Giorno per giorno – 02 Maggio 2017

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6, 32-33). La festività di ieri e quella di domani interrompono la sequenza del discorso sul “pane della vita”, ma non al punto di impedirci di cogliere la sostanza dei passi che ascoltiamo. La folla aveva chiesto a Gesù: “cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio” (v. 28) e lui aveva risposto “credere in colui che egli ha mandato “ (v. 29). Dove il credere in Gesù implica, evidentemente, il compiere le sue opere. Già, ma “dacci un segno che tu sei l’inviato, perché noi si possa credere in te” (v.30). Mosè, infatti, mica sono stati tanto ingenui i nostri padri da crederlo sulla parola, lui ha fatto scendere la manna dal cielo. E tu che fai? (v. 31). Io? Niente. Come posso far scendere il pane dal cielo, se sono io quel pane, il pane che dà la vita al mondo? Che bisogno c’è di segni, se sono io il segno? Certo, bisogna crederlo, per vederlo. Che è il contrario di vedere per credere. Quel pane, da allora, si destina anche a noi. Per alimentarci e trasformarci in lui, facendo di noi, a nostra volta, pane per la vita del mondo. Quel pane è la sua parola e la sua vita che si comunica a noi nell’eucaristia. Com’è allora che noi, dopo tanto tempo, siamo sempre uguali, così diversi da lui? Dovremmo cominciare a pensarci su.

Il nostro calendario ci ricorda oggi Atanasio, Pastore e Padre della Chiesa, Matrona di Mosca, mistica, Paulo Freire, educatore dalla parte degli oppressi, e dom Tomás Balduino, vescovo e profeta della Chiesa di Goiás. .

Atanasio era nato ad Alessandria d’Egitto nel 295. Appena ventenne si era fatto conoscere nella sua Chiesa per due discorsi, uno “Contro i greci”, l’altro “Sull’Incarnazione” che rivelavano, oltre che la sua fede profonda, una notevole capacità di argomentazione teologica. Per questo, quando nel 325 l’imperatore Costantino convocò il Concilio di Nicea, per risolvere il problema della divinità di Cristo, il suo vescovo, Alessandro, pensò bene di portarselo appresso come consulente teologico. Tre anni più tardi, alla morte dell’anziano patriarca, l’ancor giovane Atanasio venne chiamato a succedergli nella cattedra che la tradizione vuole sia stata di san Marco. Erano tempi grami tuttavia. Costantino non ne capiva molto di dispute teologiche, ma, deve aver pensato che giovasse più al potere imperiale l’immagine di un Dio unico punto e basta (sostenuta da Ario), che questa Unità del molteplice, o molteplicità dell’Unità, implicata dal Dio trinitario degli ortodossi, di cui Atanasio era diventato campione. Sicché, con uno strategico voltafaccia, scelse alla fine le tesi più vicine ad Ario, spedendo in esilio Atanasio. Quest’ultimo, tuttavia, seguitò imperterrito. Non aveva accettato di essere vescovo per andare a braccetto col potere e con le mode del suo tempo. Sicché, le condanne si susseguirono negli anni, con i diversi imperatori: Costanzo, Giuliano e Valente. Questi allontanamenti frequenti, portarono Atanasio a contatto con i monaci del deserto, con Antonio, in primo luogo, di cui il vescovo scriverà poi la vita, contribuendo in tal modo, a diffondere l’ideale monastico in tutta l’ecumene cristiana. Divenuto vecchio, ma non vinto, fu finalmente, dietro la pressione popolare, restituito alla sua sede patriarcale per l’ultima volta. Lì morì, pacificamente, tra la gente che l’amava, il 2 maggio dell’anno 373.

