Giorno per giorno – 01 Maggio 2017

Carissimi,
“Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” (Mt 13, 54-56). A un Dio, improvvisatosi figlio di un carpentiere, e carpentiere lui stesso, nessuno ci aveva mai pensato, perciò la sapienza e i prodigi che operava quel loro compaesano, dovevano avere, per gli abitanti di Nazareth, qualche altra spiegazione plausibile. Del resto anche oggi c’è chi preferisce fantasticare che Gesù abbia appreso le arti magiche in Egitto o si sia addirittura recato in India presso la scuola di qualche guru. Tutto questo ci lascerebbe assai più tranquilli di quanto non lo sia la sua pretesa di essere il concreto manifestarsi dell’agire di Dio nella storia e della risposta dell’uomo che accetti di esserne il riflesso, in un processo di continua ri-creazione. Che, come tale, interpella direttamente anche la nostra libertà. A suo modo, la Festa del lavoro di oggi ne è la versione laica (battezzata dalla Chiesa con la figura di san Giuseppe operaio), intesa come celebrazione del lavoro che trasforma il mondo, ma anche e soprattutto delle lotte dei lavoratori che mirano a conquistare questo diritto per tutti, in condizioni che ne tutelino la dignità, la soggettività, la salute, la sicurezza, la giusta remunerazione, le forme di associazione e di rivendicazione. In attesa di vederlo un giorno liberato completamente da persistenti forme di schiavitù e di intollerabile sfruttamento, resta, il lavoro, nel servizio reso dai fratelli ai fratelli, una grandiosa liturgia che si eleva ogni giorno dalla terra al cielo, per ridiscendervi come pioggia di benedizioni, purtroppo inegualmente distribuite, nei beni che ci vengono messi a disposizione. E noi si può solo dire, ad ogni momento: grazie.

Oggi la Chiesa celebra la Festa di san Giuseppe operaio.

Per esprimere il valore e la dignità del lavoro, attraverso il quale – come affermerà nel Concilio la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes – “gli uomini e le donne, nel procurare il sostentamento per sé e per la famiglia, prestano conveniente servizio alla società, prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (GS 34), la Chiesa volle istituire, nel 1955, la festa di san Giuseppe Operaio, nel contesto della Giornata Internazionale del Lavoro. In lui i cristiani sono chiamati a riconoscere il modello di lavoratore a cui è affidata la difesa della Buona Notizia che Gesù – per lungo tempo operaio lui stesso – è venuto ad annunciare: la liberazione da ogni forma di oppressione e sfruttamento, e, perciò, la contestuale affermazione della dignità del lavoro, dei diritti ad esso connessi ai fini di una sua umanizzazione, del dovere di contribuire tutti, secondo le proprie capacità alla costruzione della città dell’uomo.

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

Takashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori, da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca, a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione, si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare. Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria liturgica di san Giuseppe Operaio e sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 1,26-2, 3; Salmo 90; Vangelo di Matteo, cap.13,54-58.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Il 20 luglio 1889, il Congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni a Parigi, fissò la data del Primo Maggio, per ricordare le grandi manifestazioni operaie svoltesi nei primi giorni di Maggio, tre anni prima, a Chicago, che erano state soffocate nel sangue. Così, a partire dal 1º Maggio 1890, con esiti alterni e con alcune interruzioni, in diversi paesi, cominciò a celebrarsi la Festa dei Lavoratori, o la Festa del Lavoro. Come momento di riflessione, coscientizzazione, rivendicazione e lotta del e sul mondo del lavoro. Che ci sia chi la snobba, è nell’ordine delle cose. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a crederci e a celebrarla.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, in collegamento ideale con la Festa di oggi, vi offriamo in lettura una pagina, tratta dal libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede” (Mondadori). In esso, il Card. Carlo Maria Martini, incalzato dal gesuita Georg Sporschill, si pone domande e propone risposte sui temi brucianti del nostro tempo. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Come cristiani guardiamo a Gesù. Egli è motivo di un’assoluta novità: la Chiesa. Gesù ha svolto il compito ricevuto da Dio di creare, accanto al primo popolo eletto di Israele, un secondo strumento per la pace. Si trova dunque in prima linea; si è confrontato con tutte le autorità politiche: con Erode, con Pilato, con il sinedrio, con i partiti dei farisei e dei sadducei. Si è battuto con passione per la giustizia e ha voluto cambiare il mondo. La Chiesa di Gesù Cristo deve contribuire a rendere il mondo più giusto e più pacifico. Secondo la Biobbia, la giustizia è più del diritto e della carità: è l’attributo fondamentale di Dio. Giustizia significa impegnarsi per chi è indifeso e salvare vite, lottare contro l’ingiustizia. Significa un impegno attivo e audace perché tutti possano convivere in pace. La giustizia deve vegliare affinché il diritto, così com’è formulato nelle leggi, consenta a tutti gli uomini un’esistenza dignitosa. Gesù ha dato la sua vita per la giustizia. Ha cercato il dialogo con i potenti oppure ha rappresentato per loro un elemento di disturbo. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così dà fastidio. Chi interviene al fianco degli uomini, che sono come pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi di potenti. I cristiani che adottano “l’opzione a favore dei poveri” di Gesù devono ancor oggi aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica agli operatori sociali nei paesi del benessere, essi trovano inevitabilmente resistenze, perché vivono della convinzione che l’incontro con i poveri e la battaglia contro la povertà siano il luogo di elezione dell’incontro con Dio nel nostro mondo. (Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-01T22:59:51+02:00da fraternidade
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