. Quando i suoi carcerieri scoprirono che aveva segretamente istruito nella fede e battezzato un altro prigioniero, lo segregarono nel bunker del campo, poi lo appesero a testa in giù, lasciandolo morire lentamente, il 3 giugno 1940.

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.28, 16-20. 30-31; Salmo 11; Vangelo di Giovanni, cap.21, 20-25.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura una pagina del Giornale dell’anima di Giovanni XXIII. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Molta discrezione e indulgenza nel giudizio degli uomini e delle situazioni; inclinazione a pregare specialmente per chi mi fosse motivo di sofferenza; e poi in tutto grande bontà, pazienza senza confini, ricordando che ogni altro sentimento – alla macedone, come si può dire qui – non è conforme allo spirito del Vangelo e della perfezione evangelica. Pur di far trionfare la carità a tutti i costi, preferisco essere tenuto per un dappoco. Mi lascerò schiacciare, ma voglio essere paziente e buono fino all’eroismo. Solo allora sarò degno di essere chiamato vescovo perfetto, e meritevole di partecipare al sacerdozio di Gesù Cristo, che a prezzo delle sue condiscendenze, umiliazioni e sofferenze fu vero e solo medico e salvatore di tutta l’umanità: cujus livore sanati sumus – dalle cui ferite siamo stati guariti (1Pt 2, 24). Raccomando alla mia cara madre Maria, al mio soave patrono san Giuseppe, questi richiami di nuova vita spirituale; e uscendo da questo ritiro riprendo con letizia la mia croce. Sempre avanti. Come mi torna alla mente il motto di mons. Facchinetti di venerata memoria, il caro padre spirituale dei primi dieci anni del mio sacerdozio: “Semper in cruce, oboedientia duce – Sempre sulla croce, sotto la guida dell’obbedineza”! (Giovanni XXIII, Il giornale dell’anima n. 691).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Giugno 2017ultima modifica: 2017-06-03T22:39:34+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo