Giorno per giorno – 23 Marzo 2017

Carissimi,
“Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11, 23). In un’altra occasione Gesù si era espresso in termini che sembrano meno perentori e più ecumenici: “Chi non è contro di noi, è per noi” (Mc 9, 40). Pronunciate in contesti diversi, sono però due espressioni della stessa verità. Verità della quale Gesù è cosciente di essere immagine visibile. Già Mosè aveva detto: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita” (Dt 30, 19), come a dire che ogni nostra scelta risponde in misura maggiore o minore a questi orientamenti di fondo. Su questo dobbiamo interrogarci e decidere. La proposta del regno di Dio che Gesù annuncia e incarna è fondata sulla logica del servizio, della cura e del dono di sè per la vita degli altri, in una lotta costante con le radici dell’egoismo che alimentano il Sistema del dominio, dell’accumulo e dello sfruttamento. Gesù non ha la pretesa di aggiungersi come idolo da venerare e adorare nel variegato olimpo degli dèi. Ci propone invece la verità del Padre universale, che ci desidera tutti fratelli, al di là di ogni identità etnica, culturale, religiosa. Da questo deriva che chi non agisce secondo il principio della misericordia del Padre, è oggettivamente contro Gesù e la sua verità; e si pone come elemento di divisione, separazione, dispersione, nella sua comunità. Analogamente, tutti coloro che operano guidati dalla logica della compassione, sono per ciò stesso a favore del messaggio di Gesù, anche senza saperlo. Jean Vanier, il fondatore dell’Arca e di Fede e Luce, scriveva tempo fa: “Alcuni vedono la religione come radice di molte distruzioni e conflitti. La mia sensazione è che non sia così. Al cuore della maggior parte, se non di tutte, le religioni vi è una chiamata a riempirsi della compassione e della bontà di Dio”. Di qui non si scappa: prendere o lasciare. Accettandone le conseguenze.

Oggi, il nostro calendario ci consegna le memorie di Turibio di Mongrovejo, pastore e difensore degli indios, e di Nikolai Berdyaev, filosofo e pensatore religioso.

Turibio Alfonso di Mongrovejo era nato nel 1538 da una nobile famiglia a Leon, in Spagna. Da giovane aveva studiato Diritto canonico all’Università di Salamanca. Quando nel 1580 papa Gregorio XIII lo volle vescovo di Ciudad de los Reyes (l’attuale Lima), Turibio non era neppure prete. Ricevette quindi tutti assieme gli ordini previsti per essere consacrato. In quel tempo la diocesi di Lima era assai grande e importante e la sua giurisdizione si estendeva su gran parte del territorio dell’America Latina. La situazione del Paese che incontrò al suo arrivo gli mostrò in tutta la sua gravità i danni arrecati dalla conquista, soprattutto per quanto riguardava i rapporti instaurati dai coloni bianchi con le popolazioni indigene e con gli schiavi africani. Sicché Turibio ritenne doveroso denunciare tale stato di cose e favorire una migliore qualità del clero, richiamando con severità e durezza quei preti che, per ignoranza o opportunismo, avevano preferito porsi al servizio dei conquistadores piuttosto che testimoniare con coraggio la Parola di Dio. Si premurò di imparare le lingue locali, per comunicare direttamente con la sua gente, ascoltarne le richieste ed i bisogni, e poi evangelizzarla nelle forme ritenute più rispettose della sua dignità. Alieno alle cerimonie di corte e ai rituali sontuosi, che gli sottraevano tempo prezioso al contatto diretto con i fedeli, compì tre lunghissime visite pastorali in tutto il territorio della diocesi. Fu proprio durante il terzo di questi viaggi che Turibio cadde ammalato nel nord del Perù, incontrando la morte a Saña, il 23 marzo 1606, Giovedì santo.