Matrona Dimitrievna Nikonova nacque nel 1881 nel villaggio di Sebino, nel governatorato di Tula, quarta figlia di una famiglia di contadini. Nata priva della vista, fu arricchita, fin da bambina, di numerosi carismi, compreso il dono della cura. A quattordici anni potè recarsi in pellegrinaggio a numerosi monasteri, a Kiev, a San Pietroburgo e in altre città russe. San Giovanni di Kronstadt, incontrandola nella sua chiesa, la chiamò “colonna della Russia”. A 17 anni, Matrona perse l’uso delle gambe e rimase paralizzata per il resto della vita. Benché analfabeta, meravigliava chi l’andava a visitare per la conoscenza di luoghi e fatti lontani. Nel 1925, si trasferì a Mosca, vivendo da allora in casa di amici e benefattori e dedicandosi ad accogliere ogni giorno quanti venivano a chiederne i consigli o la preghiera per ottenere la guarigione da qualche male fisico o spirituale. A tutti dispensava parole semplici e piene di saggezza, che esortavano ad amare il prossimo, a partecipare ai santi misteri, a soccorrere quanti versassero in condizioni di bisogno, soprattutto malati e anziani. Matrona si spense il 2 maggio 1952.

Paulo Reglus Neves Freire nacque il 19 settembre 1921, a Recife, nello Stato del Pernambuco, una delle regioni più povere del Brasile, dove potè sperimentare sulla propria pelle le difficoltà di sopravvivenza delle classi più povere. Nel 1944 conobbe e sposò Elza Maia Costa Oliveira, insegnante elementare, da cui apprese il gusto per l’educazione, a cui dedicherá tutta la vita. La sua proposta pedagogica, conosciuta come “pedagogia degli oppressi”, mira a stimolare l’azione dell’essere umano sulla realtà. Portando i soggetti del dialogo educativo a condividere condizioni di vita, sofferenze e aspirazioni, li rende capaci di una trasformazione creatrice del mondo. Arrestato nel corso del colpo di stato del 1964, dopo 72 giorni di prigionia, fu costretto a lasciare il paese. Si rifugiò in Cile, dove per cinque anni lavorò ai programmi di educazione per adulti e scrisse la sua opera maggiore. In seguito insegnò in numerose università straniere e collaborò nei progetti educativi di vari Paesi, delle Nazioni Unite e del Consiglio Mondiale delle Chiese. Rientrato in Brasile nel 1980, riprese il suo impegno pedagogico come professore universitario, come animatore del movimento di educazione popolare e come attivo partecipante delle comunità ecclesiali di base. La sua prassi educativa ricevette numerosi riconoscimenti a livello mondiale. Freire morì a São Paulo di infarto al miocardo il 2 maggio 1997.

