Giorno per giorno – 24 Maggio 2017

Carissimi,
“Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-15). Ciò che è stato vero per i primi discepoli, la venuta dello Spirito, qui preannunciata da Gesù, è valido per ogni tempo. Ed è l’esperienza che noi si fa nella Chiesa, e, anche più concretamente, nella comunità della quale partecipiamo. Noi non comprendiamo tutto e subito, di Gesù e del concreto svolgersi della sua Parola nella nostra vita. Questo, anche perché la storia è in continuo movimento, e il senso della Scrittura, come ci ricorda Gregorio Magno, cresce con chi la legge, svelandogli, cioè, sempre nuove sfaccettature, che prima non erano neppure percepite. La croce, che è la verità tutta intera di Dio, l’enormità del suo amore, non potrà mai essere compresa, in tutta la sua portata, potrà cioè essere solo intuita, finché noi si è in viaggio. E sarà, tuttavia, questa debole intuizione che, con la luce dello Spirito, ci permetterà ogni volta, di tradurla, più o meno flebilmente, nella nostra realtà. È quando la vita si fa martirio, testimonianza (solo per alcuni, grazie a Dio, di sangue), che, giorno per giorno, è resa alla verità del dono incondizionato di sé. Verità di Dio e, in profondità, verità di ogni essere umano.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Susanna, John e Charles Wesley. La data, contrariamente a ciò che in genere facciamo, non ricorda il loro dies natalis, il giorno cioè del loro passaggio all’eternitá, ma quello della “rinascita” di John Wesley, celebrata anche nella Comunione Anglicana.

Susanna, venticinquesima figlia di Samuel Annesley, era nata nel 1669 e, ventenne era andata sposa a Samuel Wesley (1662-1735), pastore della Chiesa d’Inghilterra, a cui avrebbe dato quindici figli, tre soli dei quali sopravvissuti: Samuel, nato il 10 febbraio 1690, John, il 28 giugno 1703, e Charles, il 18 dicembre 1707. Di lei si racconta che, durante le frequenti assenze del marito, aveva preso l’abitudine di invitare a casa familiari e vicini per leggere la Scrittura e i suoi commentari, riuscendo in poco tempo a riunire più di duecento persone. Il fatto non mancò di suscitare la reazione gelosa del curato, che non sopportava l’idea che una donna potesse prendere simili iniziative. Scrisse perciò al di lei consorte, perché la richiamasse all’ordine. Questi gli rispose: Reverendo, io mi sarei aspettato che Lei, ponendo il problema, avrebbe anche prospettato la soluzione più ovvia, e cioè che andasse Lei, il sabato sera, a leggere i sermoni a casa mia. Ma se non vuole far questo, mi metta ben chiaro per iscritto il divieto esplicito al proseguimento di questa iniziativa. Io mi premurerò di presentarlo a Chi di dovere, quando saremo chiamati io e Lei al supremo tribunale di nostro Signore Gesù Cristo! Pare che il curato non se la sia sentita di replicare. Nacque così di fatto la pratica del metodismo, che John e Charles appresero dunque dalla madre. Susanna morirà, poco più che settantenne, il 23 luglio 1742. Tornando a ritroso nel tempo, quando John fu mandato a studiare a Oxford, dovette presto fare i conti con lo scetticismo religioso dell’ambiente studentesco. Per resistere ad esso, assieme al fratello Charles e alcuni amici, costituí un’associazione con regole molto esigenti: tutti i membri si impegnavano a studiare “metodicamente” la Bibbia, a partecipare settimanalmente alla Santa Cena, ad essere generosi nell’aiuto ai poveri. Scherzosamente furono chiamati il “Santo Club” o anche “metodisti”, nome che sarebbe rimasto in seguito al movimento wesleyano. Divenuto pastore, John entrò presto in contatto con i fratelli Moravi, e per loro tramite con il Pietismo tedesco e la tradizione luterana. Nella notte del 24 maggio 1738, ascoltando la prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani, Wesley visse una straordinaria esperienza spirituale: “sentì” con profonda commozione del cuore che Cristo gli aveva perdonato i suoi peccati e decise che a partire da allora avrebbe collocato solo in Cristo la sua speranza di salvezza. Abbandonate le antiche posizioni ritualiste, dedicò tutta la sua vita a diffondere un’esperienza religiosa centrata sulla scoperta dell’amore di Dio, del perdono e della salvezza gratuita. Apertamente osteggiato dalla gerarchia della chiesa anglicana, aprí il ministero della predicazione ai laici, quale logica conseguenza della dottrina del sacerdozio universale dei fedeli. Diresse le sue attenzioni soprattutto alle grandi periferie proletarie, inaugurando così l’unione tra predicazione e opere sociali, tipica del Metodismo. Davanti alle esigenze dell’azione missionaria, lui, semplice pastore, cominciò ad ordinare altri pastori. Per cinquant’anni si dedicò interamente alla predicazione itinerante. Morì il 2 marzo 1791. Charles, dal canto suo, si dedicò soprattutto alla composizione di inni: ne scrisse circa 6500, fino alla morte, avvenuta il 29 marzo 1788.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.17, 15.22 -18, 1; Salmo 148; Vangelo di Giovanni, cap.16, 12-15.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di John Wesley, tratta dal suo “Sermon XVIII”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La vera fede, viva e cristiana, che possiede chiunque è nato da Dio, non è solo assenso – un atto di intelligenza – ma questa disposizione che Dio ha creato nel suo cuore, la certezza e la fiducia perfetta in Dio che, per mezzo di Cristo, i suoi peccati sono stati perdonati, e che egli è stato riconciliato con Dio. Ciò significa che l’uomo rinuncia a sé stesso; che per essere “trovato in Cristo”, per essere accettato per mezzo di Lui, respinge totalmente qualsiasi “fiducia nella carne”. Che non avendo nulla con cui pagare – non confidando nelle sue opere né in una qualche giustizia – viene a Dio come un peccatore perduto, miserabile, che si è distrutto e condannato, completamente rovinato e abbandonato, le cui labbra non osano aprirsi e che si considera interamente colpevole davanti a Dio. Questa coscienza del peccato – che certe persone che parlano sempre male di ciò che non sanno chiamano disperazione – unita a una ferma persuasione (inesprimibile a parole) che la salvezza viene solo da Cristo, e un fervente desiderio di ottenere questa salvezza, devono precedere la fede viva, la fiducia in Colui che ha pagato il nostro riscatto con la sua morte e ha soddisfatto la legge con la sua vita. Questa fede, poi, per mezzo della quale siamo nati da Dio, consiste non solo nel credere tutti gli articoli della nostra fede, ma anche nel porre vera fiducia nella misericordia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. (John Wesley, Sermon XVIII, 3).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-24T22:08:58+02:00da fraternidade
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