Nikolai Alexandrovich Berdyaev era nato in una famiglia aristocratica il 6 marzo 1874 a Kiev (Ucraina). Educato in un collegio militare, era passato successivamente all’Università di Kiev, dove prese progressivamente coscienza dell’ingiustizia che regnava nella società. Aderì al marxismo, impegnandosi nelle attività dei movimenti clandestini rivoluzionari. Condannato a tre anni di esilio, li scontò nella provincia di Vologda, dove potè comunque proseguire i suoi studi. Aiutato dalla lettura di Dostoevsky, scoprì i limiti della filosofia materialista, e al suo ritorno a Kiev abbracciò il cristianesimo ortodosso. Ma non ebbe vita tranquilla. Animato com’era dall’esigenza di un radicale cambiamento sociale e profondamente deluso dall’identificazione della gerarchia ortodossa con il potere zarista, nel 1913 scrisse un articolo in cui denunciava apertamente tale atteggiamento del Santo Sinodo. Questo gli valse l’arresto, per essere incorso nel reato di bestemmia. Solo lo scoppio della guerra e il suo esito rivoluzionario gli evitarono la condanna all’esilio perpetuo in Siberia che tale accusa prevedeva. Il regime bolscevico gli offrì una cattedra di filosofia all’Università di Mosca, ma, conoscendo il nostro, la cosa non poteva durare. Dopo essere stato imprigionato due volte, nel 1922 fu arrestato e bandito dall’Unione Sovietica, sotto pena di morte. Si stabilì prima a Berlino, dove fondò un’Accademia Russa di Filosofia e Religione, e, successivamente a Clamart, nei pressi di Parigi, dove insegnò in un’istituzione analoga, partecipando a dibattiti ecumenici e offrendo preziosi contributi sulle tematiche filosofiche e religiose. Berdyaev seppe guardare con lucidità al processo di disumanizzazione che il materialismo, nelle sue varianti capitalista e collettivista, aveva innestato. Tuttavia, il peggio era per lui rappresentato dalla resa del cristianesimo allo spirito “borghese”, che si dà là dove le chiese sostituiscono la sicurezza dell’istituzione alla proposta sovversiva del “regno di Dio”, con cui Cristo sfida la storia di ogni tempo. Berdyaev morì il 23 marzo 1948.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.7, 23-28; Salmo 95; Vangelo di Luca, cap.11, 14-23.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi il brano di un testo inedito di Nikolai Alexandrovich Berdyaev, pubblicato sotto il titolo “Vedi alla voce Fanatismo”, in Avvenire del 13 dicembre 2015. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il fanatismo intollerante rappresenta sempre una profonda mancanza di fede nell’uomo, nell’immagine di Dio nell’uomo, nella forza della verità, cioè, alla fine, una mancanza di fede in Dio. […] L’uomo che arriva a lasciarsi ossessionare dall’idea della minaccia e della cospirazione mondiale di massoni, ebrei, gesuiti, bolscevichi o della società segreta degli assassini, smette di credere nella forza di Dio, nella forza della verità e fa affidamento soltanto sulla propria violenza, crudeltà e omicidi. Questo tipo di persona in sostanza sarebbe un caso da psicopatologia e psicoanalisi. Per il fanatico non esiste il mondo multiforme. Quest’uomo è ossessionato dall’unico. Ha un atteggiamento spietato e rabbioso nei confronti di tutto ciò che non sia l’unico. Psicologicamente, il fanatismo è collegato all’idea di salvezza o di perdizione. È proprio questa l’idea che rende l’anima fanatica. C’è l’unico che salva, tutto il resto uccide. Quindi, dobbiamo consegnarci totalmente a questo unico e distruggere senza pietà tutto il resto, tutto il mondo molteplice che minaccia di distruggerci. Alla morte, legata alla molteplicità del mondo, si ricollega anche il sentimento di paura, che è sempre nel sottosuolo del fanatismo. Gli inquisitori erano fermamente convinti che le violenze, le torture, i roghi e tutto il resto che compivano fossero manifestazioni di umanità. Lottavano contro la morte per la salvezza, difendevano le anime dalla tentazione delle eresie che le minacciavano di morte. È meglio causare brevi sofferenze nella vita terrena che la morte di molti nell’eternità. […] Si tratta di un interessante problema psicologico. L’uomo credente, disinteressato, idealista può essere spietato, può compiere le più grandi atrocità. Dare se stesso senza riserve a Dio o a un’idea che prenda il posto di Dio, trascurando la persona, trasformare l’uomo in mezzo e strumento per la gloria di Dio o per la realizzazione di un’idea significa diventare fanatico, spietato, persino un mostro. Proprio il Vangelo ha mostrato agli uomini che non è possibile costruire il proprio rapporto con Dio senza entrare in rapporto con la persona. Se i farisei mettevano il sabato al di sopra dell’uomo e sono stati svergognati da Cristo, allora ogni uomo che abbia messo l’idea astratta al di sopra dell’uomo, professa la religione del sabato respinta da Cristo. Che si tratti dell’ortodossia ecclesiastica, dello Stato, del nazionalismo o dell’idea della rivoluzione e del socialismo. L’uomo ossessionato dalla ricerca e dalla denuncia delle eresie, dalla scomunica e dalla persecuzione degli eretici, è un uomo da tempo smascherato e condannato da Cristo, anche se non se ne rende conto. L’odio patologico per l’eresia è l’ossessione dell’ ‘idea’, messa al di sopra dell’uomo. (Nikolai Berdyaev, Vedi alla voce: Fanatismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-23T22:33:00+01:00da fraternidade
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