Giorno per giorno – 05 Maggio 2017

Carissimi,
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 56-58). Il vangelo di oggi, che conclude il discorso sul Pane di vita, riprende e approfondisce quanto abbiamo già ascolto ieri. Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci dicevamo che questa insistenza non è inutile: serviva alla comunità di Giovanni, allora, e serve a noi, oggi, per allertarci e denunciare, nel caso, la superficialità e l’inconsistenza della nostra testimonianza, quand’anche si possa essere convinti di cibarci del suo corpo e di bere il suo sangue, nel pane e nel vino dell’eucaristia, senza però preoccuparci di discernerne il significato e perciò anche le implicazioni per la nostra vita. Il “pane disceso dal cielo” non agisce in noi indipendentemente dal nostro assenso alla verità che significa e che chiede di essere fatta nostra: corpo dato per la vita del mondo. A partire dal nostro spazio domestico, nei rapporti tra coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle, alle relazioni tra amici, vicini, compagni di studio, colleghi di lavoro, fino alle scelte che ci vedono impegnaiti sul piano politico, sociale, economico, ecclesiale. È questo che si intende quando leggiamo “vivere per “ Gesù e, con lui, vivere per il Padre. Per Cristo, con Cristo e in Cristo è la dossologia della celebrazione eucaristica che chiede di essere tradotta nella nostra vita, senza alcun trionfalismo o anche solo controproducente esibizionismo, ma nell’umiltà, nel silenzio, nel nascondimento, come è proprio del pane fatto, ad ogni momento, dono, che c’era e già non c’è più, divenuto alimento per la vita degli altri. A partire dai più poveri. Questa è la vita eterna.

Oggi, le Comunità cristiane di questo Continente fanno memoria di Isaura Esperanza, “Chaguita”, catechista e martire in El Salvador, e di Barbara Ann Ford, religiosa statunitense, martire della solidarietà con il popolo guatemalteco.

Le poche notizie che abbiamo su Isaura Esperanza le sappiamo dal Martirologio latinoamericano. Chaguita, così la chiamavano, era catechista, faceva parte della Legione di Maria ed era membro della Commissione popolare di Villa Dolores, nella capitale salvadoregna. La sera del 5 maggio 1980, stava impastando la farina per preparare il pane, nella sua casa. All’improvviso entrarono quelli delle brigate di sicurezza, in civile, obbligando tutti a sdraiarsi per terra. Poi, furono su di lei e la crivellarono di colpi. Non contenti, quando già era morta, ne calpestarono il cadavere. E se ne andarono.

Barbara Ann Ford era una religiosa delle Suore della Carità di New York. Nata nel 1939, era giunta in Guatemala nel 1978, per lavorare con le popolazioni più povere e indifese del Paese. Negli ultimi tempi di vita, stava lavorando per impiantare a Lemoa, nel dipartimento del Quiché, un progetto di salute mentale, nel quale le vittime dei crimini di guerra, per lo più indigeni maya, potessero raccontare ciò che si erano portati dentro fino ad allora: le drammatiche esperienze vissute nei 36 anni di sanguinosa repressione, che aveva causato trasferimenti forzati in massa, sequestri, torture e il massacro di oltre 200.000 persone. Hermana Barbara aveva anche collaborato con Mons. Gerardi, assassinato il 26 aprile 1998, nella stesura del Rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Guatemala, che provava la responsabilità diretta dell’esercito per oltre il 90% degli omicidi compiuti in quegli anni. Il 5 maggio 2001, la religiosa si era recata nella Capitale per acquistare uno scaldabagno per la missione di Lemoa, quando fu avvicinata da sconosciuti che le spararono a bruciapelo e si impadronirono dell’auto, su cui viaggiava, abbandonandola, per altro a pochi metri di distanza dal luogo del delitto e fuggendo poi a piedi. In un primo momento la polizia tentò inutilmente di depistare le indagini, attribuendo il delitto a un fallito tentativo di furto.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.9, 1-20; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.6, 52-59.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Si è spenta, nel tardo pomeriggio di oggi, all’età di 77 anni, nell’ospedale Santa Virginia, a São Paulo, irmã Miria Kolling, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, una delle maggiori compositrici di musica liturgica del Brasile, ben conosciuta anche qui in diocesi, dove aveva tenuto corsi di liturgia e canto. Sottoposta a un’angioplastica, resasi necessaria a seguito di un lieve infarto sofferto un mese fa, non è però sopravvissuta all’intervento. Durante 46 anni di attività musicale, aveva composto più di 600 opere, tra cui messe, inni, canti religiosi e per la catechesi. Uno di suoi canti, riprendeva un antico adagio popolare: “Se domani mi sveglierò, Dio sarà con me, se non mi sveglierò, io sarò con Dio”. Dio l’ha presa con sé.

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo proponendovi un brano tratto dal libro del teologo Jon Sobrino “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla). Ci sembra rifletta bene l’esperienza vissuta dalle nostre memorie di oggi ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Le esigenze concrete della sequela, così come appaiono nei testi ad essa riferiti, devono essere essenzialmente posti in relazione con l’evangelizzazione. La chiamata alla sequela è per l’evangelizzazione; le radicali esigenze di vita sono per meglio evangelizzare; ma il contenuto di tali esigenze, inoltre, illumina dal di dentro il contenuto stesso dell’evangelizzazione. Il “lasciar tutto” per il regno trasmette ai destinatari dell’evangelizzazione la incondizionalità della buona notizia, il fatto che essa è davvero una perla preziosa che, una volta trovata, relativizza assolutamente tutto il resto. Il “non volgere lo sguardo indietro” e il continuare fino alla fine esprimono l’assolutezza della buona notizia – il Dio geloso di qualunque altro dio – la sua conflittualità con qualunque altra notizia che pretenda far passare per Dio ciò che non lo è, la non imparzialità del cammino della povertà, del piccolo. Il “vieni e seguimi” comunica la gratuità indeducibile della buona notizia, che proviene da Dio, che si presenta come invito – anche se esigente – e non prodotto della logica degli uomini. Questi atteggiamenti si richiedono dall’evangelizzatore per seguire Gesù; realizzandoli, però, egli non soltanto segue Gesù, bensì, mettendoli in opera, illumina importanti aspetti della buona notizia: la sua incondizionalità, la sua assolutezza, la sua esclusività, la sua gratuità… l’evangelizzatore che segue radicalmente le esigenze di Gesù inquadra il suo annuncio in un contesto che lo rende più intelligibile ai suoi uditori. La sua stessa vita di sequela non è soltanto qualcosa di previo per evangelizzare meglio, ma si trasfsorma in spiegazione dell’annuncio. In qualche modo – come Gesù in pienezza – si trasforma egli stesso in buona notizia, perché manifesta l’amore di Dio e la sua radicale provenienza da Dio stesso. L’evangelizzatore segue Gesù; ma la ragione ultima della sua sequela, come la ragione ultima della vita di Gesù, è rendere presente Dio e dare inizio al suo regno. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-05T22:22:02+02:00da fraternidade
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