Paulo Balduíno de Sousa Décio era nato a Posse, nello Stato di Goiás, il 31 dicembre 1922, figlio di José BalduÍno de Sousa Décio e di Felicidade de Sousa Ortiz. Entrato nell’Ordine Domenicano, compì il noviziato, assumendo il nome di Tomás. Studiò filosofia a São Paulo, e teologia in Francia, a Saint Maximin, dove fu ordinato presbitero, nel 1948. Rientrato in Brasile, fu professore di filosofia nella Facoltà di Filosofia di Uberaba e poi a Juiz de Fora (Minas Gerais). Nel 1957 fu nominato superiore della missione domenicana a Conceição do Araguaia, nel Pará, dove conobbe da vicino la realtà indigena e contadina. Per svolgere un lavoro più efficace con gli indios, si laureò in Antropologia e Linguistica all’Università di Brasilia e studiò la lingua degli Indios Xicrin, del grupppo Bacajá, Kayapó. Per muoversi più facilmente nel vastissimo territorio della Prelazia fece il corso di pilota d’aviazione. Amici solidali italiani gli donarono un teco-teco, con cui potè prestare un inestimabile servizio, soprattutto nel sostegno e nell’articolazione dei popoli indigeni. Aiutò anche a salvare molte persone perseguitate dalla dittatura militare. Nel 1965, anno in cui si chiuse il Concilio Vaticano II, fu nominato Prelato di Conceição do Araguaia. Lì visse in maneira determinante e combattiva i primi conflitti con le grandi imprese agropecuarie che si stabilivano nella regione com gli incentivi fiscali dell’allora Sudam e che invadevano aree indigene, espellevano famiglie di piccoli contadini, facendo arrivare braccianti da altri Stati, soprattutto dal Nordeste brasiliano, che erano poi sottomessi spesso a regimi analoghi al lavoro schiavo. Nominato e ordinato vescovo della Città di Goiás, nel 1967, assunse la cura della diocesi, dove rimase 31 anni, fino al 1999. Qui, dom Tomás fece opera di adeguamento della vita ecclesiale al nuovo spirito del Concilio Vaticano II e della Conferenza di Medellin (1968). La sua attuazione, a fianco dei poveri, nello spirito dell’opzione per i poveri, segnò profondamente la Diocesi e la sua gente. I contadini solevano riunirsi nel Centro di Pastorale, dove dom Tomás abitava, per definire le loro forme di organizzazione e le strategie di lotta. Questa attività provocò l’ira del governo militare e dei latifondisti che perseguitarono e assassinarono alcuni leader dei lavoratori, e tramarono per eliminare lo stesso vescovo. Dom Tomás fu personaggio chiave nel processo di creazione del Consiglio Indigenista Missionario (CIMI) nel 1972, e della Commissione Pastorale dela Terra (CPT) nel 1975. Dopo la rinuncia al governo della diocesi, presentata al papa, nel 1999, al compimento del settantacinquesimo anno di età, trasferitosi a Goiânia, ha continuato a lavorare alacremente fino agli ultimi mesi di vita. Innumerevoli i riconoscimenti internazionali per le sue attività a favore dei diritti umani e di lotta contro la miseria. Si è spento alle 23 e trenta di venerdì 2 maggio 2014. Vive nella vita di Dio.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.7, 51 – 8, 1a; Salmo 31; Vangelo di Giovanni, cap.6, 30-35.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del libro di Paulo Freire “Pedagogia degli oppressi” (EGA), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il grande problema sorge quando ci si domanda come potranno gli oppressi, che “ospitano” in sé l’oppressore, partecipare all’elaborazione della pedagogia della loro liberazione, dal momento che sono soggetti a dualismo e inautenticità. Solo nella misura in cui scopriranno di ospitare in sé l’oppressore, potranno contribuire alla creazione comune della pedagogia che li libera. Finché vivono il dualismo in cui essere è apparire, e apparire è somigliare all’oppressore, è impossibile farlo. La pedagogia dell’oppresso, che non può essere elaborata dall’oppressore, è uno degli strumenti per questa scoperta critica: gli oppressi che scoprono se stessi e gli oppressori che sono scoperti dagli oppressi, come manifestazione di un processo disumanizzante. In questa scoperta c’è qualcosa da prendere in considerazione, direttamente legata alla pedagogia libratrice. Nella prima fase di questa scoperta, quasi sempre gli oppressi, invece di cercare la liberazione nella lotta e attraverso di essa, tendono ad essere anche loro oppressori, o oppressi in secondo grado. La struttura del loro pensiero si trova condizionata dalla contraddizione vissuta nella situazione concreta, esistenziale, in cui si “formano”. Il loro ideale è realmente essere uomini, ma per loro essere uomini è essere oppressori, a causa della contraddizione in cui si sono sempre trovati e il cui superamento non è loro chiaro. Gli oppressori sono per loro l’unico modello di umanità. Questo fenomeno si verifica per il fatto che gli oppressi, in un certo momento della loro esperienza esistenziale, hanno assunto una posizione che chiameremo di “aderenza” all’oppressore. In queste circostanze non arrivano a “vederlo in sé”, il che li porterebbe a oggettivarlo, cioè a scoprirlo fuori di loro stessi. Con questa affermazione non vogliamo dire che gli oppressi, in tal caso, non sappiano di essere oppressi. Tuttavia, la loro conoscenza di se stessi come oppressi si trova falsata dal fatto che vivono immersi nella realtà degli oppressori. “Riconoscersi” a questo livello in opposizione all’altro, non significa ancora lottare per il superamento della contraddizione. Nasce di lì l’aberrazione: uno dei poli della contraddizione non aspira a a liberarsi, bensì a identificarsi con il suo opposto. In questo caso, per gli oppressi “l’uomo nuovo” non è l’uomo che deve nascere dal superamento della contraddizione, con la trasformazione dell’antica situazione di oppressione che ceda il posto a una nuova, di liberazione. Per loro, l’uomo nuovo sono loro stessi, che diventano oppressori degli altri. Questa visione dell’uomo nuovo è individualista. Aderendo all’oppressore, essi non possono acquistare coscienza di sé, come persone, e tanto meno coscienza di classe oppressa. (Paulo Freire, Pedagogia degli Oppressi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-02T22:17:16+02:00da fraternidade
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